Con oltre tre decenni di esperienza nel panorama jazzistico italiano e internazionale, Angelo Schiavi si distingue come sassofonista, compositore e didatta. Il suo ultimo progetto, “Jazz Thoughts”, realizzato con il Fresh Ensemble e arricchito dalla collaborazione di Fabrizio Bosso, rappresenta una sintesi perfetta della sua visione musicale. Un album che nasce dall’incontro tra ricerca, tradizione e creatività. In questa intervista, esploriamo il percorso che ha portato alla nascita del disco, le ispirazioni dietro i brani e il ruolo della formazione musicale nel jazz contemporaneo.
a cura di Salvatore Cucinotta
Benvenuto Angelo e grazie per essere con noi. Jazz Thoughts è un progetto che unisce esperienza e giovani talenti. Come è nato questo album e qual è stata la scintilla che ha acceso l’idea?
Grazie per le tue domande… Devo dire che la prima idea di riproporre brani che originariamente erano stati scritti per il manuale didattico “Harmony Throught Practice” mi è stata suggerita dall’apprezzamento con il quale Fabrizio Bosso ha suonato quei brani in quintetto con me, Seby Burgio, Vincenzo Florio e Andrea Nunzi. Secondo lui era un peccato relegare quella musica al solo contesto didattico e l’occasione di registrarla mi è stata fornita in seguito dalla sperimentazione fatta con i miei allievi del manuale pubblicato nel 2023 dalla “Dantone Edizioni e Musica, Milano”
Il disco trae origine da un manuale didattico. In che modo la formazione musicale ha influenzato la realizzazione di questi brani e quali elementi didattici hai voluto trasportare nell’esecuzione artistica?
La mia formazione musicale è stata sia Classica che Jazz, la serietà con la quale ho sempre cercato di approcciarmi alla musica ha fatto si che la tradizione sia sempre presente in quello che suono e scrivo. Spero che i miei allievi, ma anche gli ascoltatori percepiscano chiaramente sia le mie radici nella tradizione ma anche la mia profonda inquietudine nel voler cercare ostinatamente il nuovo nella creazione artistica ma anche nella didattica. Cercare il nuovo non significa offendere il passato, questo è il messaggio.
“Promised Land” è il singolo che ha anticipato l’album. Ci racconti il significato dietro questa composizione e il messaggio che volevi trasmettere?
Rispondo volentieri anche se il titolo è già tutto un programma: La musica è espressione dell’uomo e l’uomo oggi non se la passa bene, sopraffazione, violenza, arrivismo, disprezzo per l’ambiente, falsità, nevrosi, tecnicismo fine a sé stesso… smetto ma potrei continuare. La musica a volte è un’ isola felice, un luogo dove si può respirare una Terra Promessa per i giovani.
Il jazz ha una lunga tradizione di sperimentazione e contaminazione. Quali influenze e generi hanno contribuito alla creazione del sound di “Jazz Thoughts”?
Guarda, il soul, il funk e la bossa nova sono ampiamente presenti nel CD e si alternano a situazioni di Jazz moderno come i Coltrane Changes e i sapori Classici delle grandi Big Bands che hanno fatto grande la musica Afroamericana.
La collaborazione con Fabrizio Bosso è un elemento distintivo del progetto. Com’è stato lavorare con lui e quale valore ha aggiunto alla musica del Fresh Ensemble?
Fabrizio è un musicista che ha avuto un successo internazionale enorme ma conoscendolo bene, ti rendi conto che ancora non ha ancora avuto il pieno riconoscimento che stramerita. Dico questo perché penso sia il solo esempio di musicista che riesce a fondere nel suo linguaggio la musica classica e la musica jazz, entrambi i generi al massimo livello. Quando poi lavori con lui e ti godi la sua umanità e la sua professionalità te ne convinci: è uno dei più grandi trombettisti del mondo. Con lui si guadagna anche quando non suona, basta sia presente nel progetto.
Il Fresh Ensemble riunisce giovani musicisti formati nel progetto Armonia in Pratica – Harmony Through Practice. Come vedi il futuro del jazz in Italia e quali consigli daresti ai giovani talenti che vogliono intraprendere questa strada?
Il futuro del Jazz è ovviamente legato al futuro del pianeta, non credo sia una banalità. L’arte poi è come un delicato ecosistema, se le cose non vanno, è la prima a soffrire. Oggi va di moda parecchia musicaccia, come vanno di moda quelli che urlano e minacciano. Ai giovani consiglio di imparare più arti possibili e metterle da parte, il Jazz può essere fatto in tante forme e modi può contaminarsi con innumerevoli contesti di fruizione.
Il tuo percorso musicale ti ha portato a collaborare con grandi nomi del jazz italiano e internazionale. Quali esperienze ritieni più significative per la tua crescita artistica?
Voglio certamente ribadire che è importante conoscere grandi musicisti e collaborare con loro. Aver conosciuto musicisti statunitensi come Roy Hargrove, Andy Gravish, Vincent Benedetti, tanti anni fa il grandissimo Sal Nistico, mi ha dato il senso di cosa significa dedicare tutto alla musica e far diventare la propria vita una opera d’arte. Ma ripeto, la bellezza non ha una nazionalità, ma si trova a vario titolo negli artisti di varie nazionalità e l’ultimo esempio di ciò l’ho raccolto proprio da Fabrizio ma da tanti altri musicisti italiani che ho avuto la fortuna di incontrare.
Oltre all’attività di performer, hai un forte impegno nella didattica e nella diffusione del jazz. Quanto è importante oggi l’educazione musicale per la valorizzazione di questo genere?
Sarebbe fondamentale, ma mi dispiace dirlo, le istituzioni non prendono la didattica con la serietà e l’impegno sincero che sarebbe d’obbligo. La colpa è innanzitutto della politica tutta che ha scelto e ancora sceglie ostinatamente male, qui mi fermo evitando di aprire un vaso di Pandora.
“Jazz Thoughts” è disponibile sulle piattaforme digitali e in formato CD. Come pensi che il digitale abbia influenzato la fruizione del jazz e quale futuro immagini per il mercato discografico jazzistico?
Se il Jazz non torna nei piccoli teatri e non si propone agli ascoltatori facendogli respirare la stessa aria che i musicisti respirano, non vedo un futuro roseo. La musica è un rito al pari di una funzione religiosa, questa cosa si sta perdendo. Se ricostruiremo un rapporto umano musicista ascoltatore, a quel punto ben venga anche il digitale.
Per il momento però, il digitale è più che altro una cassa di risonanza per robaccia fatta male. Il messaggio di fluidità e poliritmia della musica Afroamericana è sepolto da una marea di ritmi impettiti e rigidi senza swing, rime idiote di contenuti idioti spacciati per intelligenti da scimmioni che si spacciano per artisti.
Non mi piace la maggioranza delle cose che sento nella rete.
Per concludere, quale messaggio vorresti lasciare agli ascoltatori che si avvicinano a “Jazz Thoughts” e al jazz in generale? Che emozioni speri di suscitare con questo album.
Spero che le persone si godano la musica senza pensare a quale genere appartiene abbandonando l’idea della “musica difficile” da una parte, dall’altra ricordando che la musica deve viversi attraverso la pelle e non con il ragionamento razionale. Spero di contribuire, anche in minima parte, alla fruizione del Jazz come musica fatta per essere ascoltata anche in leggerezza.
Grazie Angelo per il tuo tempo! Complimenti per la tua carriera!
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