Antonio Bibbò, nato a Venezia nel 1998, è un talento versatile che ha saputo fondere la danza classica e la recitazione in un percorso artistico unico. Dopo una formazione in prestigiose scuole come l’English National Ballet School di Londra e l’Hamburg Ballet School, ha lavorato come ballerino professionista per il Teatro Nazionale di Belgrado, esibendosi in importanti festival internazionali. Parallelamente, ha intrapreso la carriera di attore, recitando in cortometraggi e sperimentando nuovi stili. Oggi si esibisce all’Ellington Club, esplorando il modern jazz e il musical, confermandosi come un artista poliedrico e in continua evoluzione.


Benvenuto Antonio, hai iniziato il tuo percorso nella danza classica molto giovane e hai deciso di perseguirlo professionalmente. Cosa ti ha spinto a scegliere questa carriera e quali sono stati i momenti chiave della tua formazione?
Ho scelto di perseguire la danza come carriera da molto piccolo. Ero un bambino timido ma stare sul palcoscenico mi dava una forza incredibile, come se potessi abbandonare le mie insicurezze e diventare un’altra persona… mi piaceva quella versione di me e da quel momento l’ho sempre inseguita. Ero anche molto ambizioso e non avevo mezze misure quindi ho messo subito in chiaro alla mia maestra che sarei voluto diventare il prossimo Roberto Bolle.

Hai studiato in prestigiose scuole come l’English National Ballet School di Londra e l’Hamburg Ballet School. Come queste esperienze hanno influenzato la tua visione della danza e in che modo hanno arricchito il tuo stile?
L’English National Ballet School aveva una visione tradizionale e rigida come scuola e gli insegnanti erano molto severi, il che purtroppo ho trovato abbia soffocato la mia creatività. Nulla toglie che quell’accademia mi abbia fatto crescere tanto dandomi una fortissima disciplina ma ho avuto parecchi momenti dolorosi a Londra. Ad Amburgo era tutto più hippie e si respirava quell’aria creativa che a Londra mi era mancata. In quel periodo avevo un disperato bisogno di libertà e di vivere la mia adolescenza per crescere sia come artista che come essere umano e per fortuna Amburgo mi ha dato questa possibilità. Ho lavorato con John Neumeier, il fondatore dell’Hamburg Ballet, uno dei coreografi più importanti della storia e lui mi ha totalmente cambiato. Prima per me la danza era qualcosa di puramente estetico mentre John mi ha insegnato che ci dev’essere una ragione dietro ogni movimento: ogni passo esprime un emozione, racconta qualcosa; mi ha dato una visione molto più profonda della danza. I suoi balletti sono narrativi, drammatici e guardando indietro penso che siano stati proprio i suoi lavori a far scattare in me la curiosità per la recitazione.

Lavorare come ballerino professionista per il Teatro Nazionale di Belgrado ti ha permesso di esibirti in importanti festival internazionali. Quali ricordi conservi di queste esperienze e come hanno contribuito alla tua crescita artistica?
E’ stata una grande gioia e una grande fortuna perché ho sostituito un ragazzo che se n’era andato via l’anno prima e quindi nonostante fossi entrato in compagnia a settembre, a ottobre ero già in partenza per il Sud America. Siamo stati in Colombia (la mia preferita), Ecuador, Mosca e Madrid. Porto nel cuore l’accoglienza incredibile del pubblico. Mi ha riempito di gioia, non tutti i giorni il tuo lavoro viene riconosciuto così. Mi ha dato tanta ispirazione, sicurezza di me e voglia di fare ancora di più.

Nel tuo percorso hai affrontato sia il repertorio classico che quello contemporaneo. Quali sono le principali sfide di interpretare due stili così differenti e quale preferisci?
Il classico richiede delle doti fisiche e una grandissima preparazione pari a un atleta olimpionico e sicuramente sono cose che mi hanno messo a dura prova sia mentalmente che fisicamente. Da parte mia non ho mai avuto il fisico perfetto, ho dovuto lavorare duramente per ottenere la flessibilità, la rotazione, il collo del piede (quest’ultimo è sempre stata la mia croce). Devo però dire che odio quando la parte atletica e estetica della danza – sia classica che contemporanea – non lascia spazio all’espressività e alla narrazione. Io mi sono sempre sentito un artista sul palco, non un atleta. Non c’è uno stile che io preferisca tra i due, l’importante per me è raccontare una storia col mio corpo.

Parallelamente alla danza, hai intrapreso anche la carriera di attore, unendo danza e recitazione. Cosa ti ha affascinato di più nel passaggio dalla danza alla recitazione e come le due discipline si influenzano a vicenda nella tua performance artistica?
Quando ho iniziato a recitare non ne volevo sapere più niente della danza, ne avevo avuto una specie di overdose ed era come se volessi cancellare dalla mia vita quegli anni. La danza però, che io lo voglia o no è parte di me, anche stupidamente come cammino o come bevo un bicchiere d’acqua… entro in una stanza e la prima cosa che mi chiedono è se sono ballerino. Ho capito che era stupido e impossibile cancellare il mio passato e adesso ho imparato ad accettarlo ed esserne grato perchè mi ha reso l’artista che sono ora e anche se le ferite fanno male, sono anche quelle che adesso mi alimentano come attore.

Dopo anni di carriera internazionale, hai deciso di tornare in Italia per concentrarti sulla recitazione. Cosa ti ha spinto a fare questo passo e quali differenze hai notato nel mondo artistico tra l’estero e Roma?
Sicuramente per iniziare la mia carriera da attore, data la mia madrelingua avevo bisogno di essere in Italia per avere più possibilità in termini di ruoli ma sotto sotto c’era anche un bisogno di mettere radici dopo aver cambiato così tante città. Ahimè devo ammettere però che non so se dopo essere stato all’estero tutti questi anni sentirò mai il senso di appartenenza che hanno gli altri ragazzi italiani miei coetanei. Ho avuto un percorso così diverso da loro che, chissà… forse mi sentirò per sempre in bilico, con un piede di qua e uno di là. Roma sicuramente offre tanto a livello artistico, c’è tanto talento in giro che mi ispira. Purtroppo per il mondo del cinema è un periodo nero per via della legge sul tax credit che ha bloccato dei fondi e di conseguenza molte produzioni sono ferme. Sicuramente per noi attori emergenti è davvero dura, spero che il governo faccia presto qualcosa per cambiare questa situazione.

Sei stato protagonista di vari cortometraggi. Qual è il ruolo che finora ti ha sfidato di più e quale genere cinematografico ti affascina particolarmente come attore?
Il mio regista preferito è Almodovar. “Todo sobre mi madre” è il film che mi ha fatto appassionare al cinema e mi affascina come lui riesca a raccontare storie così crude, dolorose e elevarle a una bellezza poetica. Il ruolo che mi ha sfidato di più è stato sicuramente in “Red”, il mio ultimo corto in cui interpreto un personaggio che subisce tanto dalla vita ma si tiene tutto dentro e non reagisce. Non volevo dipingerlo come una vittima ed è stato difficile riuscire a dargli la forza giusta.

Recentemente ti esibisci all’Ellington Club, esplorando nuovi stili come il modern jazz e il musical. Come è nato questo progetto e quali nuove sfide ti sta offrendo?
Tenevo d’occhio l’Ellington da un po’, ammiro ciò che Vera e Alessandro hanno creato perché è uno spazio dove si respira libertà, cultura, amore e sensualità. Il corpo della donna viene celebrato attraverso l’arte del burlesque e non c’è alcun giudizio verso nessuno. Sono davvero fiero di fare parte di tutto ciò. Arrivato a Roma cercavo una nuova forma in cui la danza potesse rimanere nella mia vita. All’Ellington quando mi esibisco tiro fuori tutto il mio carisma e mostro un lato di me che ho sempre desiderato tirare fuori ma molte volte non ne ho avuto l’occasione. Ho anche la possibilità di mettermi alla prova con il canto, una mia grande passione che però non ho mai portato prima d’ora di fronte a un pubblico.

La tua formazione internazionale ti ha esposto a culture artistiche molto diverse. Come queste influenze si riflettono nelle tue esibizioni, sia come ballerino che come attore?
Sicuramente ogni posto in cui sono stato mi ha influenzato a modo suo anche inconsciamente. Io poi, sono una persona a cui affascina moltissimo osservare le persone, le culture e le energie di ogni luogo: come siano diverse e uniche tra loro. Faccio solo un esempio recente altrimenti mi troverei a scrivere pagine e pagine. Quando vivevo a Belgrado c’era una grandissima comunità cubana con cui passavo tutte le mie serate, (non avevo legato molto con i serbi). Le serate ai salsa bar passate con loro e successivamente andare in Sud America e incontrare i ragazzi del posto mi ha fatto entrare in contatto con una sfrontataggine, una sensualità, una “cazzimma” (passami il termine) che non avevo mai visto. Mi ha molto arricchito sia come ballerino che come attore.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi artistici? Intendi continuare a bilanciare danza e recitazione o stai pensando di concentrarti maggiormente su una delle due discipline?
In questo momento la mia priorità è la recitazione. Mi sono trasferito a Roma con un obiettivo e voglio raggiungerlo a tutti i costi. Sto studiando con Danny Lemmo, un membro dell’Actor’s Studio e un regista che stimo moltissimo, con cui metterò in scena uno spettacolo a Febbraio. Voglio continuare a migliorare e prendere sicurezza con il canto e sarebbe davvero bello, un giorno, avere l’opportunità di unire queste mie passioni a servizio di un progetto cinematografico. Il mio obiettivo rimane sempre essere alla ricerca di ciò che mi rende unico e autentico per distinguermi dalla massa e rimanere fedele alla mia visione e a ciò che voglio dire con la mia arte.

Grazie Antonio e un grosso in bocca al lupo per la tua carriera
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