Giulia Caputo è una giovane donna che intreccia medicina, arte e scrittura in un percorso di vita ricco di emozioni e creatività. Attualmente studentessa di Medicina presso l’Università di Torino, la sua decisione di intraprendere questa strada nasce da esperienze personali profonde, che l’hanno portata a desiderare di aiutare il prossimo sia fisicamente che psicologicamente. Ma Giulia non si limita alla medicina: la sua passione per il teatro, la musica e la scrittura la rende una figura poliedrica. Dal recitare in una compagnia teatrale, suonare il pianoforte, cantare, fino a pubblicare poesie e racconti che esplorano emozioni e temi universali, Giulia trasforma ogni esperienza in un’opportunità per crescere e ispirare.
Intervista a cura di Noemi Aloisi
Introduzione a cura di Salvatore Cucinotta
Benvenuta su Che! Intervista, Giulia! Hai molte passioni e svolgi diverse attività, Attualmente stai studiando Medicina all’Università di Torino. Come mai hai deciso di prendere questa facoltà?
Ciao, e grazie mille a tutti per avermi dato questa bellissima opportunità. Allora, per rispondere alla domanda: intraprendere questo percorso universitario è stata una scelta complessa, non posso negarlo. All’inizio delle scuole superiori, sognavo di fare l’archeologa o la pianista, poi, le cose sono cambiate. Ho dovuto adeguarmi al destino che mi era stato assegnato, e perciò, dopo tanto tempo trascorso in ospedale a causa di una malattia cronica, ho iniziato a sentirmi a mio agio in quell’ambiente, determinata a salvare il mondo intero, o almeno, di certo i bambini che soffrivano insieme a me. Ero curiosa di vedere cosa avrei provato a stare “dall’altra parte”, a non essere solo una paziente, ma anche un medico, un supereroe. Il desiderio di instaurare un rapporto empatico e di fiducia con le persone, inoltre, è stato uno dei motivi più determinanti: volevo aiutarle, a modo mio e a ogni costo, sia fisicamente che psicologicamente. Si sa, alla fine, che il concetto di salute si estende non solo al benessere fisico, ma anche a quello psichico e sociale. Ammetto, tuttavia, che ricoprire entrambi i ruoli non è semplice; paure e insicurezze mi accompagnano ogni giorno, ma sento comunque che si tratta della mia strada.
In quale campo credi che ti specializzerai?
Credo di volermi specializzare in Medicina della Comunità. Mi piacerebbe che il sistema assistenziale si arricchisse, generando una maggiore cooperazione tra le cure specialistiche e la medicina del territorio. Potremmo alleggerire i reparti d’urgenza, e avere a disposizione strutture intermedie dotate di macchinari semplici ma fondamentali, almeno per una prima diagnosi. In tal modo, diminuirebbe la pressione lavorativa e il livello di burnout di chi, per esempio, opera in pronto soccorso o in reparti con un pesante carico di lavoro. Non nascondo che mi piacerebbe far parte di questo cambiamento, per poter lavorare in un mondo dove, a ogni paziente, viene garantita una continuità assistenziale e specifica, che punta a una medicina specializzata, ovvero a un approccio clinico mirato e basato sulle caratteristiche genetiche di ognuno di noi. Il tutto diventerebbe più semplice, rapido ed efficiente.
Dall’altra parte, invece, mi sono avvicinata molto al campo dell’Oncologia, in particolare alla parte teorica e a quella di ricerca; anche se si tratta di un percorso duro da affrontare, non voglio comunque escluderne la scelta.
Reciti anche in una compagnia teatrale; che genere di spettacoli proponete e come ti sei avvicinata al mondo del teatro?
Sì, esatto. Nell’ultimo anno e mezzo mi sono trasferita, sempre rimanendo nella provincia torinese. Non conoscendo nessuno nel luogo della nuova abitazione, ho cercato qualche attività che potesse accrescere il mio benessere sociale. Ho trovato quindi questa compagnia teatrale amatoriale che mi ha accolta con calore, e che mi ha fatto scoprire una nuova me, svincolata da qualsiasi tipo di timidezza o incertezza. Inoltre, ho legato moltissimo con tutti i componenti della compagnia, e questo mi ha aiutata a sentirmi subito a mio agio. Per quanto riguarda gli spettacoli, lo scopo del corso è divertirsi, quindi mettiamo in scena per lo più commedie, specie focalizzandoci sul teatro dell’equivoco; la nostra regista è felice quando il pubblico ride e, quasi sempre, lavorando bene in squadra, riusciamo ad accontentarla.
Il canto è un’altra passione insieme a quella per il pianoforte che hai anche studiato al conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Che tipo di esperienze hai avuto con la musica?
Ho sempre apprezzato la musica, sin da piccola. Ascoltavo brani di qualsiasi genere, come se avessi la curiosità di testarli tutti, tentando di scovarne le differenze e dando vita, quindi, a un mio primo gusto musicale. A circa sei anni, mio padre mi regalò una piccola tastiera, dove ero solita dilettarmi a strimpellare canti di Natale. Poi, questa passione, si è fatta spazio dentro me, facendomi avvicinare alla musica classica e, principalmente, al pianoforte; qui, ho deciso di iscrivermi a una scuola civica di musica. Dopo circa cinque anni, dato che il desiderio di portare avanti questo percorso cresceva sempre più, la mia insegnante mi ha aiutata a preparare l’esame di ammissione al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, dove ho frequentato, per altri qcinque anni, i corsi fondamentali di teoria e solfeggio, oltre a quello di pianoforte principale. Poi, all’aggravarsi della mia condizione fisica, ho deciso, con grande rammarico, di lasciare l’Istituto, per seguire la mia salute e per innamorarmi, a mia insaputa e successivamente, della medicina. A volte sono le esperienze di vita che ci guidano in una direzione piuttosto che in un’altra. Tuttavia, ancora oggi suono e canto, e il pianoforte è forse il mio più intimo compagno di vita.
Che genere musicale preferisci suonare?
Di certo la musica classica; mi dona molta soddisfazione, sempre, ogni volta che mi impegno a studiarne un brano nuovo. Tuttavia, amo accompagnarmi al pianoforte mentre canto brani di genere diverso, come musica leggera, pop, indie, etc.
Nel 2018 hai iniziato a scrivere racconti, di cosa parlano in generale?
Ho iniziato a scrivere racconti quando è nata, in me, la necessità di trasferire su carta le forti emozioni che mi hanno travolta nei momenti più bui della mia vita. All’epoca non riuscivo molto a parlarne, ma dalla penna, quelle parole uscivano libere, perciò ho “sfruttato” la scrittura come mezzo efficace di autoanalisi. Non a caso, i racconti che scrivo, potrebbero essere definiti come pseudo-autobiografici, perché scrivendoli, ho cercato – e lo faccio tuttora – di unire esperienze vissute personalmente, a una prosa adeguata alla lettura. Per lo più si tratta di narrativa contemporanea, che affronta temi quotidiani come l’amore, il lutto, la mancanza, o il coraggio di perdersi e di ritrovarsi. Si parla dunque di rapporti umani e di tutto ciò che permea la nostra vita in vari e differenti istanti di tempo.
Scrivi anche poesie, e quest’anno hai pubblicato le tue prime raccolte poetiche: “Meravigliosa Grazia” e “Diva 33”. Che tematiche affronti in questi testi?
In Meravigliosa Grazia, ho voluto affrontare l’elaborazione di un lutto molto doloroso: la perdita della mia cara nonna dalla quale la raccolta prende il nome. Le poesie sono raccolte e suddivise in tre parti, ovvero: dolore, ricordi, e speranza. Anche qui, come ho accennato poco fa, la scrittura mi è servita per attraversare il dolore e per poterlo superare. Nel primo libro ci si incentra maggiormente su questa tematica, mentre in Diva 33, ci si ritrova in un mondo diverso, dove il dolore stesso ci cambia in meglio, rendendoci appunto Diva, ovvero un insieme di anime redente, pronte a calcare, da protagonisti, il palcoscenico della nostra vita.
Cosa ti affascina della poetica?
A volte, quando scrivo in prosa, tendo a non scrivere proprio tutto ciò che penso, oppure, di tanto in tanto, ne scrivo troppo. La poesia, per me, è il giusto equilibrio di pensiero, di scrittura, e di eleganza, dove posso esprimere ciò che sento in maniera a volte ermetica, a volte più esplicita, utilizzando parole che seguono l’armonia del momento. La poetica, per me, è anche e soprattutto musica.
Cosa significa per te scrivere?
Come ho sottolineato più volte nelle risposte precedenti, per me, scrivere significa avere la possibilità di svolgere una completa autoanalisi di me stessa. Spesso, proprio la scrittura si è rivelata un ottimo metodo per superare egregiamente periodi dolorosi della mia vita, dove non ho avuto la forza di parlare, con nessuno. Tutto ciò che desideravo in mezzo a quella persistente tristezza, era chiudermi in me stessa, e sono riuscita a farlo riempiendo le pagine bianche del libro della mia vita.
Al momento ci sono dei progetti a cui stai lavorando?
Sì, dopo le prime due raccolte poetiche pubblicate quest’anno, sto concludendo un lavoro che mi porto dietro da anni, ma che è, attualmente, in fase di editing e revisione finale. Si tratta di una raccolta di racconti, che spero di poter pubblicare il prima possibile. Anche qui, le tematiche fondamentali degli scritti si addentrano nella quotidianità del nostro vivere, facendoci affrontare sfide emotive capaci di renderci ogni giorno più forti e consapevoli di noi stessi.
Grazie Giulia per questa interessante intervista e complimenti per la tua carriera!
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