Camilla Battaglia, cantante e compositrice, è un’artista italiana che ha esplorato il mondo del jazz espandendolo verso sonorità contemporanee e contaminazioni elettroniche. Dall’inizio della sua carriera come vocalist fino agli studi in “contemporary composition and music performance” grazie al programma EuJam, Camilla ha dimostrato un’incessante ricerca artistica, culminata in progetti sperimentali come Perpetual Possibility, presentato in varie capitali europee e frutto di residenze artistiche in diverse città italiane, europee e presto in Messico e Giappone. Con collaborazioni che spaziano da Ambrose Akinmusire a Martin Mayer, Battaglia continua a evolvere la sua arte attraverso progetti originali, concerti internazionali e l’uscita di nuovi album. In questa intervista, ripercorriamo il suo affascinante viaggio musicale e scopriamo cosa la ispira e motiva ogni giorno.
a cura di Salvatore Cucinotta
Benvenuta, Camilla, e grazie per essere qui con noi. Ci piacerebbe iniziare con il conoscere le tue radici artistiche: come ti sei avvicinata al mondo del jazz e cosa ti ha portato a scegliere la musica come linguaggio d’espressione?
Ringraziandoti per l’invito a parlare del mio percorso e condividere il mio lavoro, premetto che non mi sono mai avvicinata alla musica o al jazz.
Entrambi i miei genitori sono musicisti e dunque più che un avvicinamento si è sempre trattato di una vera e propria convivenza!
Non ricordo di un momento della mia vita in cui non ci sia stata musica e il linguaggio del jazz è stato sicuramente un canale espressivo che ho cominciato ad usare sin da bambina.
In adolescenza però le mie ambizioni si dirigevano verso sponde diverse. Mi piaceva scrivere racconti, la filosofia, la teologia, ma anche la saggistica e il giornalismo d’attualità. Così mi sono iscritta a Filosofia presso la Statale di Milano, rendendomi conto più o meno un anno dopo che tutto quello che volevo fare era in realtà andare a sentire concerti, cantare e scrivere musica.
Così nel 2010 ho registrato il primo album da vocalist ‘JOY SPRING – Renato Sellani Trio introducing Camilla Battaglia’.
Nel 2016 hai iniziato un percorso di studi internazionale grazie al programma EuJam. Come è stata questa esperienza e in che modo ha influenzato il tuo approccio alla composizione e alla performance?
L’EuJam è stato un percorso mirabolante che consiglio ai giovani musicisti che vogliono fare un’esperienza che coniughi attività didattiche e una prospettiva realistica sulle difficoltà di vivere come musicista freelance.
Nel giro di 2 anni ho cambiato casa 7 volte, lavorato in 6 posti diversi per mantenermi, dormito in aeroporto o sul divano della sala comune del RMC a Copenhagen innumerevoli volte, preso un centinaio di voli low-cost ad orari da incubo, cambiato circa 10 valige le cui ruote si rompevano più o meno ogni 4 mesi, mangiato hummus e carote sulla S-Bahn per arrivare in tempo a concerti nei club di Neukölln quando uscivo da lezione al JIB e guidato la bicicletta sotto lo pioggia quasi tutti i giorni per raggiungere il CvA e ascoltare musica al Bimhuis, rischiando quasi sempre la vita nella totale impossibilità di vedere la strada chiaramente (sensazione che solo chi porta gli occhiali da vista può veramente comprendere). Il programma è intenso perché intenso è cambiare casa e città ogni 6/8 mesi ricostruendo abitudini, amicizie, routine lavorative e di pratica strumentale da capo ogni volta. Malgrado ciò, so che rifarei tutto da capo allo stesso modo.
Durante questi due anno di master ho avuto l’opportunità di capire che tipo di musicista volessi cercare di diventare per il resto della mia vita, quale tipo di impegno artistico, sociale e politico volessi investire nel dare significato e significante al mio lavoro; ho imparato a rispettare con crescente costanza la diversità di prospettiva e metodo nel creare e condividere musica e a riconoscere, senza darlo per scontato, il sostegno di chi condivide con te onori ma soprattutto oneri di questo lavoro.
Ho conosciuto musicisti da tutto il mondo e avuto l’opportunità di ascoltare musica con contaminazioni sempre diverse, che mi hanno influenzata profondamente come performer e compositrice.
ELEkTRA ad esempio, il mio album uscito il 22 novembre per l’etichetta americana Ropeadope, è un esempio delle influenze assorbite durante quel periodo.
Da un’idea legata a profonde discussioni sul piano del gender balance nel mondo della musica condivise con i colleghi durante i corsi di music performance al RMC, il progetto ELEkTRA nasce a Copenhagen nel 2016. Lì ho scritto il primo brano (Electra) e pensato di sviluppare l’idea di costituire un large ensemble. L’idea poi è cresciuta a Berlino, dove ho registrato nel 2017 quello stesso brano negli studi del JIB con un large ensemble di straordinari musicisti conosciuti poco dopo essermi trasferita in città. Il progetto è stato anche l’oggetto della mia tesi per la conclusione del Master ed è stato presentato al Copenhagen Jazz Festival nel 2018.
Hai esplorato vari generi e stili, passando dalla big band all’elettronica, come nel progetto Perpetual Possibility. Cosa rappresenta per te questo progetto e qual è la visione artistica che vuoi trasmettere?
Perpetual Possibility è un progetto che nasce da molteplici ispirazioni.
In primis le parole di una delle mie musiciste di riferimento, una performer straordinaria, Jen Shyu, mi hanno spinta a pensare di costruire una performance in solo. Il suo era un consiglio musicale e professionale, una specie di mantra dedicato alla possibilità di essere totalmente indipendenti come musiciste, perchè difficilmente si pensa alla voce come entità musicale completa in sé stessa.
Nella ricerca di una strada per intraprendere questo percorso, mi sono imbattuta in uno degli autori da cui ero stata più affascinata fin dal corso di letteratura inglese al liceo con la Professoressa Ponti, T.S. Eliot e la sua opera più gettonata in musica: Four Quartets.
Volevo trovare una strada personale per raccontare quello che dell’opera mi aveva colpita a livello fonetico ma anche di significato e riversare il tutto in uno ‘spazio-fuori-dallo-spazio’ in cui io e il pubblico potessimo immergerci per circa 50’.
L’album è uscito nel 2022 per l’etichetta Hout Records ed è disponibile, purtroppo fino alla prossima ristampa del vinile, in digitale su tutte le piattaforme ma soprattutto su Bandcamp!
Durante la tua residenza a Berlino, hai collaborato con l’artista visivo Martin Mayer. Com’è stato lavorare con lui e come è nato l’intreccio tra luce e suono nella tua performance?
L’incontro con Martin è stata una delle esperienze multimediali più interessanti che abbia mai avuto ed ha significato per me poter avere una restituzione visiva della mia performance in solo che ampliasse sia per me che per il pubblico l’immaginario legato ai versi di Eliot.
Le sue sculture di luce interattive dialogavano con le parole e i suoni costruiti nella performance musicale creando contrappunti visivi e regalando un ulteriore significato alle melodie e i timbri della performance.
La residenza che abbiamo fatto insieme a Berlino e ha portato ad una serie di performance in luoghi diversi, come teatro e gallerie d’arte, ed è poi sfociata in un altro lavoro condiviso con un ensemble presso la Torre di Modena dedicato ai versi di E.E. Cummings tutti legati alle immagini di luce ed ombra.
Nel 2021, Perpetual Possibility è stato selezionato per il programma PUSH 2021. Cosa ha significato per te questo riconoscimento e quali sono stati gli sviluppi successivi per il progetto?
Sono stata felice che Italia Music Export scegliesse tra i progetti da supportare la mia performance in solo e il concerto tenutosi per Milano Music Week ne La Capsula di BASE Milano con suono immersivo 3D è stata un’opportunità estremamente stimolante.
Ho potuto in quel contesto incontrare artisti con ispirazioni di origini disparate e condividere uno spazio dedicato alla musica a 360° che mi ha aiutata ad espandere il mio raggio di ascolto in direzioni che non avrei pensato di poter raggiungere prima.
In questi anni hai avuto l’opportunità di collaborare con artisti di grande rilievo, come Ambrose Akinmusire. Quali aspetti delle loro personalità artistiche hai trovato stimolanti e come hanno arricchito il tuo percorso?
Le collaborazioni che intreccio da quando ho cominciato a fare questo mestiere hanno tutte indiscriminatamente arricchito la mia prospettiva di musicista ma anche di essere umano.
Credo che la musica esista soprattutto come condivisione, anche quando la si fa da soli e mi sento sincera quando dico che ognun* delle persone con cui ho condiviso musica ha cambiato qualcosa nel mio modo di pensare e fare questo mestiere.
Tra le tue esperienze recenti, troviamo anche la creazione del progetto CÀLÓR, nato a Berlino. Cosa rende speciale questa formazione e quali sono le sfide nel creare musica in una città culturalmente vibrante come Berlino?
L’idea è nata durante l’estate del 2021 con l’approfondimento del mio contatto con la scena musicale di Berlino che si compone di musicisti, improvvisatori e compositori il cui lavoro è di grande interesse per la mia ricerca. Ho immaginato il repertorio come una specie di dialogo aperto tra corpo e mente e allo stesso tempo una celebrazione di questa relazione straordinariamente complessa di cui ognuno di noi fa esperienza in maniera del tutto personale. Ho voluto raccontare attraverso il linguaggio della musica la relazione tra la realtà sensibile del corpo e quella percettiva della mente e celebrare la fragilità del sottile equilibrio che intercorre tra le due.
per quest’album ho curato per intero la produzione musicale dell’album, mentre sia per Tomorrow che per EMIT ero stata affiancata da Andrea Lombardini, musicista e produttore per il quale nutro una stima profonda e da cui ho imparato moltissimo. Càlór è pensato come un corpo in movimento dove grande spazio è lasciato alla personalità dei componenti del gruppo e la composizione è una parte integrante ma non il focus centrale del lavoro, tanto che le tracce Hear, Scent, Sacrum, Chest e Throat nascono come composizioni estemporanee in studio affidate ad un solo strumentista o un duo, che ho successivamente rielaborato in fase di post-produzione.
Ognuno dei membri della band (Julius Windisch, Nick Dunston, Lukas Akintaya) è stata la primigenia ispirazione che mi ha spinta ad immaginare questo album. Ognuno di loro è un bandleader, un compositore, un improvvisatore e un musicista alla costante ricerca di innovazione della propria prospettiva artistica e della propria produzione musicale. Sono strumentisti straordinari, ma soprattutto sono artisti che pensano alla musica non come mero atto estetico ma come una forza espressiva e un linguaggio in costante evoluzione di forma e significato.
Questa prospettiva è sicuramente resa possibile dalla scena multiculturale e così variegata di Berlino, dove si incontrano davvero musicisti proveniente da tutto il mondo e che in questa città trovano concretamente lo spazio per investire sulla propria ricerca.
Hai ottenuto diversi premi e riconoscimenti in festival jazz internazionali. Come vivi la competizione e quali credi siano le qualità che più ti hanno permesso di affermarti?
In realtà sono una persona decisamente poco competitiva.
Non riesco proprio a mettere insieme il concetto di competizione e di musica e quando anni fa ho partecipato a concorsi sapevo che in realtà stavo semplicemente cercando una comunità di cui far parte, prima di iscrivermi al bachelor a Siena Jazz e trovarla dunque in un luogo di apprendimento e condivisione.
Certamente un talento smisurato o una tecnica sopraffina, che comunque non credo di possedere, possono essere parametri di grande fascinazione ma credo che la musica come entità significante si trovi decisamente in un altro luogo.
Gli artisti con cui mi sono formata a livello di ascolti e come professionista mi hanno insegnato che la dedizione vera, l’impegno senza tregua e l’autenticità del lavoro sono in realtà le uniche strade da perseguire per rendere giustizia all’unica cosa importante:
la Musica.
Spesso sperimenti con il live electronics e le sonorità elettro-acustiche. Quali strumenti e tecnologie ti ispirano di più e come li utilizzi per creare atmosfere uniche nei tuoi concerti?
Sono da sempre estremamente affascinata dalla commistione tra suoni acustici ed elettronici, malgrado l’equilibrio tra queste due fonti sia estremamente delicato.
Mi affascinano soprattutto le contrapposizioni e gli estremi sia a livello timbrico che a livello di frequenze sonore e cerco di riportare questa tensione all’interno della musica che scrivo.
In questo momento utilizzo qualche pedale e Supercollider sul laptop che mi aiuta a scoprire, attraverso la sintesi granulare del suono, un mondo infinitamente esteso di cui mi riservo di occupare una superficie piccolissima nelle mie performance, ma che per me ha molto significato.
C’è un aspetto legato al codice che è una contraddizione e che forse proprio in quanto tale così tanto mi appassiona: la scrittura dev’essere assolutamente precisa, altrimenti la funzione risulta in errore e nessun suono viene prodotto, ma il risultato musicale è sempre diverso e non del tutto prevedibile.
E’ come un rischio ‘controllato’ che decido di prendermi ogni volta, condividendo quell’esperienza con il pubblico.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi progetti principali e cosa desideri esplorare ancora nel tuo percorso musicale?
Per quanto sia complesso dal punto di vista logistico, sto lavorando a tanti progetti diversi. Continuo a lavorare al progetto in solo ‘Perpetual Possibility’ in forme diverse.
Finalmente a novembre è uscito ELEkTRA l’album in large ensemble, per il quale ho scritto una suite in cinque parti dedicata a cinque figure archetipe femminili con Simone Graziano(pn/synth), Francesco Fiorenzani(chit), Francesco Ponticelli(cbasso), Francesca Remigi (batt) e la partecipazione di Andrea Lombardini(basso el.), Michele Tino(alto sax), Francesco Fratini(tromba), Giulia Barba(baritono/soprano), Federico Pierantoni(trombone), Francesco Bigoni(tenore), Anais Drago(violino) , del quale è già uscito un singolo nel 2020 per l’etichetta Ropeadope.
Altri lavori a cui mi dedicherò nel prossimo futuro sono :
-il duo con il pianista e compositore Simone Graziano con il quale condivido un vibrante spazio di ricerca nel quale cerchiamo di abbattere i confini legati alle specialità dei nostri strumenti, azzardando un movimento costante dei ruoli in cui lui canta e io suono il pianoforte e nel quale viviamo lo spazio della performance in maniera non sempre convenzionale per un duo voce e pianoforte.
Grazie al sostegno del Sud Tirol Jazz Festival il duo si è avvalso della partecipazione del batterista Julian Sartorius per due residenze e altrettanti concerti tenutisi a Bolzano e Lipsia nel 2024
-il trio con Giulia Barba al clarinetto basso e Anais Drago al violino
-il sestetto elettro-acustico ‘Sanguigna Ensemble’ con musica dedicata alle poesie di E.E. Cummings con Francesco Fiorenzani(chit), Andrea Beninati (violoncello), Pierluigi Fantozzi(clarinetto), Michele Tino(flauto/ tenore) e Simone Brilli(batt)
-il duo con Luca Perciballi alla chitarra ed live electronics Public Speaking, una meditazione sulle strategie formali e le prospettive storiche aperte in Occidente dal melodramma
-Il duo inedito La Libellula con Matt Mitchell al pianoforte, che sarà una produzione originale del Teatro Valli di Reggio Emilia con un repertorio originale dedicato ai versi di Amelia Rosselli contenuti dell’omonima collezione.
L’obbiettivo rimane sempre continuare a fare musica nel modo più onesto e gioioso possibile.
Grazie Camilla e complimenti per il tuo immenso lavoro
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