Batterista, compositrice e direttrice di progetti innovativi, Cecilia Sanchietti è una figura poliedrica della scena jazz internazionale. Tra i riconoscimenti internazionali e l’impegno come mentore per KeyChange, Cecilia Sanchietti continua a contribuire alla crescita del jazz e della musica in generale.
Con cinque album all’attivo e una carriera costellata da importanti collaborazioni, si divide tra l’Italia e la Svezia, portando il jazz oltre i confini tradizionali. In questa intervista, Cecilia condivide la sua visione della musica e il suo impegno a supporto delle nuove generazioni.
a cura di Salvatore Cucinotta
Benvenuta, Cecilia! Grazie per essere con noi. Hai un percorso musicale davvero eclettico. Cosa ti ha spinto a scegliere la batteria come strumento principale e cosa rappresenta per te?
Grazie a voi per questa intervista. Si, il mio percorso musicale è abbastanza eclettico e a tratti tortuoso e imprevedibile. Ho iniziato a suonare la batteria in età adolescenziale, Non è mai chiaro il motivo primario per cui si scelga in particolare uno strumento, ma credo nel mio caso sia stata l’energia che esso mi trasmetteva e anche la gioia. La batteria è uno strumento gioioso, certamente anche rigoroso e fermo, ma nello stesso tempo richiede molta vitalità ed energia. Inoltre deve essere suonato con gli altri e questo mi permetteva di socializzare in un contesto divertente e stimolante. Prima di suonare la batteria ho studiato pianoforte per diversi anni, come i miei genitori hanno fatto fare anche a tutti i miei fratelli e poi sono passata alla batteria. All’epoca ero innamorata di Tullio de Piscopo ed ascoltarlo in televisione era sempre un grande piacere e stimolo.
Hai pubblicato il tuo quinto album, Colours, con il Cecilia Sanchietti Swedish Quintet. Qual è il tema principale di questo lavoro e cosa speri di trasmettere al pubblico?
Il nuovo disco Colours, il mio quinto album, è centrato sul tema delle emozioni. Ogni canzone ha il nome di un colore e ogni colore rappresenta la mia di emozione, quella particolare immagine che ciascuna tonalità mi richiama. Quello che volevo fare era riflettere su quanto le emozioni ci condizionino la vita e quanto sia importante farle uscire fuori. C’è un video un teaser realizzato per il lancio del disco, un breve film di animazione di Camilla Giunta, che ha come tema centrale quello dell’acqua, che rappresenta proprio la nostra parte più inconscia. Quello che vorrei è stimolare ad ogni concerto o ascolto, le emozioni altrui, invitando il mio pubblico a sentirsi libero di sperimentare le proprie emozioni sull’immagine di ciascun colore.
Essere una musicista internazionale richiede una visione ampia. Come si combinano per te le influenze italiane e svedesi nella tua musica?
Io ho scelto la Svezia per questo disco e anche per il disco precedente perché mi sento molto vicina ad un particolare tipo di jazz più diffuso nei paesi scandinavi, che è molto legato alle atmosfere, ma anche e soprattutto alle melodie. Elemento che per certi versi qui in Italia in realtà non è molto apprezzato, anzi molto spesso viene identificato come un tratto non specifico delle arti improvvisate. La melodicità è certamente un tratto in comune tra i due paesi, ma da noi lo troviamo più in un contesto lirico, pop o di musica commerciale. In Svezia, per una parte del jazz in voga, si trovano bellissime commistioni tra elementi sonori, dinamici e timbrici e parti tematiche musicali.
Nel 2019 sei stata premiata come “New Italian Jazz Talent” dalla SIAE e hai ottenuto numerosi riconoscimenti anche all’estero. Quanto sono importanti questi premi per la tua carriera e cosa significano per te?
Sono molto importanti, come lo sarebbero per tutti, soprattutto come stimolo per andare avanti. I riconoscimenti sono dei trampolini di lancio, delle motivazioni che ci invogliano a continuare, in un contesto comunque sempre molto complesso. Detto questo, ritengo tuttavia che in realtà i premi siano poi anche da superare. Intanto non bisogna sedersi e poi, soprattutto in Italia, considerare che i riconoscimenti sono spesso momentanei. Nel nostro Paese manca un accompagnamento nel percorso dell’artista. Quando si riceve un premio ci si illude di essere finalmente considerati in un modo quasi definitivo e che questo poi andrà sempre ad incrementarsi. Cosa che invece poi non accade. Secondo me bisogna prendere i premi sempre in un modo molto equilibrato, per non rischiare poi di creare una forte delusione successivamente e continuare a confidare nelle proprie risorse e talenti.
Sei anche direttrice di Improve – Business for Creators, un progetto per supportare musicisti nella gestione della carriera. Da cosa nasce questa idea e quali sono i principali obiettivi che vuoi raggiungere con questo progetto?
Il progetto nasce sempre dalla mia conoscenza di un contesto internazionale, dove questo tipo di attività di supporto, soprattutto di mentoring, coaching, tutoring è molto diffuso. L’idea che un o una ‘artista abbia bisogno di un orientamento continuo, o legato ad un particolare periodo, di un punto di riferimento, magari di un/a musicista già molto più affermato, è una realtà. Da noi assente. Io sto provando a portarlo anche nel nostro Paese, ma non è facile, perché non è un’attività riconosciuta. Gli obiettivi sono quelli di far capire l’importanza di questo tipo di formazione, che non è soltanto musicale, ma anche di affiancamento alla persona, con un percorso a tratti anche psicologico, emotivo, ma sempre professionale e volto allo sviluppo della propria carriera. Considerare l’artista come un tutt’uno.
Nella tua carriera hai collaborato con artisti di tutto il mondo, come Nicolas Kummert e Javier Girotto. Quali sono le esperienze che più ti hanno arricchita sul piano artistico?
Le esperienze internazionali mi hanno arricchito e mi arricchiscono tutte molto. Ho suonato in tantissimi Paesi e con musicisti/e provenienti da molte città diverse, Svezia, Belgio, Germania, Austria, USA etc.. e sono state tutte un grandissimo arricchimento per me. Ritengo che sia importante, se non fondamentale, per un musicista, confrontarsi con quello che accade all’estero, con il modo di intendere la musica in altri Paesi, anche per decentrarsi e mettersi continuamente in discussione. Sicuramente anche le collaborazioni in Italia sono state molto importanti, ma credo che sia veramente fondamentale uscire dai nostri confini.
Sei una mentor per KeyChange, un’iniziativa per la parità di genere nella musica. Quanto è importante per te questo ruolo e come contribuisci alla promozione della diversità nel settore musicale?
Il discorso della parità di genere è un argomento che mi tocca tantissimo, che ho affrontato sia con Key change, come mentor, ma anche con la mia associazione JazzMine, una organizzazione che ho avuto fino a qualche anno fa e con cui ho realizzato, insieme ad altri musicisti e musiciste italiane, alcune attività sul gender balance nel Jazz. Il ruolo di mentor per Key Change si lega al discorso della domanda precedente, della mission propria anche della mia associazione e quindi continua ad essere cruciale, anche se in quel contesto è maggiormente legato alle donne. Il discorso della diversità nella musica per me è veramente importante, continuo ad affrontarlo sia con iniziative specifiche, che nella vita musicale di tutti i giorni, discutendone con i musicisti, cercando di creare un contesto che sia migliore, più egualitario e di far riflettere tutti quanti su quanto ancora le barriere, in particolare tra le donne e gli uomini, siano ancora molto alte così come le discriminazioni siano ancora presenti.
Ogni tuo album sembra rappresentare un’evoluzione stilistica. Come descriveresti il tuo processo creativo e da cosa trai ispirazione per le tue composizioni?
Quando si scrive è sempre difficile dare una connotazione, uno stile alla propria musica. Lo stile molto spesso viene osservato da critici esterni, ma non è sempre nelle intenzioni del compositore prima della scrittura stessa. Sicuramente quello che ho fatto dal mio primo disco nel 2015, all’ultimo, è un allontanarmi sempre di più da un jazz più strutturale, basato su forme specifiche e avvicinarmi ad una forma più aperta, tipica del Nord Europa. Con composizioni centrate maggiormente sul suono, anche se le melodie continuano ad essere cruciali per me. Il mio processo creativo di solito prende ispirazione da qualcosa, difficilmente ho composto senza sapere che cosa stessi facendo, a quale tema mi ispirassi. Molto spesso faccio dei concept album o mi ispiro a delle emozioni, sensazioni, a un suono, che poi è caratteristico di un’emozione sottostante. Di norma ho in mente già delle melodie che mi vengono in mente improvvisamente, cantandole, sognandole, mentre passeggio, intorno alle quali costruisco la struttura circostante, suonando sempre prima al pianoforte.
Il tuo percorso ti ha portata ad esibirti su palchi internazionali e in contesti molto diversi. Cosa ti affascina di più dell’esperienza live e come ti approcci a ogni performance?
Il live al contesto che preferisco sempre di più, anche rispetto alla sala registrazione. Mi piace molto il rapporto con il pubblico, mi faccio condizionare dal pubblico e suono per il pubblico. La mia musica vive dell’anima dei presenti al live e ha bisogno della sua interazione. Avere dei palchi internazionali e un’audience anche non italiana, è stato fondamentale anche per una nuova contaminazione. La preparazione di una performance è sempre piena di emozione, non è vero che più si va avanti minore è l’emozione, o a tratti anche l’ansia. Sicuramente vengono gestite meglio, ma per fortuna ancora esistono e danno l’adrenalina utile nella performance. A parte questo, mi piace molto anche la preparazione, la parte promozionale. Creo un’immagine coordinata del concerto, una comunicazione grafica efficace e mi piace dedicarmi anche all’identità sul palco, l’immagine mia, ma anche quella della band, che trovo essere una cosa fondamentale oggi.
Infine, quali sono i tuoi prossimi progetti e collaborazioni, e cosa possiamo aspettarci dal futuro artistico di Cecilia Sanchietti?
Questa è una domanda sempre molto difficile, perché molto spesso la mia è una creazione estemporanea e viene fuori senza preavviso. Sto lavorando a diverse idee, alcune più legate a dei progetti quasi solistici, con batteria e un solo altro strumento, ma soprattutto alla creazione di un trio europeo. Ho iniziato a scrivere nuovi brani e non so dare un tempo rispetto l’uscita di questi progetti, ma in linea generale, sicuramente, vedranno la luce entro un anno.
Grazie Cecilia per questa intervista. Complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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