Il suo album di debutto, “(Donne)”, ha ricevuto apprezzamenti per la profondità emotiva e la qualità artistica. Attiva anche come insegnante di musica, Chiara continua a esplorare nuove frontiere sonore, collaborando con vari artisti e partecipando a numerosi eventi musicali.
a cura di Salvatore Cucinotta
Benvenuta, Chiara. È un piacere averti con noi. Puoi raccontarci come è iniziato il tuo percorso nel mondo della musica e quali sono state le tue principali influenze?
Innanzitutto, vi ringrazio e vi saluto. Riguardo i miei primi passi nel mondo della musica, ufficialmente iniziano all’età di 11 anni, con la scuola media ad indirizzo musicale della mia città, Lecce. In realtà credo di essere sempre stata una creatura molto ricettiva nei confronti della musica: ho dei ricordi fumosi (ma confermati dai racconti dei miei genitori) di una me bambina, durante le ore di gioco libero nella scuola dell’infanzia che, invece di buttarsi nella mischia con gli altri bimbi, resta vicino al giradischi della maestra ad ascoltare le canzoncine, a memorizzarle, canticchiarle. Senza contare i miei interi pomeriggi alla tastiera Bontempi, riproducendo ad orecchio melodie e temi conosciuti, ascoltati alla tv o alla radio. In casa mia, sebbene nessuno fosse musicista, c’è sempre stato un grande amore per la musica: si ascoltava, si cantava, si danzava.
Il tuo album di debutto, “(Donne)”, ha ricevuto ottime recensioni. Qual è stata l’ispirazione dietro questo progetto e cosa volevi comunicare attraverso le tue composizioni?
Sono molto fiera del successo e del percorso fatto dal mio disco. Sebbene non abbia venduto milioni di copie e non abbia vinto un Grammy, ha fatto letteralmente il giro del mondo: non solo le copie fisiche vendute ma anche gli ascolti su Spotify, dimostrano la capacità di alcuni lavori di arrivare a chiunque e ovunque. Non posso che essere felice di questo proprio perché “(donne)” è il frutto di anni di ricerca linguistica, di ore e ore di ascolto, di scrittura e riscrittura di arrangiamenti musicali. L’ispirazione è venuta da me, da un momento di profonda indagine sul mio essere donna, femmina, e da un libro che ha letteralmente sconvolto positivamente la mia vita: “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés. Con “(Donne)” ho voluto racchiudere in un piccolo scrigno, nove brani provenienti da culture lontane e differenti tra di loro, nove storie che rappresentassero il Femminino, l’archetipo femminile junghiano che governa il mondo. La Madre, la Moglie, la Figlia, la Terra natìa, la Libertà: tutte declinazioni di un’unica grande essenza che crea, distrugge, dona la vita, la toglie. Per questo le parentesi sono parte fondamentale e integrante del titolo del disco: si parla di donne non come esseri femminili con nomi e cognomi ma di donne in quanto storie, esempi antichi e sempre nuovi, lontani ma estremamente simili tra di loro, di madri, mogli, figlie, vittime del patriarcato e del pregiudizio, dell’amore e dell’odio.
Sei sia chitarrista che compositrice. Come bilanci questi due ruoli nella tua carriera e quale dei due senti più vicino alla tua espressione artistica?
Più che chitarrista, cantante, compositrice, sento di definirmi più genericamente musicista. Questa definizione la sento come un vestito comodo, nel quale ho maggiore libertà di movimento. Non c’è una versione di me che sento più vicina in assoluto; ci sono periodi della mia vita in cui riesco ad esprimermi meglio con la chitarra piuttosto che con la composizione o il canto. Altre volte, sento impellente il bisogno di tirare fuori da me tutta la musica che sento dentro. Negli ultimi dieci anni ho scoperto anche un grande amore per i tamburi e le percussioni a cornice che mi spinge a studiare e ricercare in ambiti non solo strettamente musicali ma anche personali, spirituali, etnologici. D’altra parte, sono nata e cresciuta nella terra della Taranta e noi siamo intimamente connessi con i ritmi e i suoni della terra natìa.
La narrazione è un elemento centrale nel tuo lavoro. Come riesci a raccontare storie attraverso la musica e quali temi ti appassionano di più?
Adoro raccontare storie, amo definirmi una “cantadora”. Per questo, negli ultimi dieci anni ho riscoperto il canto come forma primaria di comunicazione artistica: l’unione dello strumento a corda o a percussione con lo strumento voce, mi permette di evocare storie, incantesimi, personaggi reali o immaginari. I temi che mi stanno più a cuore sono sicuramente quelli legati al femminile, all’uguaglianza di genere, nonché quello della pace universale. Cantare in tante lingue diverse mi dà l’opportunità di ricordare, a gran voce, che siamo tutti appartenenti ad un’unica, grande famiglia: il genere umano.
Hai collaborato con diversi artisti e partecipato a vari eventi musicali. Quale collaborazione o performance ricordi con particolare affetto e perché?
Ogni persona con cui ho condiviso un palco mi ha lasciato qualcosa di sé, un insegnamento, sia positivo che negativo; perciò, sono grata a tutte e tutti. Ovviamente la collaborazione con mio fratello, Luigi Papa, flautista, è sempre stata quella più intensa e magica, sebbene anche la più rara ormai. E poi non dimenticherò mai il mio amico polistrumentista statunitense Duane Large: un fratello artistico che ci ha lasciati troppo presto ma che, insieme ad un grande vuoto, ha impresso nel mio cuore la gioia pura e quasi infantile di fare musica, un entusiasmo che non mi abbandonerà mai. Per quanto riguarda l’evento musicale che ricordo con particolare affetto direi, senza esitazione, la mia intervista ed esibizione in diretta con “Al Mayedeen”, tv libanese, in pieno periodo Covid, nel marzo 2020. Avevo lanciato, sul mio profilo facebook, l’hashtag #chiaracantaunacanzonealgiorno. Volevo fare qualcosa per aiutare in un momento drammatico come quello che stavamo vivendo e l’unica cosa che potevo fare era cantare, offrire la mia musica. Sentivo a me molto vicina la questione iraniana e, con l’aiuto di due cari amici persiani ho messo in musica una poesia antichissima, “Bani Adam”, del poeta persiano Saadi Shirazi. La canzone ha avuto migliaia di visualizzazioni e pochi giorni dopo sono stata contattata per questa diretta: un esempio di potere positivo dei social nonché un’esperienza personale e professionale indimenticabile.
Oltre alla tua attività artistica, insegni musica. Come questa esperienza influenza la tua crescita personale e professionale?
William Yeats ha scritto: “Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco”. Ecco, insegnare mi consente di accendere fuochi in giovani cuori, mi dà la possibilità di formare futuri musicisti o, più spesso, fruitori e ascoltatori di musica attenti e consapevoli. Ovviamente è complesso gestire le energie e il tempo da dedicare alla scuola e all’attività artistica ma ne vale decisamente la pena.
Il panorama musicale è in continua evoluzione. Come vedi il futuro della musica in Italia e quale pensi sia il ruolo degli artisti nel promuovere il cambiamento?
Preferisco non concentrarmi sulla musica commerciale e sulle grandi major italiane: fabbriche di meteore che nascono sui social che assecondano i bisogni degli adolescenti e rincorrono i like e le visualizzazioni. La mia attenzione va alle piccole realtà, alle città in fermento, alle etichette indipendenti, alla rinascita dei jazz club e alle giovani orchestre che sbocciano e lottano contro la burocrazia ed un pubblico sempre meno educato all’ascolto e alla buona musica. Li definisco i luoghi della “Resistenza artistica”. Sono loro i promotori del cambiamento e, nel mio piccolo, sento di farne parte anche io.
Hai recentemente pubblicato la composizione “Blossom” per pianoforte solo. Puoi parlarci del processo creativo dietro questo brano e della collaborazione con l’interprete?
“Blossom” è nata mentre ero incinta di nove mesi. Immaginavo la bambina che portavo in grembo con un piccolo bocciolo che sta per schiudersi, cercando la luce attraverso il buio. Avevo un pancione davvero ingombrante, talmente tanto da non riuscire ad imbracciare la chitarra. Ma avevo un’urgenza, una cellula melodica che mi ossessionava da settimane. E così mi sono seduta alla tastiera e ho scritto. Non sono una pianista, mi diverto al pianoforte, perciò, avevo bisogno di un interprete che desse vita a ciò che avevo messo su carta pentagrammata. Ho chiesto a Roberta Caniglia, una mia collega con la quale collaboravo in quel periodo, di interpretare, da pianista e da madre, quella composizione scritta per la mia bambina, Matilde, il mio piccolo bocciolo. E così è nata “Blossom”.
La tua presenza online, come sul tuo canale YouTube, è significativa. Quanto è importante per te utilizzare le piattaforme digitali per condividere la tua musica e connetterti con il pubblico?
Conoscere e saper usare le piattaforme digitali è fondamentale per il musicista di oggi. Essere dentro alle dinamiche social e usarle positivamente permette di condividere la propria musica, il modo in cui la si vive e, perché no, entrare in contatto con artisti che hanno affinità e sensibilità vicine alle proprie. E poi io trovo molto divertente e creativamente stimolate produrre nuovi contenuti per il mondo online.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e quali obiettivi speri di raggiungere nella tua carriera musicale?
Chi mi conosce sa che la mia mente non sta ferma un attimo. Ho tante idee e progetti, alcuni dei quali in lavorazione. Mi auguro di riuscire a terminare e pubblicare un secondo disco e di esportare alcuni progetti anche fuori dal panorama italiano. Intanto il 2025 mi vede parte, insieme al chitarrista Marco Carrozzino, di “Maldamor”, uno spettacolo di musica e teatro sulla vita della poetessa Alda Merini scritto e recitato dall’attrice Agnese Perrone.
Siamo nel cartellone eventi di Puglia Culture e andremo in scena sul bellissimo palco del Teatro Paisiello di Lecce, il 12 marzo prossimo. Vi aspettiamo!
Grazie a te Chiara e complimenti per il tuo lavoro
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