CHINO, giovane rapper, sta emergendo nella scena musicale italiana con il suo rap introspettivo e sociale. Nato in una famiglia che ha sempre respirato arte di strada, CHINO ha trovato ispirazione nel personaggio creato da suo zio, ex writer, per dare vita alle sue rime. In questa intervista, ci parla delle sue passioni, delle sfide affrontate e delle sue ambizioni nel mondo della musica.
a cura di Noemi Aloisi
Benvenuto CHINO, tra le tue passioni c’è la musica, infatti hai già composto diversi testi nonostante la tua giovane età. Da cosa ti lasci ispirare quando componi?
Quando scrivo mi ispiro a ciò che accade nel mondo e a ciò che vivo ogni giorno, cercando di descriverlo attraverso le rime.
Cosa significa per te cantare?
Cantare significa per me dare voce a CHINO, un personaggio che non esiste realmente ma a cui ho deciso di dar voce con il rap – vedi foto.
Come ti sei avvicinato al genere del rap?
Ho sempre ascoltato il rap, fin da bambino con gli Articolo 31, grazie a mia madre. Da piccolo ho frequentato corsi di breakdance e a 15 anni ho iniziato a comporre i miei primi testi, per poi calcare il primo palco a 18 anni.
Nelle tue canzoni, che tematiche affronti?
Affronto principalmente tematiche sociali, cercando di far riflettere i miei ascoltatori. Anche se molto spesso mi lascio trasportare dal mio stato d’animo, e mi escono canzoni più introspettive.
Nello scenario attuale quali sono i tuoi rapper preferiti?
Tedua, Kid Yugi e Marracash sono i miei artisti preferiti. Ognuno di loro, attraverso le proprie liriche, racconta il disagio della propria generazione.
Oltre al rap ci sono altri generi musicali che apprezzi?
Sono molto fan del pop (fatto bene) e sono affascinato da qualsiasi tipo di strumento musicale.
CHINO è il tuo pseudonimo, si tratta di un personaggio ideato da tuo zio, ex writer di strada. Vuoi dirci qualcosa a riguardo?
Sì, quando a 15 anni mi sono trasferito da Genova a Roma, ho vissuto il primo anno da mia nonna, nella vecchia stanza di mio zio. Esattamente lì sono nati i miei primi testi. Mi sentivo proprio come lui, sentivo come se ci fosse una connessione spirituale con quel murales. Era come se mi parlasse dicendomi “Andre, tu sei vivo”. Così ho deciso di rimboccarmi le maniche e dare voce a CHINO. Mio zio lo chiamò così perché ha il volto chino ed è nero come la china.
Hai fatto anche breakdance, attualmente hai accantonato questa attività o continui a portarla avanti?
Quando mi sono trasferito a Roma ho mollato la breakdance, tuttavia terrò sempre un occhio di riguardo per questa disciplina dell’hip hop. Ne sono sempre stato affascinato sin da quando l’ho scoperta da ragazzino con “Step Up”, e continuo a nutrire immenso rispetto per tutti i bboy e le fly girl.
Ti sei trasferito a Roma da Genova con la tua famiglia. Ti piace Roma? Credi che sia un valore aggiunto stare in questa città per chi vuole fare musica?
Il trasferimento è stato un trauma, ma anche un’opportunità, perché attraverso la sofferenza sono riuscito a crescere e a trovare la mia strada. Roma è sicuramente una città immensa, e in quanto tale tende a farti sentire microscopico, quasi inesistente, ma ti dà immense opportunità che non trovi altrove.
Attualmente stai lavorando a qualche nuovo progetto?
Sì, sto lavorando a più progetti, sto cercando di sperimentare per crescere come artista e come persona.
Grazie Chino e complimenti per il tuo lavoro
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