Giornalista, scrittrice, sceneggiatrice e molto altro, Daniela ha dedicato oltre venticinque anni alla comunicazione e all’editoria, collaborando con testate e associazioni cultural.
I suoi lavori spaziano dalla narrativa alla sceneggiatura.
Daniela ha ottenuto riconoscimenti per il suo romanzo “I giorni del Cobra,” un avvincente giallo noir che ha conquistato i premi letterari “SANREMO WRITERS” e “Emily Dickinson,” oltre a una menzione speciale al premio nazionale “L’AZALEA.” La sua sceneggiatura, basata sul romanzo, ha vinto anche il premio cinematografico “MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE” al “GULF OF NAPLES.”
Benvenuta Daniela, il tuo percorso professionale è estremamente ricco e variegato. Come riesci a conciliare i tuoi ruoli di scrittrice, sceneggiatrice, giornalista e promoter culturale? C’è un filo conduttore che lega tutte queste esperienze?
Grazie a voi per avermi ospitata. Per me è un onore. Questa intervista la trovo fantastica, con domande finalmente nuove e che permettono un approfondimento. C’è un unico filo conduttore ed è la passione, l’interesse per creare nuove cose, nuove idee da sviluppare. Certo non è facile, ma ci provo. La cultura è tutto ciò che muove il mondo e aiuta l’essere umano a migliorarsi. Sono concetti che non sempre hanno presa sul pubblico, ma, ripeto, si insiste.
“I giorni del Cobra” è il tuo ultimo lavoro, un giallo noir che ha già ottenuto grandi riconoscimenti. Cosa ti ha spinto a scrivere questa storia? Come hai dato vita al personaggio del Cobra e cosa rappresenta per te?
Posso ritenermi sorpresa da questi riconoscimenti e orgogliosa del mio percorso di scrittrice. Ho sempre amato il genere giallo, ma non osavo cimentarmi. Poi, un bel giorno, c’è stato quel click nella mente che mi ha spinto a provarci. Avevo ascoltato le storie raccontatemi da mia madre su Castellammare di Stabia, luogo dove è ambientata la storia, e tante chicche di avvenimenti da lei vissuti e così, come per magia, è nato “I giorni del cobra”, primo libro di un progetto che spero di portare avanti. Il cobra rappresenta il male che c’è in ogni essere umano, trattenuto e messo da parte dalla ragione e dall’educazione. Ma il male può trasformarsi e diventare operativo nel momento in cui c’è un qualcosa che altera la mente. Il male è fatto di tante sfumature, si trasforma, si nasconde, risulta banale, incomprensibile. Per me il cobra è il simbolo della falsità dell’essere umano, della sua pericolosità, il cobra è vicino a noi, a volte si camuffa da amico per poi colpirti quando meno te lo aspetti.
Nella tua carriera hai affrontato diversi generi, dal romanzo alla sceneggiatura per fiction e teatro. Come cambia il tuo approccio alla scrittura in base al medium con cui lavori? E quale preferisci?
Sì, ho affrontato diversi generi letterari, dal romanzo appunto, alla sceneggiatura tratta da alcuni romanzi, sia per le fiction che per il teatro. La mia scrittura cambia inesorabilmente quando mi ritrovo davanti al progetto. Scrivere una fiction tv significa riassumere, mettere in evidenza le cose essenziali, puntare sull’effetto wow; per il teatro è ancora una volta diverso, la scrittura teatrale vuole il dialogo, l’approfondimento psicologico, la sintesi assoluta. Io preferisco la scrittura delle sceneggiature per le fiction tv, ho la possibilità eccezionale di trasformare le parole in immagini e intuire cosa serve e cosa non serve.
Hai vinto il prestigioso premio “Sanremo Writers 2024” con la sceneggiatura de “I giorni del Cobra”. Cosa pensi abbia colpito maggiormente la giuria di Maurizio de Giovanni nel tuo lavoro?
È un riconoscimento a cui tengo particolarmente, grazie per la domanda. Credo che abbia colpito l’ambientazione e i personaggi che vivono un dilemma interiore che li fa comunque vivere sul filo del baratro, sospesi tra il bene e il male, oltre al cobra che ha già scelto da tempo il suo ruolo malefico.
Nelle tue storie, come in “I giorni del Cobra”, tratti tematiche forti e profonde come la violenza e la vendetta. Quanto è importante per te raccontare il lato oscuro della società e come ti prepari a farlo in modo rispettoso, ma incisivo?
Mi piace raccontare le dinamiche mentali, i dubbi, le contraddizioni dell’essere umano e di conseguenza il lato oscuro della società. La vendetta, la rabbia sono sentimenti molto pericolosi che, a lungo andare, portano a effetti negativi. Mi preparo ascoltando le storie degli altri e riflettendo sui miei stessi sentimenti, vivendo i fatti che mi accadono. Osservo molto le persone. L’incisività per me è tutto. La mia scrittura non è consolatoria, ci tengo a certe asprezze e verità.
Sei anche formatrice e insegnante privata di scrittura creativa e sceneggiatura. Quali consigli dai ai tuoi studenti per trovare la loro voce nel mondo della scrittura, e come li incoraggi ad affrontare le sfide del settore editoriale?
Riuscire a fare questi corsi non è semplice, ci vuole coraggio e fortuna per attirare chi è davvero interessato. Il corso di scrittura in giallo è partito bene e spero di ripeterlo a novembre. I gialli vanno molto di moda, c’è stato un boom nell’ultimo decennio. Come incoraggio i corsisti? Essere originali, mettersi alla prova, non avere paura di creare qualcosa di personale. Le sfide si affrontano avendo caparbietà.
Oltre alla scrittura, ti occupi anche di promozione culturale, eventi e social media management. Quanto è importante, oggi, che un autore si dedichi alla propria promozione e visibilità? E come riesci a gestire tutti questi aspetti?
Fortunatamente non tutto accade in contemporanea, così gestisco abbastanza bene tutto. La visibilità è necessaria, la promozione è un punto fondamentale ed è lo scrittore che deve capirlo, nessuna ce medio piccola può provvedere a fare pubblicità a tutti i suoi autori. Bisogna affidarsi a professionisti, invece ora chiunque può fare recensioni, interviste, collegamenti video. Non è quella la vera promozione semplicemente perché non tutti sono in grado di saperla fare, di avere competenze adatte.
Il tuo romanzo “La giusta via” è stato scelto tra i finalisti per il “Sanremo Writers 2023”. Come descriveresti il processo creativo dietro questo lavoro e come è stato adattarlo per una sceneggiatura televisiva?
“La giusta via” è il mio secondo romanzo di formazione e ci tengo molto. Ho trattato il tema della follia femminile, un argomento ancora oggi tabù e soggetto a vari pregiudizi. Il processo creativo parte dalla città di Roma, da quando, anni fa, mi ero imbattuta in un broker finanziario che sembrava avere le risposte a qualsiasi cosa, un manipolatore seriale che ha ispirato il personaggio di Augusto Francipane, il marito della protagonista Margherita Sossio. Parto sempre dalla configurazione dei personaggi che, più o meno, riflettono persone reali incontrate, per poi arrivare alla creazione dell’ambientazione e della storia da narrare. Scrivere per me è scavare nella mia mente. Adattarlo a una sceneggiatura televisiva è stato esaltante perché è come togliere la polvere da un mobile che aspetta solo di brillare.
Con una carriera che spazia tra romanzi, sceneggiature, giornalismo e molto altro, quali sono i progetti futuri su cui stai lavorando? Ci sono nuovi generi o forme di espressione che vorresti esplorare?
Continuo a fare la tutor letteraria, l’ufficio stampa, l’agente letterario che sono impegni importanti e di grande responsabilità. Mi piacerebbe fare un podcast settimanale, dove parlare a ruota libera con persone che fanno cultura. Oggi il podcast è il nuovo modo di condurre un programma; ce ne sono tanti che io stessa seguo su instagram. Vedremo. Per ora sto scrivendo un romanzo come ghost writer e proseguo il mio, ovvero il secondo libro che segue “I giorni del cobra” e che racconta le vicende del commissariato di via De Gasperi a Castellammare di Stabia.
Come pensi che sia cambiato il panorama letterario e cinematografico negli ultimi anni in Italia? Quali sono le sfide più grandi che hai incontrato come autrice e sceneggiatrice, e come le hai superate?
Il panorama letterario è cambiato in peggio, è business soltanto, la voglia di investire è scomparsa, i mecenati non esistono più, ma è anche uguale a sé stesso, ovvero è sempre alla ricerca di storie, ma senza apprezzare le novità, ha la paura di osare su scrittori sconosciuti; con loro si potrebbero raccontare storie nuove e non i soliti argomenti che si crede possano ancora interessare al pubblico. Riguardo al cinema, lo stesso discorso, si tende troppo al buonismo, il politically correct e questo ha eliminato ogni fantasia. Le sfide le affronto ogni giorno e sono quelle della visibilità, del farsi ascoltare, del conoscere nuove forme di scrittura, di evolvermi come persona e come professionista. Non le ho superate, ce ne sono ogni giorno di nuove, sono sfide e cerco di modificare le mie irruenze, i miei errori. Non si arriva mai, credo che bisogna imparare sempre. La scorrettezza e l’arrivismo sono all’ordine del giorno, ci resto male e poi combatto anch’io. Credo non nell’imitazione di ciò che è moda, ma nel valore del provarci, sia nella scrittura, sia quando scrivo sceneggiature, sia quando faccio la promozione.
Grazie Daniela per la tua intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
Tienici aggiornati! Continua a seguirci su Che! Intervista.