Daniela Poggi è un’artista, il cui talento si estende dal teatro al cinema, dalla televisione alla letteratura. Con una carriera che abbraccia decenni e un impegno costante nei temi sociali, Daniela rappresenta una figura ispiratrice nel panorama culturale italiano. Attrice, autrice e regista, ha saputo coniugare la sua passione per l’arte con un profondo senso civico, producendo opere di grande impatto emotivo e culturale. Scopriamo di più sul suo straordinario percorso in questa intervista esclusiva.

a cura di Salvatore Cucinotta


Benvenuta Daniela! Grazie per essere con noi oggi. Iniziamo con una domanda semplice ma importante: qual è il filo conduttore che lega tutte le diverse espressioni artistiche della tua carriera?
Misurarmi sempre con l’indefinito, lo sconosciuto e sfidare le mie paure, la mia fragilità. La ricerca del senso della vita e del cammino da compiere. Cerco la luce nel buio.

Hai debuttato giovanissima a teatro con una tragedia greca in lingua francese. Cosa ricordi di quella prima esperienza e come ha influenzato il tuo percorso artistico?
Ricordo l’incredulità degli spettatori di fronte alla potenza emotiva di una ragazzina di 15 anni nel trasmettere il dramma di una madre. Ancor che molto giovane e priva di ogni esperienza ero entrata nella vita di Andromaca e della sua tragedia. Capii che avevo un dono: riuscivo ad entrare nella vita degli altri in modo empatico e rispettoso. E lì su quel palcoscenico mi sentivo “esistere”.

Nel corso della tua carriera hai lavorato con grandi nomi del teatro italiano, da Walter Chiari a Gabriele Lavia. Quali sono stati gli incontri più significativi per la tua crescita professionale?
Posso dire che ogni regista o collega con i quali ho lavorato mi hanno regalato storie vissute, esperienze, metodi, consigli o differenze. Essendo una spugna ho imparato a prendere e poi lasciare correre l’eccesso, l’inutile. Sono diventata io.

La tua produzione teatrale include spettacoli come “Io madre di mia madre” e “Anima Animale”, che affrontano temi delicati e universali. Cosa ti spinge a scegliere certi argomenti per il tuo lavoro?
Dal momento che ho capito che avevo un mio pubblico ho azzardato temi indispensabili da conoscere ed affrontare: Alzheimer, il veganesimo, la violenza contro le donne ed altri esseri viventi, l’immigrazione, la spiritualità e la fede. È la mia mission! Se mi scritturano eseguo ma se posso produrmi denuncio il vuoto che ci circonda e la mancanza di coscienza individuale. La solitudine delle esistenze invisibili.

Al cinema hai interpretato ruoli molto diversi, dal dramma alla commedia. Qual è stato il progetto cinematografico che più ti ha messo alla prova e perché?
Sicuramente “L’Esodo” di Ciro Formisano. Sono presente dal primo all’ultimo frame. Una storia drammatica ma intrisa di luce e speranza. Francesca, la mia protagonista, combatte e non si arrende e non si perde mai nell’autocommiserazione. La sua dignità benché nella miseria più nera vale sopra ogni cosa. Mantenere la misura del personaggio e delle sue intenzioni emotive non è cosa semplice. Così come la madre del reo confesso, femminicida in “Figlio, non sei più giglio” di Stefania Porrino. Ruoli intensi, drammatici, veri, potenti ed estremamente fragili.

Il tuo ruolo ne “L’Esodo” ti ha portato a vincere numerosi premi come attrice protagonista. Quali emozioni hai provato nel ricevere questi riconoscimenti?
Infinita gratitudine. Ricevere un premio è sinonimo di riconoscenza verso il lavoro che hai svolto. È lasciare un piccolo segno del tuo passaggio artistico. È darti forza e sprone per credere sempre in te stessa anche quando vedi il mondo che ti crolla addosso. Perché ogni porta che si chiude o non si apre è come un fallimento. E ferisce.

Sei stata anche protagonista di tante fiction e programmi televisivi. Cosa rende il mezzo televisivo diverso da teatro e cinema per te come artista?
Le intenzioni sono le stesse ma il modo di esprimerle è diverso. Al cinema o televisione sono prevalentemente gli occhi che parlano e tutto deve essere misurato, ogni gesto ogni movimento del viso. A teatro oltre la voce parla il corpo e quando gli spazi sono piccoli, gli occhi anticipano l’emozione. Sui set condivido le mie intenzioni con la troupe impegnata a fare altro, a parte l’operatore, il fonico e il regista. Ricevere un applauso dalla troupe è una delle esperienze più belle. Hai catalizzato la loro attenzione nonostante l’apparente disinteresse. A teatro costruisci tutto in funzione del pubblico che respira insieme a te. Sentire gli spettatori e viverli è una sensazione potente.

Il tuo impegno sociale è evidente in molte delle tue attività, dall’essere Goodwill Ambassador per l’Unicef alla creazione di Bottega Poggi. Cosa ti motiva in questo impegno per il sociale?
Noi siamo parte integrante di una società composta da vari esseri viventi. Siamo parte del tutto. Porre lo sguardo oltre me stessa è ciò che mi rende viva e consapevole che nulla sarei se non ci fossero gli altri, siano umani che animali che vegetali. È un dovere che abbiamo come artisti, proprio perché personaggi pubblici e quindi facilmente emulabili, consegnare una visione alternativa alla realtà per costruire un dialogo, un confronto e migliorare, se possibile, il presente e il futuro. Attenzionare la coscienza e gettare piccoli semi di conoscenza nei giovani ma anche negli adulti. Mi fa bene pensare che in fondo non ho vissuto solo per me ma per tanti aliti di vita.

Nel 2021 hai debuttato nella narrativa letteraria con “Ricordami!”. Com’è nata l’idea di scrivere questo libro e quali messaggi desideri trasmettere ai tuoi lettori?
Dopo 10 anni vissuti in compagnia dell’Alzheimer, non potevo che raccontare questa esperienza. Lo dovevo a mia mamma, a me e a tutti coloro che ne sono coinvolti. Ero una figlia che non esisteva più per mia mamma. Mi sentivo sradicata, sconosciuta persino a me stessa. Ed è quello che vivono tutti i caregiver. Impotenza, svuotamento, kenosis. Quell’ultima notte al capezzale di mamma, in quel tempo senza tempo, dovevo svuotare il sacco dei ricordi di chi ero stata, di cosa avevo vissuto, di cosa era fatta la mia vita. Mamma, nel suo passaggio avrebbe portato con sé per sempre il ricordo di me. Io, nel ricordare, rivivevo ed esistevo. Ho impiegato 10 anni dopo la sua salita in cielo, prima di mettermi al computer e srotolare i ricordi e quel vissuto, per consegnare la mia vita alla carta stampata. E sarebbe stato esistere per sempre. E forse la mia esperienza avrebbe aiutato altri. È così è stato.

Per concludere, quali sono i tuoi prossimi progetti artistici e sociali? E che consiglio daresti ai giovani che vogliono intraprendere una carriera nel mondo dell’arte?
Ho tanti progetti in cantiere che spaziano su vari temi. Oggi diffondere cultura è molto difficile. Affrontare temi dolorosi è pura follia. Tutti scappano da loro stessi per costruirsi realtà virtuali. Consegnare alle menti il tempo presente è come alzarsi al mattino e riempirsi di schiaffi. Perché è così che vivono coloro che fanno dell’arte un percorso sociale. Ma non demordo e busso alle porte degli sponsor e finanziatori perché Bottega Poggi possa continuare a gettare semi di luce nuova. Umilmente e generosamente. E poi mi metto in gioco, sempre, per interpretare nuovi ruoli, come nel cortometraggio di Jacopo Marchini “I nostri giorni” o “Nel bianco” di Ildo Brizzi.  Poi giro con un meraviglioso recital “L’altra Elena” con due pianiste geniali. E leggo molto oltre a vivere il mio tempo nella natura. Lì respiro veramente.

Grazie Daniela per il tempo che ci hai dedicato
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