Diego Savini, baritono originario di Città di Castello. Diplomato con lode e menzione d’onore presso il Conservatorio “Francesco Morlacchi” di Perugia, Diego ha calcato i palcoscenici più prestigiosi, interpretando ruoli iconici come Figaro ne “Il Barbiere di Siviglia” e Don Profondo ne “Il Viaggio a Reims”. La sua carriera lo ha visto esibirsi in Europa e in Asia, confermandosi come un talento versatile e apprezzato.
Benvenuto Diego, è un piacere averti con noi. Puoi raccontarci come è nata la tua passione per il canto lirico e quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della musica?
Il piacere è tutto mio.
La mia passione per il canto è nata piano piano. Da giovanissimo avevo una predisposizione sia vocale che musicale e mi divertivo a cantare nei cori della diocesi della mia città.
A 22 anni mio fratello maggiore Federico, musicista e cantante tenore nel tempo libero, mi invita ad iscrivermi alla scuola comunale di Città di Castello, perché lui stava seguendo il corso di canto lirico e notava che poteva esserci già un talento naturale da parte mia.
Da quel momento ho scoperto di avere una voce e ho cominciato ad appassionarmi, ascoltavo i grandi cantanti del passato e macinavo opere dalla mattina alla sera. a 26 anni mi sono iscritto al conservatorio di Perugia e seguivo gli studi mentre lavoravo come litografo, fino a che ho cominciato a vincere i primi concorsi e ho lasciato il lavoro per inseguire il mio sogno. Da lì sono partite le prime esperienze.
Ho preso confidenza con il palcoscenico grazie a concorsi a ruolo e opere studio, da subito si è notato il talento anche per la recitazione, ma ancora ero un diamante grezzo da raffinare; continuando a studiare, perfezionarmi e a fare esperienza, sono cresciuto, grazie anche a maestri di rilievo. Poi, piano piano, seguendo la mia strada, sono arrivati i primi ingaggi da professionista, ed eccomi qui.
Fino a 22 anni avevo tutti altri progetti per la vita, ma da bambino sentivo che l’arte doveva far parte della mia vita, ero un disegnatore nato ed ero molto creativo. Arrivato il canto nella mia vita è stato come amore a prima vista, sapevo che potevo esprimere il mio potenziale artistico attraverso il bellissimo mondo dell’Opera.
Hai debuttato giovanissimo in ruoli iconici come Belcore ne L’Elisir d’Amore e Leporello in Don Giovanni. Quali emozioni ricordi di quei momenti?
Il primo mio debutto è stato proprio Leporello in un’opera studio a Pinerolo (TO).
Ricordo che ero secondo cast con il primo cast di professionisti e non c’era tempo per far provare tutti e due i cast. Ad un certo punto il regista mi dice “ok hai visto quello che devi fare dal primo cast, ora vai tu e fammi vedere di che pasta sei fatto” Non avevo mai fatto mezza prova di arte scenica.
Ed era la prima volta che provavo la scena.
Quindi sono stato preso e buttato nell’acqua alta, ed in qualche modo dovevo cominciare a nuotare.
C’era molta agitazione, ma poi ho cominciato a pensare al personaggio e a buttarmi. Da lì ho scoperto di essere portato per i ruoli di carattere (buffi). Se mi divertivo io, allora anche il pubblico si divertiva con me, oltretutto non è difficile divertirsi con un ruolo come Leporello.
Alla fine è andato tutto a meraviglia, il pubblico apprezzò molto.
Belcore l’ho debuttato proprio nella mia Città di Castello, ho un ricordo molto bello di quella produzione. Muovevo proprio allora i primi passi , avevo 22 anni. Era una piccola produzione della scuola di musica. Mio fratello gemello Livio allestiva la scenografia e Federico cantava Nemorino. Ricordo che prima di entrare in palco, tremavo dall’emozione, il regista, essendo una delle prime cose che facevo “, mi diceva in prova come dovevo mettere la mano, il piede ecc e questo mi faceva sentire molto legato. Poi ho fatto un bel respiro, mi sono detto, ma Diego pensa alla spavalderia di Belcore e lasciati andare, ho fatto a modo mio e tutto andó per il meglio. A quell’età, non conoscendo bene me stesso come artista e non essendo appassionato da prima dell’opera, è stato tutto un continuo mettersi in gioco e buttarsi in una cosa nuova, quindi è stato tutto una scoperta. Più cantavo e più mi stupivo di ciò che mi stava regalando questo lavoro.
Nel corso della tua carriera hai collaborato con festival prestigiosi come il Rossini Opera Festival e teatri di fama internazionale. Quale esperienza ti ha segnato maggiormente e perché?
Ogni produzione è un mondo a sè, può darti e insegnarti tanto.
Nel 2019 sono stato allievo effettivo dell’Accademia rossiniana, è stata un’esperienza bellissima e molto formativa. Avevamo il maestro Ernesto Palacio che presiedeva l’accademia e corsi di formazione con tanti altri maestri prestigiosi come Juan Diego Florez, Alfonso Antoniozzi, il foniatra di fama internazionale Franco Fussi e tanti altri.
A Fine accademia ho debuttato uno dei ruoli più iconici del Viaggio a Reims, Don Profondo.
Ricordo che ho lavorato molto tecnicamente, soprattutto il sillabato dell’aria ‘Medaglie incomparabili ‘ e la caratterizzazione di tutti i personaggi che scimmiotta Don Profondo.
Ripetevo ogni sera prima di andare a dormire tutte le parole, pensando ad ogni singola caratterizzazione.
E direi che il duro lavoro ha dato i suoi frutti.
Sono stato richiamato nell’ edizione 2020 del ROF per ricantarlo da professionista e non da allievo. La cosa bella a Pesaro è che nel periodo del Rof, incontri per strada mentre cammini star del mondo dell’opera, concerti e spettacoli quasi ogni sera. È un festival dove si respira mare e la bella musica di Rossini. Altra bella esperienza è stata cantare spesso all’estero. A Brema, Basel, Cambogia, Pechino ecc. Mi ha permesso di girare parte del mondo, vedere nuove culture e capire che ogni paese ha il suo modo di intendere l’opera, in base alle radici e alla conoscenza che ha di essa.
Nelle produzioni estere mi sono adeguato alle cose che mi chiedevano in base alla loro interpretazione e, dato che ho cantato solo opere italiane, cercavo di mettere un pizzico di italianità in ogni ruolo. Tante altre esperienze mi hanno segnato positivamente come L’opera studio di Tenerife, il concorso Aslico, le produzioni estere in Germania ed in Svizzera. Il mio primo Figaro a Novara e poi a Trapani. quello che posso dire è che non si smette mai di scoprire cose nuove e ogni produzione mi ha dato tanto, soprattutto nuovi spunti per lavorare su me stesso, sia artisticamente che umanamente.
Il ruolo di Figaro ne Il Barbiere di Siviglia è stato uno dei più ricorrenti nel tuo repertorio. Cosa rende questo personaggio così speciale per te?
Ognuno di noi vorrebbe sentirsi Figaro.
Oppure posso dire c’è un po’ di Figaro in ognuno di noi.
Parliamo di un personaggio che grazie alla sua arguzia e furbizia, riesce a sopravvivere a Siviglia, facendo mille lavori oltre a quello di Barbiere, anche di natura amorosa. Essere barbiere alla fine è solo un escamotage per entrare nelle case e fare da postino agli spasimanti amorosi. Credo che questo personaggio sia molto attuale, perché oggi per sopravvivere ci si inventa di tutto, cercando ogni via per fare soldi ed essere imprenditori di se stessi. Ovviamente anche Figaro è imprenditore, innamorato dei soldi e un po’ vanitoso. Quello che mi piace di lui è la faccia tosta ed il trovare una soluzione ai problemi in un lampo. Un ottimista in primis.
Dal lato tecnico la cavatina di entrata è un’aria difficile, da fuochi d’artificio, ma, risolti gli ostacoli tecnici, dà tanta soddisfazione cantarla, anche perché Figaro è un personaggio incredibilmente istrionico e mi ritrovo molto nel suo sapersi divertire.
Hai avuto l’opportunità di esibirti in teatri europei e asiatici, come il NCPA di Pechino. Come cambia l’approccio del pubblico alla lirica nelle diverse culture?
In Italia c’è una cultura storica dell’opera, qui è nata l’opera e poi si è sviluppata negli anni anche in tutto il mondo. Di base, essendoci una grande tradizione, il pubblico Italiano è più pretenzioso di quello estero, e questo è un bene perché si mantenga una qualità. In paesi lontani culturalmente da noi è normale ci sia meno conoscenza, ma quello che ho notato è che c’è un grande rispetto per l’opera e per gli artisti.
Il canto, da che mondo e mondo, è visto come una cosa bella, straordinaria, un’ espressione di se stessi. Come dico io, la voce dell’anima che si trasforma in un linguaggio universale. E quindi è molto apprezzato anche fuori. Ho trovato pubblici calorosi sia a Pechino, che a Panama, in Cambogia, alle Canarie e via dicendo. E tutti sono stati attenti ascoltatori e molto entusiasti.
Il tuo percorso accademico si è concluso con un prestigioso diploma al Conservatorio di Perugia. Quanto è stata importante la tua formazione per costruire la tua carriera artistica?
La formazione è fondamentale, anche se si ha un gran talento.
Il conservatorio è stato importante per la mia crescita musicale, poi ho continuato a perfezionarmi tecnicamente fuori con ‘i grandi maestri e cantanti della Lirica’. Per costruire una carriera sana, mi sono affidato ai giusti insegnanti, cercando sempre di migliorarmi, mettendomi completamente al servizio dello studio. Ognuno mi ha trasmesso un proprio bagaglio di conoscenza, che ho fatto mio e l’ho rielaborato
su me stesso per maturare. Poi la scuola più grande è stata il palcoscenico. Lo studio serve, ma è importante anche metterlo in pratica.
Ho imparato da direttori d’orchestra e registi di grande esperienza, mi hanno aiutato a smembrare ogni spartito e personaggio e ho cercato di pescare qualcosa da tutti, per formare l’artista che sono. La cosa più importante è stata ed è, mettersi sempre in gioco, perché da ogni situazione c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare.
Nel tuo repertorio troviamo anche esecuzioni concertistiche come il Messiah di Händel e la Petite Messe Solennelle di Rossini. Come riesci a bilanciare il canto operistico con il repertorio concertistico?
Io mi sono sempre sentito un animale da palcoscenico, quindi ovviamente mi piace essere cantante/attore ed immergermi completamente nella storia dell’opera che sto cantando.
Cantare in concerto è diverso, non avendo una scena è più difficile concentrarsi per rendere la musica che si sta cantando. La cosa che fa la differenza è che, quando hai uno spartito davanti, devi capire cosa voleva il compositore e saperlo interpretare al meglio mettendoci del tuo. Quindi ogni repertorio sia sacro, cameristico, che concertistico lo affronto diversamente in base a quello che viene richiesto dallo stile e dal compositore e poi ovviamente mettendoci un po’ di anima.
La lirica è un’arte che richiede dedizione e passione. Quali sono le sfide più grandi che hai incontrato lungo il tuo percorso e come le hai superate?
La sfida più grande per me è dare la vita per la musica e per il canto. Da fuori non si nota facilmente, ma noi cantanti facciamo una vita da monaci studiosi. Per la cura della voce e del corpo bisogna seguire una vita sana senza eccessi. Bisogna studiare sempre ed essere sempre pronti, perché il mondo ora è molto veloce e capita che mi chiamino per audizioni o produzioni all’ultimo minuto. Occorre stare sempre in campana perché, se arrivi ad una produzione poco preparato o stressato, quando sali in palcoscenico, sarai sempre giudicato con lo stesso metro. Quindi la cosa fondamentale è curare il corpo e lo spirito per essere pronti ad ogni sfida. La disciplina è la migliore medicina.
Poi tutto scompare quando sono in palco, sento l’orchestra che si accorda e sento il calore del pubblico alla fine di ogni performance.
Quali sono i ruoli o i progetti che sogni di interpretare e quali obiettivi ti sei prefissato?
Figaro di Barbiere era un ruolo al cui debutto tenevo da molto tempo. I ruoli buffi o istrionici mi sono sempre piaciuti, ma ora vado avanti nel mio percorso. Sento che la voce mi sta richiedendo altro e sicuramente andrà verso un repertorio più serio. Quindi mi piacerebbe debuttare il Donizetti serio e, perché no, fra qualche tempo anche ruoli verdiani.
Per esempio un Giorgio Germont di Traviata o un Rodrigo di Don Carlo. Però tutto va in base alla maturazione vocale. Quindi, per ora mi limito a cantare il mio repertorio da baritono lirico puro. Ma ci sono tre ruoli che ho in testa da molto. Don Giovanni di Mozart, Falstaff o Ford di Verdi e (chissà se sarà) Rigoletto di Verdi. Vediamo dove mi porta il mio percorso artistico.
Infine, cosa consiglieresti ai giovani cantanti che vogliono intraprendere una carriera nel mondo della lirica?
Il mio consiglio è:
tanta passione, tanta dedizione e una pelle di rinoceronte per fare questo mestiere. L’importante non è debuttare grandi ruoli o concentrarsi sulla fama, ma è un sano percorso. Incominciare con le giuste cose, provare concorsi giovanili, meglio se c’è un ruolo da poter vincere e poi debuttare.
Essere preparati musicalmente, trovare il giusto insegnante, dire no alcune volte se ti propongono un ruolo fuori dalla tua portata. Più si studia a lezione tecnicamente, più ci si testa in palco e più si matura, per capire infine cosa richiede la nostra voce e seguire la giusta strada.
Fare le cose per gradi.
È un mondo difficile, ma, se si crede al proprio talento e si lavora bene, i risultati arrivano.
E sopratutto non mollare mai!
Grazie Diego e complimenti per la tua carriera artistica
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