Giuseppe Sciarra, nato nel 1983 a San Giovanni Rotondo, è un regista, sceneggiatore, scrittore e giornalista con una carriera variegata e di grande impatto sociale. Dalla sua esperienza come giornalista fino ai cortometraggi sperimentali e documentari, Sciarra ha esplorato temi profondi come il bullismo, la violenza sulle donne e la comunità LGBTQIA+. Con una filmografia che abbraccia diverse forme d’arte visiva, ha dimostrato di essere un autore poliedrico e impegnato nel raccontare storie che vanno oltre l’ordinario. In questa intervista, esploreremo i suoi progetti, le sue ispirazioni e la sua visione artistica.
a cura di Antonio Capua
Federica Di Benedetto Photographer
Benvenuto Giuseppe, hai iniziato la tua carriera come giornalista. Come è avvenuto il passaggio dal giornalismo al cinema?
L’inizio come giornalista è stato casuale, un esperimento che dopo due anni ho accantonato. Proprio per questo motivo, il passaggio al cinema non è stato né doloroso e né difficile. Facevo il giornalista in tv per vedere se potesse piacermi come mestiere ma il giornalismo televisivo non era la mia strada e non era nelle mie corde. Anni dopo ho riscoperto proprio col cinema il giornalismo, facendo documentari di inchiesta con Andrea Natale e Ennio Trinelli. Da lì in poi ho rivalutato le mie capacità ed ho cominciato a scrivere articoli per delle testate, cosa che era meno traumatica di mettermi davanti una telecamera.
Molti dei tuoi lavori affrontano temi difficili come il bullismo e la violenza. Cosa ti ha portato a scegliere questi argomenti così impegnativi?
Ho provato la violenza sulla mia pelle e mi ha segnato profondamente per una parte della mia vita, facendomi vivere in un limbo e in una comfort zone che a lungo andare mi soffocava più che proteggermi, bloccando la mia crescita personale. Per anni non volevo accettare quello che mi era successo e cercavo di rimuoverlo. Parlarne nelle mie opere è stato un primo passo per reagire e per vincere la paura. Vedo l’affrontare questi temi come una sorta di attivismo che certo cinema, e non solo, è chiamato a svolgere nel modo più sincero possibile. Dobbiamo dare voce alle persone e alle loro cicatrici mostrando se è necessario anche le nostre – come ho fatto io. Facendoci sostenitori delle ingiustizie quotidiane e degli abusi che molti uomini e donne subiscono nell’indifferenza e nella negazione che tali violenze avvengono. La società è ancora omertosa a riguardo, soprattutto su certi temi come la pedofilia, ad esempio, molto più diffusa di quel che si crede, ahimè.
“Ikos” è un progetto molto personale, in cui racconti la tua esperienza con il bullismo. Cosa hai provato nel portare una parte così vulnerabile della tua vita su schermo?
Al di là della mia vicenda personale che avevo in gran parte metabolizzato facendo psicanalisi, ho provato un senso di liberazione e gioia perché rivedermi sul grande schermo mi ha fatto riappacificare col Giuseppe bambino che è stato bullizzato. Per anni quel Giuseppe mi dava fastidio. Non sopportavo di rivederlo nei video di famiglia. Me ne vergognavo. Davo la colpa di quanto era accaduto coi bulli alla sua dolcezza e alla sua sensibilità femminile colpevolizzandomi perché non era abbastanza maschile in quel periodo. Rivedendo quei video da uomo adulto, mi sono reso conto di come fossi all’epoca indifeso e dolce, capendo che non c’era nulla di mostruoso in me e che era ora di reintegrare quel Giuseppe nel presente, a braccia aperte.
La tua produzione spazia tra video arte, documentari e cortometraggi sperimentali. Come scegli il mezzo più adatto per raccontare una storia?
Io agisco molto di pancia. Se sento che un’idea deve essere impressa in un romanzo oppure essere realizzata con una serie di fotografie invece che con delle riprese cinematografiche, seguo il flusso di quell’idea e faccio arte come più mi piace. L’atto creativo deve sempre rinnovarsi e sperimentare.
Sei molto legato al cinema d’avanguardia americano e alla Nouvelle Vague francese. Come questi movimenti influenzano il tuo modo di fare cinema?
Amo nell’arte tutto quello che esce fuori dagli schemi. Il cinema d’avanguardia americano e la nouvelle vague hanno rivoluzionato il modo di fare cinema rovesciando l’idea di racconto, messa in scena, montaggio o di ripresa imposto dalle scuole di cinema. Io non sono mai stato il primo della classe e non voglio esserlo. I primi della classe sono impeccabili e fanno benissimo i loro compitini ma sono dei gran vigliacchi perché hanno paura di andare al di là del proprio naso. Preferisco fare un cinema imperfetto ma che cerca di dire (e fare) qualcosa di ardito piuttosto che celarmi in rassicuranti esercizi di stile.
Il tuo cortometraggio “Venere è un ragazzo” esplora l’identità di genere. Quanto è importante per te portare queste tematiche sul grande schermo?
Nonostante i cambiamenti epocali avuti negli ultimi anni, una parte della società occidentale è ancora piuttosto ottusa e ignorante verso questo tipo di temi. Alcune persone vogliono mostrarsi con visioni aperte e all’ultimo grido su questioni come il gender ma spesso è una posa che cela tanta meschinità e pregiudizi di ogni sorta. L’arte deve sensibilizzare ancora parecchio su queste questioni bacchettando con la propria irriverenza e sincerità sia chi odia palesemente le persone LGBTQPLUS che chi finge di amarle per interessi personali e meramente narcisistici. Personalmente sul grande schermo cerco di trattare questi temi nel modo più naturale possibile, evitando sensazionalismi e cliché.
Come regista, hai collaborato con attori come Edoardo Purgatori e Federico Balzarini. Quanto è importante per te il rapporto con gli attori e come li guidi nel processo creativo?
Pochi lo sanno ma prima di fare il giornalista ho iniziato a recitare come attore le commedie di Shakespeare con il regista Guido D’Avino a cui devo una visione dell’attore “giocosamente seria”. Vivevo quella esperienza come una palestra per conoscermi meglio e per capire cosa significasse essere un interprete, più che con l’intensione di farne un mestiere. A quella indimenticabile parentesi attoriale con Guido devo la mia sensibilità verso il mestiere dell’attore, il quale affronta al cinema o a teatro l’impresa ardua di entrare nei panni di un altro e di viversi le sue emozioni come proprie. Tale impresa come mi ha insegnato Guido va affrontata con serietà ma allo stesso tempo con leggerezza. Gli attori con cui ho lavorato Enzo Garramone, Edoardo Purgatori, Tiziano Mariani o Federico Balzarini oltre ad essere degli amici sono stati anche compagni di viaggio per la realizzazione delle mie opere. Io vedo l’attore così, un compagno di viaggio fondamentale nella creazione artistica, in cui prendendoci reciprocamente per mano giochiamo ad essere altro dalla quotidianità, io dietro la macchina da presa e lui davanti. Non perdendo mai di vista ovviamente il fine ultimo e principale di questo viaggio avventuroso: emozionare. D’altronde senz’anima non si va da nessuna parte.
Oltre al cinema, sei attivo anche nel sociale con il progetto Ikos. Credi che l’arte possa davvero cambiare la società?
Io credo fermamente che l’arte possa cambiare la società perché è magica e curativa. Se è sincera, l’arte può far maturare nella gente un sentire diverso, colmando vuoti esistenziali e rendendo più consapevoli e meno sole le persone. Col progetto Ikos che sto realizzando per la regione Lazio facciamo vedere ai ragazzi il corto che parla della mia storia e poi ne discutiamo, trascendendo dopo un po’ quello che è accaduto a me per poter conoscere invece le storie degli studenti. Grazie alla visione di Ikos molti di loro trovano il coraggio di raccontare davanti ai loro insegnanti e i loro compagni di scuola i soprusi che hanno vissuto personalmente o in terza persona, facendo delle riflessioni importanti su quanto accade nel mondo degli adolescenti e sui gravi abusi che possono esserci. Tutto questo è stato reso possibile dal potere di quel cortometraggio e da come è stata raccontata la mia storia. Anche chi non interviene al dibattito non resta indifferente alla cosa. Gli sguardi di molti ragazzi e ragazze dicono più di mille parole. Una volta ho ricevuto dei complimenti da due ragazzi. Erano felicissimi di essere stati con noi e di aver visto il mio documentario. Dopo che si sono allontanati la loro insegnante preoccupata mi si è avvicinata chiedendomi cosa mi avessero detto. Quando le ho parlato dei complimenti che mi avevano fatto è rimasta scioccata. Motivo? Quelli erano due bulli, tra i peggiori della sua classe. Il mio cortometraggio li aveva scossi e toccati da vicino.
Guardando indietro alla tua carriera, c’è un progetto a cui sei particolarmente legato? E perché?
Sono legato a tutti i miei progetti, dai migliori ai peggiori. Non ho dunque figli prediletti. Ho però vissuti sul set a cui sono particolarmente legato. Direi che quello che ricordo con più piacere riguarda “Venere è un ragazzo”. Mi sono tanto divertito su quel set perché ero con una troupe di amici con cui mi sentivo in famiglia. La serata di riprese al gay village per la scena del bacio tra Tiziano Mariani e Davide Crispino, sulla pista da ballo, è stata indimenticabile. Tutte le comparse erano amici miei e degli attori. C’era un clima di gioia ed euforia. Non mi sembrava di stare al lavoro. Avevamo ricreato realmente un’atmosfera di festa. Eravamo un tutt’uno. Bellissimo.
Cosa ci puoi raccontare dei tuoi progetti futuri? Quali storie non hai ancora raccontato ma senti il bisogno di portare sullo schermo?
I miei progetti futuri sono tutti in stand by e proprio per questo preferirei non parlarne.
Non mi vergogno di ammettere che sono molto scaramantico e che se non ho la sicurezza che qualcosa si concretizzi non ne faccio parola. In merito alle storie che non ho mai raccontato ne ho un’infinità e vorrei avere la possibilità di raccontarle tutte sul grande schermo. Mi piacerebbe tanto approfondire ad esempio temi come la mascolinità tossica e la violenza di genere da altre prospettive, più scomode e meno battute. Però anche in questo caso, ti dico la verità, non vorrei sbottonarmi troppo. In merito ai miei lavori sono più sul versante di farle certe cose che di raccontarle sperando succedano.
Grazie Giuseppe e in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti futuri
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