Conosciuta per la sua voce potente e il suo stile unico, Elisa Brown è un’artista poliedrica che ha saputo lasciare il segno nel panorama soul e gospel italiano. La sua carriera è un viaggio tra esibizioni di rilievo, collaborazioni prestigiose e l’impegno nella formazione vocale. In questa intervista, esploriamo il suo percorso, la sua filosofia musicale e i progetti futuri.


Benvenuta Elisa, è un piacere averti qui! Raccontaci, cosa significa per te essere una delle voci più rappresentative del soul e del gospel in Italia?
Salve e bentrovati a voi. Intanto mi sento molto lusingata di ricevere questo riconoscimento. Credo di aver dedicato gran parte della mia vita a questa musica e sinceramente mi sento felice di appartenere a questo mondo musicale, forse un po’ di nicchia in Italia. Dopo anni in cui mi sono dedicata alla musica Soul e Gospel, oggi sento di avere trovato una mia dimensione ideale, legata soprattutto all’ambito spirituale, più che performativo. Il Soul mi permette di esprimere me stessa, il Gospel aggiunge la possibilità di permettere anche ai miei coristi di farlo. Nel Gospel, in particolare, si crea un mondo di condivisione meraviglioso, un mondo lontano dall’ isolamento umano a cui oggi stiamo assistendo.
Per questo vado particolarmente fiera del mio lavoro e della gioia con cui cerco di contaminare chi mi segue nei miei progetti e nelle mie performance.

La tua carriera ha avuto momenti importanti, come il Premio Mia Martini e il riconoscimento da Mogol. Cosa hanno rappresentato questi traguardi per la tua crescita artistica?
Sono stati traguardi fondamentali. Non amo la competizione in generale, ma è assolutamente in essa che trovi l’arricchimento più grande per la crescita artistica e umana. Gli stimoli che ricevi in un concorso sono tanti: dall’ascolto dei feedback di una giuria al misurarti con altri artisti, vedere le loro capacità e imparare in cosa puoi migliorare.
Ho partecipato a moltissimi concorsi canori nella mia fase adolescenziale. Ma sia il PREMIO MIA MARTINI, che il Tour Music Fest, sono stati i momenti più importanti.
Durante il premio dedicato a Mimi, per esempio, persone del calibro di Franco Fasano, mi hanno fatto sentire capace di poter dire la mia, di poter fare di più, ed è in quella occasione che ho registrato il mio primo brano inedito “Sopra un Filo”. Stare in studio è stato emozionante. 
Il Tour Music Fest è stato invece un coronamento di quello che il Premio Mia Martini aveva stimolato in me. In quegli anni mi ero molto dedicata alla carriera solistica, e non vi nego che ricevere un premio da Mogol è stata un emozione fortissima. Ricordo ancora quel momento come fosse adesso. “La vincitrice del Tour Music Fest 2008 è Elisa Palermo”, Mogol mi guarda e dice “Elisa sei tu la migliore interprete di questa edizione, sei stata veramente grandiosa sul palco”. Quell’anno furono 3000 i partecipanti al concorso da tutta Italia. Quell’anno c’era in giuria anche Luca Pitteri che mi assegnò una borsa di studi. Devo dire che difficilmente dimenticherò quella finale, e la celebrazione del mio talento. Su You tube è ancora disponibile la performance della mia finale. Mi sento molto grata di quest avventura ancora oggi.

Sei conosciuta anche come operatrice olistica della voce e del suono. In che modo il tuo approccio olistico influisce sul tuo modo di fare e insegnare musica?
Credo che diventare operatrice olistica sia stato il più bel regalo che io mi sia concessa.
“Guardi” e senti la voce di una persona in un modo nuovo. Cerchi di entrare nel suo mondo, e l’empatia, che già dovrebbe avere una insegnate di canto, si amplifica tantissimo.
Talvolta la nostra voce non ha bisogno di troppe nozioni per sentirsi libera. Ci basta trasformare delle emozioni, e finalmente possiamo sentirci capaci di cantare ciò che sentiamo.
Non mi reputo una docente di tecnica canora, e lo ribadisco sempre, perché molti dei miei colleghi hanno uno studio più accurato del mio in certi termini.
Mi ritengo però una che stimola le persone a cantare con la propria anima. Ed è proprio su questo che baso il mio lavoro di vocal coach, sia nell’ambito delle lezioni individuali, che in quello corale. Talvolta si arriva prima a dei risultati che la sola tecnica non riesce a stimolare. 

Il tuo metodo, “Soul Singing”, ha ispirato moltissimi giovani cantanti. Qual è il messaggio principale che cerchi di trasmettere attraverso questo metodo?
Il mio metodo ha proprio quello scopo che raccontavo nella precedente risposta. Anni di studio della musica afro-americana, del potere della voce evocativa, della bellezza dei canti popolari, delle tecniche olistiche e talvolta sciamaniche, mi hanno permesso di ideare un metodo molto particolare.
Utilizzo alcuni canti specifici per permettere alle persone di contattare la loro rabbia o il loro dolore talvolta, altre la loro gioia e la dolcezza.
E’ importante riconoscere la propria voce attraverso le proprie emozioni. Quando parlo e quando canto, sto comunicando qualcosa di me. E solo se sono disposto a conoscere ciò che sento, allora posso esprimere me stesso e le mie emozioni. Ed è questo che cerco di fare con Soul Singing: aiutare le persone a liberare se stessi e le loro voci dai blocchi emotivi, permettendo loro di contattare finalmente le emozioni più profonde, tirarle fuori e trasformarle attraverso la propria voce.
E’ un viaggio prezioso che molti scelgono di concedersi.

Hai collaborato con nomi prestigiosi del panorama gospel e soul internazionale. Quale collaborazione ti ha segnato di più e perché?
Sicuramente nel panorama gospel, la collaborazione di cui vado più fiera è stata quella con Vaughan Phoenix nell’ambito professionale e quella con Joel Polo dal punto di vista personale e spirituale.
Parto di Vaughan che è stato Grammy Award come produttore musicale gospel nel 2013, non solo per il suo riconoscimento meritatissimo, ma per la sua preparazione artistica di altissimo livello. 
Quando è stato da noi Vaughan ci ha praticamente sconvolti, con la sua cura dei dettagli e della parte musicale. Mi sono sentita veramente parte di un sogno americano.
Joel invece è diventato un po’ mio fratello. Scrive dei brani meravigliosi e sono stata da lui a Yonkers (New York) nel 2019. Mi ha fatto sentire a casa e ho vissuto nella sua comunità una delle esperienze più belle della mia vita. Spero di tornare da lui molto presto.
Tra gli artisti italiani invece vado molto fiera del lavoro con Fabio Curto, in occasione della registrazione dei cori del suo Album “Rive Volume 1”, presso la Fonoprint di Bologna. Registrare intanto dei brani fantastici, e farlo negli studi in cui hanno registrato i più grandi artisti italiani, è stato meraviglioso.

Il tuo album “YRROS” è stato definito un viaggio musicale carico di passione e riflessione. Cosa volevi comunicare con questo progetto?
Yrros è stato il primo album inedito che ho realizzato. Nel suo titolo (che scritto cosi non vuol dire niente), c’è la risposta alla vostra domanda.
Yrros sta per la parola inglese “Sorry” al contrario. Ed è proprio questo il messaggio in ogni testo.
Spesso chiediamo più scusa agli altri dei nostri errori che a noi stessi. Talvolta ci viene cosi difficile perdonare gli altri, perché non siamo in grado di perdonarci da soli.
E cosi mi sono chiesta scusa, e volevo invitare gli altri a farlo con se stessi, per tutte quelle volte che non abbiamo creduto nei nostri sogni e nelle nostre capacità.
Per tutte le volte che, o lavorativamente o nelle relazioni, ci siamo auto-sabotati limitando la realizzazione di noi stessi e della nostra felicità.

La tua musica porta spesso messaggi di speranza e inclusione, come nel caso del brano “Give Me Some Peace” e del messaggio #blacklivesmatter. Come riesci a bilanciare arte e attivismo?
Quando scegli di cantare Gospel, dovresti dall’inizio fare i conti col fatto che non può essere altro che cosi. Nel caso di #blacklivesmatter, se io canto quel che canto è solo grazie alla storia della musica afro-americana. Se io posso cantare le canzoni di Aretha Franklin, è solo perché i “neri”, superando il dolore che hanno dovuto subire, hanno anche scritto i più grandi capolavori musicali del mondo. 

Nel 2020 la morte di George Floyd ci ha segnato molto. Molti dei miei amici oltreoceano, persone con cui ho diviso momenti bellissimi, stavano attraversando uno dei periodi più brutti a causa del nuovo rinnovato razzismo contro il popolo afro-americano, degli ultimi anni. La lotta al razzismo probabilmente non finirà mai, ma per chi come me conosce la storia di questo popolo e di come la musica che cantiamo è nata, sostenere i nostri amici ci è sembrato d’obbligo. 

“Give me some peace” è un inno alla pace. Una canzone dedicata all’unione dei popoli, partendo dalla piccola pace con le persone più vicine a noi. In quell’anno abbiamo quindi scelto di registrarla ognuno da casa nostra, per via del Covid, coinvolgendo i nostri amici afro-americani, per dare un messaggio di pace e di speranza. E cosi cerchiamo di fare in tanti altri ambiti.

Hai vissuto molte esperienze significative nei festival gospel e jazz. Cosa rende questi ambienti unici per te come artista?
I festival di questo tipo rappresentano un momento unico in cui celebrare ciò per cui studio e lavoro tanto. Spesso il pubblico coinvolto è un pubblico di nicchia, un pubblico attento che vuole sentire una buona performance, e questo rende l’esibizione magica.
C’è uno scambio tra chi ascolta e chi esegue, difficile da spiegare. Si crea un’atmosfera intima difficile da spiegare.

Guardando al futuro, quali sono i tuoi progetti più ambiziosi? Ci sono nuovi album o collaborazioni in arrivo?
Nel 2025 dovrebbe uscire un mio libro e alcuni brani nuovi, a cui lavoro da un pò. Non voglio svelare molto, ma tra i miei obiettivi c’è certamente quello di viaggiare di più, e di realizzare nuovi sogni musicali.
Intanto già per la fine di quest’anno tra i miei progetti in uscita, ci sono i videocorsi del metodo “Soul Singing” che potrete trovare sul sito www.blowingonsoul.com

e potrete divertirvi, nei primi videocorsi, a familiarizzare con la vostra voce nella parte più tecnica 

Infine, che consiglio daresti a un giovane che sogna di intraprendere una carriera musicale nel gospel e nel soul in Italia?
In modo semplice consiglio di restare genuini, di fidarsi delle proprie capacità continuando a studiare per esprimerle al meglio, non dimenticando però mai la propria naturalezza.
Oggi è difficile puntare ad una carriera musicale, per questo restare se stessi è l’unico modo di potercela fare sul serio. 

Grazie Elisa per l’interessante intervista.
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