Enrico Sortino: “conoscersi è un percorso fondamentale e continuo”

Enrico Sortino a cuore aperto: “conoscersi è un percorso fondamentale e continuo, per me l’arte è uno degli strumenti più potenti per farlo”.

Due chiacchiere con l’attore.
a cura di Noemi Aloi

Enrico Sortino è un attore e imprenditore Italiano, dal 2006 fonda e dirige l’Accademia Internazionale del Musical. Vincitore del premio editoriale “Talent Tales”, è anche il fondatore della compagnia Vucciria Teatro insieme a Joele Anastasi. In questo ambito ricopre il ruolo di attore, autore e regista. Vincitore di diversi premi come “Miglior Attore”, è stato anche nominato alla Biennale di Venezia al fianco di Declan Donnellan e Nick Ormerod. Attualmente è testimonial de #iviaggichevorrei di cui cura la comunicazione social come reporter e conduttore.


Benvenuto Enrico Sortino, durante la tua formazione artistica hai avuto modo di venire a contatto con diversi personaggi importanti, tra cui Pino Insegno. Quali sono le cose che ti ha lasciato?
Nonostante abbia lavorato al fianco di grandi nomi del panorama del mondo dello spettacolo, devo dire che non ho mai sofferto l’adorazione verso i cosiddetti ‘personaggi importanti’.
Eccezion fatta per Liza Minnelli che ho conosciuto ad un suo concerto!
Nel caso di Pino Insegno, e del fratello Claudio, che ho incontrato nella fase iniziale della mia carriera (grazie al casting director Pino Pellegrino) proprio perché ho scelto di affidarmi alla sua scuola di arti dello spettacolo (l’accademia Corrado Pani), devo dire che è stato una figura molto importante durante la mia formazione artistica. È un uomo eclettico e competente. Un uomo a cui devo dire grazie, prima di tutto perché mi ha permesso di conoscere alcune tra le persone più importanti della mia vita, inoltre perché il mio primo lavoro al teatro Sistina di Roma lo devo a lui e per avermi dato la possibilità di conoscere docenti incredibili che hanno contribuito alla mia crescita.

Sei fondatore e dirigente dell’Accademia Internazionale del Musical, una realtà di formazione artistica a 360 gradi. Offrite infatti formazione in diversi ambiti, che spaziano dalla recitazione, alla dizione, a vari stili di danza, canto e molto altro. Come è nata l’idea di fondare questa incredibile realtà, e come sei riuscito a crescere così tanto, arrivando ad espanderti, non solo sul territorio nazionale, ma anche a Londra? Ricordiamo infatti che la tua Accademia, ha diverse sedi e vanta 18 anni di operato.
La fondazione dell’Accademia Internazionale del Musical nasce da un’esigenza profonda, maturata nel corso degli anni della mia esperienza professionale e formativa, di creare un luogo che potesse essere un punto di riferimento per coloro che desiderano esplorare le arti performative in modo completo e integrato.
L’idea è stata alimentata dalla consapevolezza che il musical, inteso come forma d’arte, richiede una preparazione che abbraccia diverse discipline del settore artistico e dello spettacolo.
Durante la mia formazione presso l’accademia di arti drammatiche del teatro stabile di Catania, tendevo già alla ricerca di esperienze più versatili, ma i tempi non lo concepivano: ricordo, che già dal secondo anno, oltre il teatro, conducevo un programma televisivo e questa cosa era vista come una cosa impensabile dai miei insegnanti. Io ragionavo sul fatto che, essendo un lavoro ‘precario’, più possibilità lavorative creavo intorno a me, più a lungo avrei potuto operare.
Volevo creare, a partire dalla mia città natale – Catania – una realtà che non fosse solo una scuola di formazione, ma un vero e proprio laboratorio di crescita artistica e personale, dove gli studenti potessero esprimere il loro potenziale, liberi di sperimentare e di crescere in un contesto multidisciplinare; volevo poter offrire una formazione di alto livello senza la necessità di spostarsi in città come Roma o Milano.
Pensavo a coloro i quali non potessero permettersi un trasferimento del genere per ragioni economiche, affettive o familiari.
E così, quasi per gioco è nata. Avevo 28 anni: era una sfida, un’avventura.
La crescita dell’Accademia è stata un processo costante, guidato da una visione chiara: offrire una preparazione di altissimo livello, ma accessibile e radicata nei valori di professionalità e autenticità, che trasformasse la formazione in lavoro avvalorando il talento dei nostri allievi. L’espansione su scala nazionale e internazionale è stata frutto di un impegno continuo nella qualità dell’insegnamento e nella cura del singolo talento.
Naturalmente il mio è il mestiere dell’attore e negli anni ho avuto la fortuna di girare il mondo e la possibilità di lavorare un po’ con tutti; sono bravo nei rapporti umani e, a quanto pare, mi faccio voler bene dalle persone che incontro.
Avendo tutti questi contatti vedevo l’Italia come una grande città e aprire più sedi, da nord a sud, mi sembrava la soluzione più adatta per il progetto iniziale.
Prima del covid avevamo 10 sedi: quel periodo ci ha fatto rivedere un pò la situazione e le sedi sono diventate 7.
Le diverse sedi, incluse quelle internazionali, come quella di Londra, sono state il naturale sviluppo di questo percorso, mantenendo sempre al centro la formazione globale dell’artista. Essere riusciti ad affermarci in una città così competitiva come Londra rappresenta per me un traguardo particolarmente significativo: una conferma dell’universalità del nostro approccio formativo – anche perché siamo l’unica scuola in Italia ad avere una sede nel Regno Unito.
Da diversi anni organizzavamo vacanze studio per i nostri allievi e l’idea di riunirli tutti in un unico momento, in un’unica città – Londra per l’appunto – centro nevralgico del musical theatre ci affascinava non poco; a quel tempo ci affidavamo ad una scuola londinese che affittava gli spazi di lavoro e metteva a disposizione i propri insegnanti.
Quando abbiamo riscontrato che i nostri numeri erano altissimi (quasi 100 allievi ogni anno,) abbiamo ragionato su un progetto stabile. Lo scorso anno abbiamo festeggiato 10 anni di attività su Londra!
Naturalmente non sono mancate le difficoltà, covid a parte, anche la Brexit e i molteplici cambiamenti burocratici.
L’esperienza di questi 18 anni ci ha permesso di formare numerosi artisti, molti dei quali oggi lavorano nei principali teatri e produzioni italiane e internazionali. Questo è il risultato non solo di un’offerta formativa articolata, ma soprattutto di un continuo ascolto e adattamento alle esigenze di un mondo in costante evoluzione, dove l’artista deve essere sempre più completo e versatile.

All’interno dell’Accademia di cosa ti occupi personalmente?
Io sono il fondatore e il direttore artistico ma non nego che mi occupo principalmente della didattica: dovendo ‘accordare’ tutte le sedi in un identico percorso di formazione, considerando le differenze culturali, storiche, ambientali e sociali, rispetto alla collocazione delle nostre sedi, ho necessità di curare in prima persona i programmi, di scegliere gli insegnanti e talvolta anche gli allievi, affinchè questi possano essere affini all’idea che ho del percorso dell’artista, soprattutto rispetto a cosa rappresenta (per me) il mondo dello spettacolo.

Durante il tuo percorso hai ricevuto diversi riconoscimenti come attore, hai dei progetti da questo punto di vista?
Ho avuto la fortuna di ricevere vari riconoscimenti nel corso della mia carriera da attore, e sono grato per ogni singolo traguardo.
Ultimamente ho avuto la possibilità di spaziare tra diversi ambiti: dopo aver concluso la conduzione del talent ‘The Coach’ e aver curato i performer per il tour ‘aTUTTOCUORE’ di Claudio Baglioni – sotto la direzione artistica e la regia di Giuliano Peparini, sono tornato in scena con lo spettacolo ‘Io, mai niente con nessuno avevo fatto’ della mia compagnia “Vucciría Teatro”, prodotto dal Teatro Bellini di Napoli.
Piccolo spoiler: ho appena ottenuto un ruolo tra i protagonisti in un film! Le riprese inizieranno tra marzo e aprile. Non posso ancora svelare troppo, ma è un progetto entusiasmante.
Quindi, sì, ci sono molti progetti in arrivo dal punto di vista attoriale, e non vedo l’ora di poterli condividere.

Con la tua opera “Sette volte un uomo – I sette peccati capitali”, hai vinto il premio editoriale “Talent Tales”. In questo lavoro affronti un tema profondo e importante che talvolta viene sminuito. Il dramma dell’esistenza umana, fai riferimento ad una società che mira ad addomesticare servendosi della morale. Parlarci di questo lavoro, e lasciaci qualche spunto di riflessione.
Voglio specificare che questo mio primo libro è nato per caso! Stavo scrivendo uno spettacolo, un musical per essere specifico e nel frattempo attraversavo un periodo molto particolare.
Avevo una visione distorta della vita e di conseguenza affrontavo una crisi personale, sociale, religiosa, profondamente introspettiva e di conseguenza, come ho sempre fatto nella mia vita, per non perdere nessun pensiero, scrivevo: lo facevo dappertutto, sul telefono, sui pezzi di carta, sui miei quadernoni, ovunque.
Leggevo e studiavo, approfondivo i miei dubbi, soprattutto rispetto al rapporto dell’uomo nei confronti della religione.
Ci fu un momento in cui chiesi a me stesso: ‘ma io credo? In cosa credo? Perché?’
Ecco quello fu un momento catartico, perché sentivo di non credere a nulla di ciò che sapevo, che mi aveva insegnato la mia famiglia, la società, la chiesa cristiana, i dogmi…
Da quel momento e per i successivi cinque anni mi ero avvicinato e ho praticato a fianco di evangelisti, testimoni di Geova, ebrei, musulmani, induisti, buddisti, pentecostali, cristiani: una sete di conoscenza incessante. Cercavo risposte, verità.

Tu mi chiederai? ‘Le hai trovate?’ – Risposte: molte. Verità: no. Ma adesso so a cosa credo.

Ho imparato tanto, tantissimo. Ho aperto gli occhi sui processi che hanno mosso l’umanità fino ad oggi, ho sviscerato ‘l’evoluzione’ da un punto di vista biologico, archeologico, storico, psicologico, sociologico, scientifico e fantascientifico.

Se ci ripenso dico: ‘Mamma mia che follia!’

Ma sono fatto così, mi piace andare a fondo. E ci sono andato: gli studi mi hanno portato a comprendere quanto tutte queste religioni fossero, come dire, ‘recenti’ poche migliaia di anni e quanto tutte, in qualche modo derivassero da un unico culto di adorazione del divino che si perde indietro nel tempo.
Così, consapevole di vagare nei meandri di luoghi fin troppo oscuri, decisi di risalire a galla.
Avevo una storia e una crisi: ottimi ingredienti per raccontare qualcosa.
Sono ripartito dal ‘senso di colpa’ – quello che provai quando ho realizzato di non credere a una religione canonica – ho scelto un uomo come protagonista della storia, un uomo che rappresenta l’intera umanità, l’ho privato delle sue maschere e ho santificato i peccati come pura rappresentazione dei molteplici istinti dell’uomo. Ho raccolto tutti gli scritti e li ho intersecati al copione per far nascere un racconto.
Questa la genesi (complessa) dei miei “Sette peccati capitali”, per l’appunto ‘sette volte un uomo’.
Oggi, se dovessi rileggere il libro sono certo che lo troverei ‘acerbo’ ma credo che ogni percorso di vita venga scandito da visioni temporali che non coincidono tra passato e presente.
Naturalmente è stato un progetto molto personale e complesso, nato dal desiderio di esplorare le profonde contraddizioni dell’essere umano. Il titolo stesso riflette la molteplicità della natura umana, che può essere tanto sublime quanto fragile e fallibile. L’opera parte dal concetto dei sette peccati capitali, ma non li rappresenta in senso moralistico; piuttosto, li utilizza come attitudini multiformi, per parlare delle pressioni sociali, dei giudizi che tentano di omologarci e dei conflitti interni che ne derivano. I peccati, quindi, non sono visti come colpe, ma come manifestazioni della nostra complessità, della nostra umanità.
Viviamo in una società che, attraverso norme morali e comportamentali, cerca di addomesticare le nostre pulsioni più autentiche, spesso imponendo regole che ci allontanano dalla nostra vera essenza. In questo lavoro mi sono interrogato su come l’individuo si trovi schiacciato tra la sua natura più istintiva e la necessità di aderire a modelli sociali prestabiliti. Il dramma dell’esistenza umana si manifesta in questa lotta costante tra chi siamo davvero e chi ci viene chiesto di essere.
Il confronto diretto dell’uomo rispetto all’assoluto, in rapporto a se stesso.
Ti riporto una frase del libro: “dietro la maschera dei sette peccati capitali, ogni individuo può manifestare la propria autentica verità, priva di veli”.
La storia di un uomo che prende sette volte in mano la propria vita, perdendone il controllo.
La domanda è: ‘chi è più comodo essere? Noi stessi o l’immagine che ci siamo fatti di noi?’

Il tuo lavoro è dinamico e spesso ti porta a viaggiare, quale posto consideri “casa” e dove vivi per la maggior parte del tempo?
La mia vita è sempre stata in viaggio, sin da quando ero piccolo.
Io e la mia valigia, che nel tempo è diventata uno zaino visto che ormai sembra che abbia case ovunque; mi sento coi i marinai che ad ogni porto trovavano qualcuno ad aspettarli.
Ho sparpagliato vestiti e oggetti ovunque praticamente!
È strano ma non riesco a percepire le distanze, mi sembra sempre di muovermi da un quartiere ad un altro anche se percorro migliaia di chilometri: questo ha distorto anche la percezione del tempo nella mia vita.
Ho dormito in centinaia di letti e alloggiato in luoghi più disparati. ‘Casa’ è dove c’è amore, dove c’è un disegno, un campo da seminare.
Il mio lavoro mi porta spesso a viaggiare, e ogni progetto è come una nuova avventura che mi permette di esplorare luoghi diversi e incontrare culture e persone che arricchiscono il mio percorso. Tuttavia, se dovessi definire un luogo che considero “casa”, sarebbe sicuramente Roma, almeno in inverno: è qui che ritorno quando i viaggi e gli impegni si placano. Roma rappresenta per me un punto di riferimento, un luogo dove posso ritrovare me stesso e riequilibrare le energie.
In estate torno in Sicilia. Le mie radici “sono ben salde anche se lontane dalla propria terra”, come dice Alda Merini. Non posso stare troppo lontano dall’isola.

Parlavamo prima dell’importanza di conoscersi e scoprirsi, l’arte sicuramente è uno dei modi migliori per farlo, e ci permette di esprimerci, per avvicinarti al vero te fai altro come ad esempio meditazione?
Sì, conoscere se stessi è un percorso fondamentale e continuo, e per me l’arte è uno degli strumenti più potenti per farlo. Attraverso il teatro, la scrittura, riesco a esplorare parti di me che magari nella vita quotidiana resterebbero in silenzio.
Dentro l’arte riesco a uscire fuori da me, a ‘togliermi di mezzo’, come se mi riposassi: facendo questo do vita a nuove possibilità di analisi, infinite direi.
Non pratico la meditazione, ma ho imparato a ‘respirare’.
Nel respiro trovo la verità, mi analizzo, mi rimprovero, mi ricarico; anche il semplice atto di fermarmi e respirare consapevolmente è una forma di reset che mi aiuta a mantenere lucidità e presenza, sia nella vita personale che artistica, ma trovo che la mia connessione con l’arte sia il modo più efficace di ritrovare equilibrio e autenticità.
Ogni progetto, ogni personaggio e ogni storia mi permette di scavare dentro me, di testare e vivere nuove possibilità, offrendo una sorta di introspezione che mi aiuta a conoscermi meglio.

Sei testimonial de “#iviaggichevorrei”, di cosa si tratta e come è nata questa nuova avventura?
Siamo nomadi, per indole, per cultura, per esigenza.
L’essere umano cerca da sempre la propria comodità e fa di tutto per costruirla durante il percorso della sua vita: nasce, cresce, trova un lavoro, a volte lo perde, trova una casa, una famiglia, anche solo un cane o un gatto; ma a un certo punto sente il bisogno di scappare, di partire, di scoprire e conoscere il mondo.
‘Ai tempi del coronavirus’ la parola viaggiare ci è parsa impronunciabile, come un’abitudine vintage, come una possibilità che ci era stata tolta.
Il fatto è che, al contrario, nell’impossibilità di farlo, il desiderio di viaggiare ha alimentato la mia fantasia in maniera più violenta del normale; così mi trovavo, tra un social e un sito, tra un catalogo e una foto, a pianificare le mie future vacanze.
Esattamente nel periodo di pandemia si è concretizzata un’idea che ha preso vita proprio dal bisogno primordiale dell’uomo: conoscere e scoprire. Viaggiare.
Proprio dalla voglia di fuga, dalla necessità di reagire, di creare qualcosa di nuovo, di vivere nuove esperienze che non fossero dentro le mura delle nostre città, prima dei ’coprifuoco’ al sapore di vecchie guerre, dei rinomati e ormai obsoleti lockdown, sono nati #iviaggichevorrei, nel tentativo di trasferire la mia necessità a tutti gli altri.
In sintesi, quello che faccio è creare esperienze attraverso i viaggi, siano questi ‘wild’ (da soli, in gruppo) per persone che amano l’ebrezza dell’avventura, che preferiscono non pianificare i punti di arrivo, che decidono giorno dopo giorno dove andare, che conoscono la data di partenza ma non quella di ritorno; per chi è disposto a camminare tanto, fare trekking, nuotare, arrampicarsi, chi è disposto a decidere solo nelle ultime ore del giorno dove trascorrere la notte (sia questa in albergo, in camping, in auto o dentro un sacco a pelo).
Oppure quelle esperienze ‘standard’ (da soli, in gruppo, in famiglia con bambini e animali), per chi ama scoprire posti nuovi, tra mare e montagna a prescindere dalla stagione di partenza. Per chi vuole rilassarsi in spiaggia dinanzi un tramonto e mangiare bene ma vuole anche andare alla scoperta di luoghi unici, tra immersioni in mare, siti archeologici, scoperte enogastronomiche, centri benessere naturali, passeggiate all’aria aperta.
Le proposte di viaggio hanno l’obiettivo di essere sempre in linea con la tipologia del viaggiatore, cercando di mantenere uno standard piuttosto elevato nell’offerta dei servizi turistici.
Io ovviamente parto tutte le volte che posso!

Tra le varie attività che svolgi quale preferisci?
Tra le tante attività che svolgo, la conduzione televisiva è quella in cui mi sento più a mio agio. Mi permette di esprimermi con grande libertà, di improvvisare e di osservare il flusso delle situazioni con un certo controllo. Mi affascina la rapidità con cui si sviluppano i processi nel contesto televisivo, e il fatto di poter gestire e dirigere dinamiche in tempo reale, mi appaga moltissimo.
Tuttavia, la verità è che amo fare tutto: recitare, dirigere, organizzare…
Questa dinamicità è ciò che mi mantiene creativo e ispirato.
Ogni aspetto della mia carriera risponde a un’esigenza diversa: la recitazione, ad esempio, mi permette di esplorare mondi e personalità diverse, di perdermi nei personaggi e di raccontare storie che altrimenti potrebbero rimarnere inespresse.
La conduzione, invece, mi dà un’immediatezza che adoro: è un dialogo continuo con il pubblico, in cui posso essere presente, improvvisare e reagire a quello che accade in tempo reale.
L’organizzazione di eventi o di viaggi e l’imprenditoria, come nel caso dell’Accademia Internazionale del Musical, mi offrono una visione a lungo termine: la possibilità di costruire e formare nuove generazioni di artisti, e di dare vita a realtà o situazioni che non solo esprimono la mia creatività, ma anche quella degli altri.
La regia, infine, è dove posso unire tutte queste esperienze: è l’arte di dirigere, di orchestrare visioni e talenti diversi, di creare mondi attraverso il lavoro di squadra.
Per me non si tratta solo di ricoprire diversi ruoli, ma di essere un creatore a tutto tondo. Mi piace l’idea di avere un controllo creativo a 360 gradi, dalla prima intuizione fino alla realizzazione di un progetto. Ogni attività alimenta l’altra, creando una sinergia che mi permette di restare in costante evoluzione, spingendomi a cercare sempre nuove sfide e nuovi modi di esprimermi.
È questa continua trasformazione che rende il mio percorso unico e così appagante.
Non riesco a scegliere un solo aspetto della mia carriera.

Da poco hai collaborato con Claudio Baglioni insieme ai ragazzi dell’Accademia Internazionale del Musical, come è stata questa esperienza? A breve ti vedremo affiancare altri artisti con cui hai già qualcosa in programma?
Collaborare con Claudio Baglioni per il tour “aTUTTOCUORE” è stata un’esperienza incredibilmente arricchente, sia per me che per i ragazzi dell’Accademia Internazionale del Musical. Lavorare accanto a un artista del suo calibro, sotto la direzione di Giuliano Peparini, ha permesso ai giovani performer di confrontarsi con un livello professionale altissimo, mettendo alla prova il loro talento e le loro capacità. È stato emozionante vedere la crescita di ognuno di loro e l’energia che hanno portato sul palco.
Di certo sia Claudio che Giuliano sono rimasti stupiti nel vedere quanto versatili fossero i nostri ragazzi: solitamente da un coro ci si aspetta che stiano fermi ed eseguano le linee corali.
I miei ragazzi sono dei performer, cantano, danzano, recitano, sono bravissimi! Quando Giuliano ha appurato questo, ha iniziato a farli danzare assieme ai suoi ballerini, creando un’armonia unica che ha consacrato un’opera incredibile che nelle sue 49 repliche ha toccato il cuore di più di 400.000 spettatori, per non parlare del pubblico di Rai 1 che ha registrato un netto di 1.661.000 telespettatori.
Per quanto riguarda i progetti futuri, ci sono sicuramente altre collaborazioni all’orizzonte. Sto già lavorando a nuove iniziative che coinvolgono sia artisti emergenti che professionisti con cui ho avuto il piacere di collaborare in passato. Non posso ancora svelare i dettagli, ma posso dire che le proposte non mancano e la mia agenda è piena di progetti stimolanti che vedranno presto la luce.
Come sempre, parallelamente al mio lavoro di attore e conduttore, affianco la mia carriera imprenditoriale, cercando di creare opportunità in cui l’arte e la formazione possano incontrarsi diventando lavoro, perché credo fermamente nel potenziale dei giovani talenti.

Ti ringrazio per la splendida intervista, Enrico. Tienici aggiornati su tutto!
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