Federica Perre, classe 1985, è una cantante e docente vocale con una carriera che spazia dal palco alle aule di insegnamento. La sua voce raffinata e intensa l’ha portata a collaborare con artisti di rilievo come Willie Peyote, Davide Shorty e Serena Brancale, oltre a esibirsi con l’Orchestra Ritmico-Sinfonica del Conservatorio di Cosenza e in contesti internazionali come l’Umbria Jazz.
Federica è anche una didatta appassionata, fondatrice del coro “PopUp 33 Giri” e co-fondatrice della Belvedere Music Lab e insegnante della 33 Giri Music Academy. In questa intervista, esploriamo il suo percorso, le sue passioni e il suo contributo al mondo della musica.

a cura di Salvatore Cucinotta


Benvenuta Federica, grazie per essere con noi. Raccontaci, quando hai capito che il canto sarebbe diventato una parte fondamentale della tua vita?
Ciao, intanto ti ringrazio per avermi invitata e mi scuso pubblicamente per il mio delay, per restare in gergo musicale. È un vero piacere e onore essere ospite della tua rubrica online. Io ho iniziato a cantare relativamente da grande, a 16 anni, un pò per caso, ma la musica è stata compagna di giochi già da bambina. I miei genitori hanno sempre avuto una passione per l’arte e per la musica, e mi hanno sempre portata con loro a teatro, ai concerti anche quando ero veramente molto piccola,  e in casa c’è sempre stata musica, dischi, cd, cassette che mi hanno accompagnata nei giochi e nella crescita. Dico di aver iniziato a cantare da grande riferendomi allo studio dello strumento ed all’attività musicale vera e propria, molti colleghi, ma anche molti allievi, si approcciano al canto in età anche pre-scolare, io invece da piccola ero convinta di essere stonata, o comunque così dicevo agli altri. Durante il periodo del liceo ascoltavo musica in continuazione, in maniera quasi ossessiva e canticchiavo spesso, senza pensare di avere grandi doti, ma con una maggiore consapevolezza sulla mia intonazione. Un compagno di classe che studiava pianoforte in Conservatorio si accorse che non solo ero intonata, ma che il mio timbro era anche particolarmente piacevole, ed ha pensato di farmi conoscere un ragazzo della scuola, di poco più grande di noi, anche lui studiava in Conservatorio, studiava tromba e suonava la chitarra nei locali per arrotondare un po’. Alberto, così si chiama questo ragazzo a cui devo molto, ha da subito creduto in me e mi ha introdotto al mondo della musica dal vivo. In principio non pensavo che sarebbe diventata la mia vita ed il mio lavoro, ho iniziato a studiare canto un paio d’anni dopo e da allora la musica è stata una compagna di viaggio, un’esigenza, un’urgenza, qualcosa di cui non potrei mai fare a meno.

La tua carriera ti ha portato a condividere il palco con grandi artisti della scena italiana. Qual è stata l’esperienza più significativa che hai vissuto?
In tutta sincerità non saprei indicare un’unica esperienza, ne ho fatte davvero tante, anche in ambiti molto diversi fra loro, e ognuna ha una sua valenza ed un suo carico emotivo. Con certezza posso dire che l’ambito che prediligo e che è sempre emozionante è quello del teatro: cantare in teatro con le luci puntate addosso e quel buio davanti che nasconde un pubblico in silenzio, attento, è sempre affascinante. L’odore dei teatri, il suono del legno sono i piedi, le quinte, i camerini, si crea un’atmosfera magica che ha sempre un che di romantico ed entusiasmante. Parlando di teatro per esempio, è stata importantissima, per me, la collaborazione con la compagnia teatrale Scena Verticale. Esperienze bellissime, inoltre, sono quelle con l’Orchestra Ritmico-Sinfonica del Conservatorio di Cosenza con la quale ho accompagnato come corista i concerti di Serena Brancale, che in seguito mi ha scelta come corista anche per la presentazione del suo disco “Vita d’Artista”, ed il concerto di Willy Peyote, uno dei più rapper più intelligenti, sarcastici e politicamente impegnati della scena italiana. In quell’occasione ero stata scelta dal direttore dell’Orchestra, M° Alfredo Biondo, a seguire tutte le parti vocali del progetto, dalla direzione e arrangiamento dei cori, all’esecuzione per le prove d’Orchestra. È stato bello condividere il palco con due artisti che ho sempre stimato, ma cantare con un’Orchestra di più di 50 elementi è il vero plus di questa esperienza. Allo stesso modo è stato veramente elettrizzante aprire il concerto di Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo, cantare “Non è per sempre” che mi aveva accompagnata negli anni del liceo, davanti a lui, per lui, è stato un vero onore. Anche in quell’occasione la supervisione dei cori era stata affidata a me dal M° Biondo, che ancora infinitamente ringrazio per la fiducia. Anche in ambito gospel, le esperienze significative sono state veramente tante, ma senza alcun dubbio la più significativa è stato il concerto finale della Gospel Connection presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma: eravamo 100 coristi, cantare in mezzo a 100 persone da una scarica di adrenalina che non riesco a spiegare, sicuramente una cosa che non si dimentica. Non saprei scegliere un’esperienza, penso la somma delle cose che ho vissuto in ambito musicale, sia il risultato dell’artista che sono oggi, nel bene e nel male.

Il gospel ha avuto un impatto importante nella tua formazione musicale. Cosa ti affascina di questo genere e come lo interpreti nel tuo lavoro?
Il gospel è entrato nella mia vita nel 2012 durante le Clinics organizzate dalla Berklee School of Music per Umbria Jazz. In quell’occasione era previsto che noi cantanti seguissimo due corsi, uno di canto e uno di canto gospel. Il primo brano che il Maestro Dennis Montgomery III ci fece imparare si intitola “Thank you”. Io non ho mai avuto un grande rapporto con la religione, la mia è una famiglia atea, i miei genitori hanno deciso di non battezzarmi e di lasciarmi il libero arbitrio, ed io crescendo non sentivo di voler far parte di questa enorme comunità che è la Chiesa Cattolica. Quel giorno, in quel brano “Thank you”, in quella semplice parola “grazie” ho riscoperto la mia spiritualità ed il mio credo, la vita. Io credo in questa vita, nelle persone con cui condivido la mia vita, credo nei valori che i miei genitori mi hanno lasciato in eredità e nei miei sogni. Mi sono resa conto in quel momento che avevo veramente tante cose per cui dire grazie a questa vita. Quel brano mi ha commosso talmente tanto e mi ha stravolto così profondamente che, tornata da Perugia, ho cercato un coro in Calabria ed ho iniziato a cantare gospel. Non è solo un genere musicale affine al mio gusto estetico, gli arrangiamenti, le sonorità, i colori, il groove. È qualcosa che va oltre, è un genere musicale con una componente emotiva predominante, quando canto gospel sento di potermi esprimere al meglio sia vocalmente che emotivamente, per altro penso che la dimensione corale sia la più alta espressione della voce cantata. Credo che il gospel abbia influito moltissimo sul mio modo di cantare, sull’approccio al timing e sullo stile vocale che poi inevitabilmente riporto in tutto quello che canto, ma credo che tutta la musica black e moltissima della musica pop che ascoltiamo ne abbia subito delle influenze e che a sua volta anche il gospel contemporaneo si sia lasciato influenzare dalla musica pop, ne parlo nella mia tesi per il conseguimento della Laurea Triennale in Canto Pop.

Sei stata selezionata per partecipare alle “Umbria Jazz Clinics” e hai studiato con docenti della Berklee School of Music. Come questa esperienza ha influenzato il tuo approccio artistico?
Come dicevo prima, l’esperienza con i Maestri della Berklee mi ha fatto il grande regalo della scoperta della musica gospel, e come penso sia chiaro, non è cosa da poco per me. Le Umbria Jazz Clinics mi hanno dato l’opportunità di confrontarmi con degli artisti straordinari, non solo i Maestri, grandissimi professionisti e didatti, ma anche gli altri allievi, tutti molto talentuosi. Eravamo giovanissimi, ma all’interno della Master c’erano alcuni fra i più promettenti musicisti italiani e non solo. Ho imparato a “rubare” il più possibile da chi ne sa più di me, perché si ha sempre da imparare dagli altri, infatti dico spesso ai miei allievi di rubare il più possibile da me, non solo in termini di tecnica vocale, ma anche proprio di approccio allo studio dello strumento, alla pratica, se hanno la possibilità di vedermi fuori dalle aule, anche all’approccio con il palco, con il pubblico, tutto è importante. Io ho osservato moltissimo, ho ascoltato moltissimo, mi sono sempre messa in discussione, cercando sempre di uscire dalla mia zona comfort, anche in questa esperienza per esempio, in cui mi sono confrontata con il jazz, che non è esattamente il genere che canto abitualmente. Credo fermamente che per essere un buon performer e un buon didatta sia necessario avere una gamma di competenze più ampia possibile, le competenze che ho acquisito durante le clinics mi hanno sicuramente aiutato nella libertà espressiva, nell’improvvisazione e nella parafrasi, forma improvvisata più usata nel pop che è un genere che non prevede vere e proprie improvvisazioni per i cantanti. Le Clinics prevedevano un pass che dava libero accesso a tutti i concerti del Festival, in quell’occasione ho visto alcuni dei concerti più belli della mia vita. È stata un’esperienza veramente divertente e che porterò sempre come uno dei momenti più belli della mia formazione artistica.

Con gli AvuLive Band hai avuto l’opportunità di collaborare con Dario Brunori e Steff Burns. Come queste collaborazioni hanno arricchito la tua visione musicale?
Collaborare con grandi artisti ti apre la mente, capisci come rapportarti in maniera professionale al lavoro di musicista: dalla preparazione al live, i grandi musicisti hanno un approccio serio e professionale alla musica che è molto formativo per chi vuole vivere di questo. Quando ti confronti con questi professionisti capisci anche quanto sia importante restare con i piedi per terra, essere umili e generosi verso gli altri e verso la musica. Steff Burns, per esempio, è un chitarrista rock di fama internazionale, da subito, ancor prima di incontrarci, lui si è posto in maniera molto umile nei nostri confronti. Invece di suonare il suo repertorio ed i brani che lo hanno reso celebre, ha scelto di adattarsi al nostro repertorio prettamente soul e funk e di fare un concerto completamente lontano da quello che generalmente suona, questo credo sia un gesto di grande umiltà e generosità. Le due esperienze sono state molto diverse fra loro, come dicevo prima con Steff ho avuto la possibilità di restare nella mia zona comfort e di cantare i brani che sempre eseguo nei live con la mia band, invece con Dario Brunori abbiamo dovuto eseguire alcuni dei suoi brani più celebri come “Guardia ’82”, “La verità”, “Lamezia-Milano”, “L’uomo nero” ed altre. In quel caso l’approccio è completamente diverso, perché devi studiare e replicare in maniera fedele quello che è stato pensato, arrangiato da un altro, un lavoro che mi è piaciuto moltissimo, su arrangiamenti pop, cantautorali, fuori dalla mia zona comfort. In quell’occasione io affiancavo Dario e Mirko Onofrio, grande musicista, che stimo profondamente, come corista e percussionista, ho potuto aggiungere qualche variazione su alcuni brani decisa in prova con loro, ma per il resto, come dicevo, ho dovuto seguire le linee dei brani originali, studio che è sempre molto interessante.

Come co-fondatrice della Belvedere Music Lab e docente di tecnica vocale, qual è il messaggio che cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
Io amo l’insegnamento, quando studiavo sognavo di poter diventare un giorno una vocal coach. Amo la voce in tutte le sue dimensioni, amo le voci e mi piace riuscire ad aiutare gli altri a scoprire le potenzialità del proprio strumento. Quello che cerco di trasmettere è principalmente la passione verso la musica e verso lo strumento, cerco di far capire ai miei allievi quanto sia importante approcciarsi alla musica con dedizione e serietà, in maniera professionale. Cerco di trasmettere loro inoltre, l’importanza dello studio e della costanza per migliorare, per coltivare e rispettare il proprio dono, ma soprattutto cerco di infondere in loro fiducia. Lo strumento vocale è strettamente connesso alla nostra parte emotiva, molto spesso blocchi mentali impediscono di fatto di scoprirsi al 100 per 100, io cerco di abbattere questi blocchi e di far capire agli allievi che solo credendo in se stessi possono riuscire ad ottenere tutto ciò che vogliono dalla propria voce. Oggi è importantissimo creare una propria identità vocale, sonora, avere qualcosa da dire ed essere credibili. Avere un bel timbro non è più sufficiente e purtroppo, avere grandi competenze tecniche molto spesso non è un plus, soprattutto nel mercato discografico italiano. Se guardiamo oltre oceano, se non valutiamo solo le classifiche, capiamo però che solo chi davvero ha fatto gavetta, ha esperienza, competenza, professionalità, resta nel tempo. È importante che i giovani musicisti capiscano che bisogna amare, rispettare, ma soprattutto conoscere la musica, e amare, rispettare e conoscere se stessi ed il proprio strumento per poter fare bene questo mestiere.

Hai fondato il coro “PopUp 33 Giri” con i tuoi allievi. Qual è l’idea dietro questo progetto e come pensi che il canto corale possa arricchire chi lo pratica?
Il coro è una dimensione collettiva, bisogna mettere da parte il proprio ego, ma mettersi a servizio del gruppo affinché si raggiungano risultati ottimali. Volevo fortemente che i miei allievi scoprissero questa dimensione e che facessero questa esperienza che mi ha arricchito moltissimo, come performer e che credo possa arricchire anche loro. Da un punto di vista tecnico, cantare in coro migliora l’intonazione, la gestione delle dinamiche, il timing e allena l’orecchio musicale. Da un punto di vista umano, l’incontro tra le persone è sempre arricchente, fa crescere, ci mette in relazione e, se siamo ben disposti, ci fa superare i nostri limiti. Per altro in una società come quella che attualmente viviamo, che mira sempre di più all’individualismo, al coltivare il proprio orticello, in un contesto fortemente divisivo come quello musicale attuale, fare musica insieme credo sia quasi un atto di ribellione, sicuramente è in controtendenza, fa bene allo spirito e ci rimette in una giusta prospettiva. Cantare da soli è meraviglioso, cantare insieme è superlativo.

La tua formazione in Estill Voice e foniatria artistica ti ha permesso di approfondire l’aspetto tecnico del canto. Quanto è importante la tecnica per un cantante e come la integri con l’espressione artistica?
Potrei dire senza esitazioni di essere convinta che la tecnica arricchisca la propria espressione artistica, la tecnica ci da i mezzi per dire quello che vogliamo dire nella maniera esatta in cui lo vogliamo dire. Estill è uno dei metodi che ho approfondito ma, dal 2012 circa in poi, ho fatto veramente moltissime Master e continuo a farne per rispettare quel concetto di formazione permanente che credo sia necessario per chi decide di insegnare. Joe Estill è stata una delle prime insegnanti che si è chiesta cosa accadesse all’apparato fonatorio quando cantiamo, quindi è andata ad indagare con mezzi generalmente utilizzati in medicina quali laringoscopio, endoscopio, come si comportasse il nostro apparato durante la fonazione. Oggi la maggior parte dei metodi si basano su evidenze scientifiche, ma Estill è stata una vera e propria pioniera. Tutti i musicisti conoscono bene il proprio strumento, le fattezze, come si compone, come farlo suonare nel miglior modo possibile, la maggior parte degli strumentisti sono cultori del suono e dello strumento, ed è giusto che anche i cantanti, in quanto musicisti, debbano conoscere il proprio strumento per sfruttarlo nel miglior modo possibile e per tirare fuori il miglior suono possibile, che consentirà dunque, come dicevo in apertura, ad esprimersi al meglio.

Hai esplorato molti generi, dal soul al pop al gospel. C’è un genere che senti più tuo e che esprime meglio la tua personalità artistica?
Sicuramente la musica che io amo e che mi rappresenta dia più è la black music, e per black music intendo soul, nu soul, funk e rnb, tutti sottogeneri che possiamo inserire nel grande calderone della pop music, tutti derivanti in qualche modo dal gospel. Le sonorità black mi hanno sempre affascinata, già da bambina i miei dischi preferiti erano una raccolta di Aretha Franklin intitolata “Aretha sings the blues”, e una raccolta di artisti come Othis Redding, Marvin Gaye, Ray Charles intitolata “Rhythm & Blues”, entrambe le raccolte facevano parte di una collana “Il grande rock” della De Agostini acquistata da mio padre, io avevo poco più di 10 anni e già queste sonorità mi erano entrate nel cuore. Per quanto riguarda la musica italiana invece, il mio artista preferito e da sempre fonte di infinita ispirazione è Pino Daniele, il cantautore “Nero a metà”. Mi sento molto rappresentata dalla sua musica e credo sia uno dei pochi musicisti italiani che sia riuscito ad unire italiano (e Napoletano) e sonorità black. Il fraseggio, l’utilizzo dei suoni, l’approccio melodico, la metrica serrata, i melismi, sono tutti componenti di un modo di esprimersi che mi fa sentire a mio agio.

Quali sono i tuoi progetti e sogni per la tua carriera sia come cantante che come docente?
I sogni nel cassetto sono sempre tanti, poi a inizio anno s’incontrano anche con i buoni propositi che ognuno di noi si prefissa. Intanto mi sto dedicando alla conclusione del mio percorso in Conservatorio, ecco insegnare in Conservatorio, per quanto riguarda i miei sogni musicali, in questo 2025 ho certamente intenzione di far uscire i brani inediti a cui sto lavorando da tempo con gli arrangiamenti dei miei compagni di viaggio AvuLive. Sono lì da tanto, li abbandono, poi li riprendo, poi cambio qualcosa, insomma, è tempo che vedano la luce. Vorrei costruire un nuovo progetto musicale sempre con i miei AvuLive, un progetto sempre funk/acid jazz ma in italiano, e portare questo progetto un po’ in giro. Ho in cantiere nuove cose con i PopUp, a cui sto già lavorando, abbiamo fatto dei concerti nel periodo natalizio, andati molto bene, e voglio continuare a portare avanti questo bellissimo progetto. Come didatta ho sicuramente in cantiere la pubblicazione di un mio metodo di canto con esercizi funzionali e mirati, e vorrei aprire una rubrica social con pillole e consigli, questo è più un proposito che un sogno nel cassetto, con i social sono sempre poco attiva, purtroppo o per fortuna ormai il web è una parte fondamentale del nostro lavoro e devo farmene una ragione e mettermi in pari con questa cosa. Ho in mente anche di fare un paio di corsi di formazione per implementare le mie competenze e conoscenze, penso che non mi smetterò mai di studiare e di formarmi e vorrei portare sempre più competenze anche nelle strutture in cui lavoro, per creare un polo della voce che sia punto di riferimento per la mia città.

Grazie Federica per il tuo tempo ed un grosso in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri
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