Federica Vecchione: talento e passione, un viaggio nell’arte tra teatro e cinema

A soli 17 anni, Federica Vecchione ha già costruito un percorso artistico ricco e variegato, spaziando dal teatro al cinema con passione e determinazione. Nata a Napoli nel 2007, ha mosso i primi passi sul palcoscenico del Teatro Totò e si è poi formata presso l’Accademia di Musical e il corso di recitazione cinematografica PM5Lab, affinando le sue doti attoriali, canore e di danza. Il grande schermo l’ha accolta in produzioni importanti come “Chi ha rapito Jerry Calà”, “Il mio regno per una farfalla” e “Come Romeo e Giulietta” di Giuseppe Alessio Nuzzo. Oltre alla recitazione, ha avuto esperienze nel ruolo di conduttrice e giurata in prestigiosi festival cinematografici. Con una carriera in ascesa e una forte dedizione all’arte, il suo sogno è lasciare un segno nel panorama nazionale e internazionale.

a cura della redazione


Benvenuta su Che! Intervista, Federica! Sei una giovane artista con un percorso già ricco di esperienze. Qual è stato il momento in cui hai capito che il mondo dello spettacolo sarebbe stata la tua strada?
Grazie! La passione per l’arte, in tutte le sue forme, colora la mia vita di gioia e di creatività sin da quando ero piccola. Ho ancora ricordi nitidi del mio primo corso di teatro, luogo dove ho sconfitto la mia timidezza e scoperto la bellezza dell’arte e dell’espressione: ero sempre sul pezzo, concentrata e diligente, al punto da interpretare due ruoli, Calipso ed Euriclea, nel mio primo spettacolo, ispirato all’Odissea di Omero (da lì è nata la mia passione per il mondo classico). Mi fu assegnata anche una canzone da solista in napoletano, “Core ‘ngrato” – ancora oggi la suono al pianoforte e la canto, quando voglio riconnettermi con i momenti della mia infanzia – e ricordo che la provavo in piedi sul divano, cantando assieme ai miei amati nonni. Ricordo la prima esibizione, dal palco vedevo i volti incuriositi del pubblico, e quel senso di responsabilità e allo stesso tempo di fede e sicurezza che mi inondava. Forse, però, l’attimo esatto in cui ho capito che sarei stata pronta ad ogni sacrificio pur di vivere la magia del mondo dello spettacolo è legato alla mia prima volta in assoluto su un set: ero una figurazione per una serie tv Disney, bisognava ricreare il count-down di Capodanno in spiaggia nel freddo mese di Dicembre. Io indossavo un vestito, e nonostante il freddo e le ore di attesa prima dei vari ciak, mi guardavo intorno incredula e meravigliata; poi arrivò sul set Serena Rossi, artista che stimo moltissimo e alla quale mi ispiro, e all’ “Azione!” il cielo fu illuminato da splendidi fuochi d’artificio. Non riuscii a trattenere le lacrime per la commozione, stavo vivendo un’emozione troppo forte ed ero consapevole che quello fosse solo l’inizio di una grande avventura.

Hai iniziato la tua formazione artistica a soli sei anni. Quanto ha influito la tua città, Napoli, nella tua crescita e nel tuo modo di fare arte?
La mia prima scuola di teatro, intitolata a Totò, si trovava al centro storico, e ricordo i volti espressivi della gente, la musica tra i vicoli e il sapore inconfondibile della pizza Margherita che mangiavo dopo le prove. Credo che l’unicità di Napoli e della sua tradizione si esprima attraverso tutte le forme d’arte, sin dalle antichissime origini della città: la musica, il teatro e la recitazione, l’arte culinaria, la danza, la poesia, il presepe… Per quanto riguarda il mio percorso artistico, della cultura napoletana custodisco la spontaneità della recitazione e la poesia e musicalità del dialetto, nonché l’esempio dei grandi idoli: la femminilità e il carisma Sophia Loren, la simpatia brillante e sottile di Massimo Troisi, le note di Pino Daniele, che con sincerità descrivono la città, le drammaturgie di Eduardo de Filippo e Totò. Il fattore comune di questi artisti e, a mio parere, uno dei motivi per cui sono così amati e vivi nel cuore del pubblico, è che rappresentavano la realtà in modo autentico e sentito, basti pensare alla denuncia che Pino Daniele fa all’indifferenza in “Napule è”. Per quanto riguarda la mia crescita personale, credo che non siano solo i valori trasmessi degli artisti, ma anche quelli del popolo napoletano ad aver contribuito alla maturità della mia personalità: l’accoglienza, il carisma, la carnalità, l’altruismo, l’empatia. Noi siamo figli del Vesuvio, esplosivi e frizzanti, ma soprattutto tenaci, coraggiosi determinati, con la voglia di sorridere nonostante le difficoltà, vivere appieno la vita e “mangiarci il mondo”, con il supporto reciproco e soprattutto della nostra fortissima fede e la protezione di San Gennaro.

Il teatro è stato il tuo primo amore, poi è arrivato il cinema. Come vivi il passaggio tra questi due mondi e quali differenze trovi più affascinanti tra il palco e il set?
Il teatro nel V secolo a.C., e il cinema nel 1895, sono le forme d’arte che hanno segnato un punto di svolta per l’umanità, in quanto danno la possibilità di creare un personaggio, una vita diversa quella reale, intervenire sulla sua storia e cambiarne il destino. Trovo interessante la scrittura perché permette di mettere ordine in un mondo di incertezza e caos, e talvolta, come dopo la crisi del Positivismo con Pirandello, optare per un finale aperto e imporre al fruitore degli interrogativi. Il teatro, con il contatto col pubblico e l’immediatezza della sua reazione, garantisce un’esperienza catartica, un momento magico in cui si spengono le luci in sala, e gli attori smettono di essere percepiti come tali, ma diventano delle persone reali di cui il pubblico “sbircia” un estratto di vita. Il cinema, invece, permette di entrare nella mente del personaggio, leggere i pensieri nascosti nei silenzi, percepire cosa sente dagli occhi in un primo piano, ed emozionarsi quasi come se si stesse vivendo la situazione in prima persona. Io non amo la distinzione tra “attori di cinema” e “attori di teatro”, ma si è semplicemente “attori” nel momento in cui il proprio lavoro consiste nel vivere e trasmettere un’emozione -e, per me, non c’è lavoro più bello al mondo. Tendenzialmente il teatro richiede presenza scenica, impostazione della voce (che deve raggiungere anche l’ultima fila) ed espressività, come il cinema predilige un’interpretazione autentica e senza over-acting. Ma, a parer mio, l’una non esclude l’altra: tutti gli attori sono portavoce di una verità, e soprattutto credo non si possa prescindere da una buona tecnica e preparazione (che io spero di ottenere attraverso la formazione). Infine, una differenza affascinante è sicuramente la fruizione della propria opera d’arte: se, da un lato, a teatro il pubblico assiste in tempo reale alla rappresentazione, dall’altro il cinema richiede pazienza per la post-produzione e per vedere l’opera realizzata da un grande lavoro di squadra.

La tua esperienza nel documentario “Through My Eyes” di Melinda Raebyne ti ha permesso di raccontarti in un modo intimo e personale. Cosa ha significato per te far parte di questo progetto?
Far parte di questo progetto, ancora in post-produzione, per me è stata un’esperienza molto formativa e significativa perché ho avuto modo di esprimermi e raccontarmi in inglese, una lingua straniera che in qualche mondo sento “mia”. Sarà che desidero viaggiare e visitare l’America, Hollywood, Los Angeles, o che amo guardare i film in lingua originale o che lo studio sin dalle elementari. Ho conosciuto la regista ad un festival, e mi ha notata proprio perché ho tradotto in inglese un suo discorso alla presentazione del suo ultimo documentario. Ho imparato molto dal suo carisma e dalla sua gentilezza, e trovo speciale la finalità di questo progetto: ho raccontato “attraverso i miei occhi” da adolescente l’impegno necessario a realizzare i propri sogni, il coraggio di perseguire le proprie passioni,e il film sarà destinato ai giovani di tutto il mondo e, in particolare, proiettato nelle scuole e nei quartieri difficili in America. 

Hai interpretato ruoli significativi in film diretti da registi come Jerry Calà e Sergio Assisi. C’è un personaggio che senti particolarmente vicino alla tua sensibilità artistica?
Nel film “Il mio regno per una farfalla” il mio personaggio è molto vicino al mio modo di essere e di rapportarmi nella realtà, specialmente con i miei familiari. Enza, insieme al personaggio di Koscy, rappresenta la ”coscienza” del protagonista Sasà, interpretato da Sergio Assisi, ed è sempre pronta ad indirizzarlo verso la strada giusta, a rincuorarlo e supportarlo nelle difficoltà, rimproverare le sue scelte discutibili. Anche io sono molto saggia, precisa, attenta a fare la cosa giusta, e un po’ permalosa, ma allo stesso tempo sono presente e pronta a dare consigli ed aiutare i miei cari. Una curiosità è che il mio personaggio esprime alcuni concetti attraverso citazioni di celebri autori, ad esempio Shakespeare, ed anche a me capita spesso di fare riferimento a ciò che ho studiato e appreso, soprattutto al liceo classico (mai come in questo periodo, in cui sono impegnata con la preparazione per l’esame di maturità). Credo, però, di non aver ancora interpretato il ruolo più vicino alla mia sensibilità artistica, perché sono solo all’inizio della mia carriera e spero di avere il privilegio di mettermi nei panni di molti personaggi e dare vita a storie coinvolgenti.

Nel 2024 hai vinto il premio come Miglior Attrice per la tua interpretazione nello spettacolo “Nel Campo delle Viole”. Cosa rappresenta per te questo riconoscimento e come hai affrontato un tema così forte come quello della camorra?
Questo riconoscimento, il primo della mia carriera, per me rappresenta un segno del destino- non perché io dia un valore totalizzante ai premi, anzi io trovo che siano una soddisfazione e un incoraggiamento, ma non definiscano un artista o ne misurino la bravura – perché il Fashion Art Show si è tenuto a Cava de’ Tirreni. Quest’ultimo è, infatti, anche il luogo dove, negli anni Settanta, è vissuta Simonetta Lamberti, la giovanissima vittima della camorra che ho interpretato nello spettacolo “Nel Campo delle Viole”, diretto da Diego Sommaripa. Ricordo ancora i miei occhi lucidi e l’emozione del pubblico non appena ho interpretato il monologo che raccontava la morte di Simonetta, un episodio ingiustificabile ed irrimediabile, una storia che non va dimenticata. Per interpretarla al meglio, mi sono documentata, ho visto interviste dei familiari, letto articoli e cercato immagini e, nonostante sia una responsabilità interpretare una storia così ingiusta e straziante, credo che sia necessario al fine di sensibilizzare e responsabilizzare le persone su un tema purtroppo ancora attuale.

Oltre alla recitazione, hai anche esperienza come conduttrice e ambassador in festival prestigiosi. Quali competenze ti ha dato questo ruolo e quanto è importante per te la comunicazione con il pubblico?
La comunicazione, non solo con il pubblico ma nella vita di tutti i giorni, è di fondamentale importanza perché permette di far sentire la propria voce, esprimersi, essere compresi e comprendere il prossimo. Devo molto alla mia esperienza di conduttrice e ambassador al Social World Film Festival e al Pulcinella Film Fest, per la direzione artistica del regista Giuseppe Alessio Nuzzo, che ringrazio per la fiducia riposta in me. Grazie a queste esperienze ho messo in pratica quanto appreso dai miei anni di formazione teatrale: l’improvvisazione, il contatto col pubblico, e soprattutto mantenere la tensione, la concentrazione e l’energia nonostante le lunghe giornate lavorative. Le competenze che ho appreso sono state il problem-solving, l’interpretariato, visto che traducevo i discorsi degli ospiti dall’inglese all’italiano, e soprattutto catturare l’attenzione di un vasto pubblico di giovani e suscitare la curiosità verso tematiche di rilevanza sociale. Ho sviluppato il mio gusto e coltivato una grande passione anche per la critica cinematografica, visto che ogni giorno assistevo alla proiezione di decine di cortometraggi e lungometraggi da tutto il mondo, e avevo l’opportunità di confrontarmi con gli interpreti, i registi e i produttori e conoscere più a fondo il backstage del mondo dello spettacolo.

Studiando anche danza e musica, quanto credi che la multidisciplinarità sia un valore aggiunto per un’artista?
Credo che la multidisciplinarità sia un valore aggiunto per un artista da quando ho provato sulla mia pelle che si può recitare non solo attraverso l’espressione del corpo, gli occhi e le battute, ma anche attraverso il canto, la danza proprio come il musical americano. L’attore non deve essere necessariamente un cantante intonato ed impeccabile, per mostrare al pubblico come canta il suo personaggio. Inoltre trovo che la musica sia molto evocativa ed indicativa sull’interiorità del personaggio, spesso mi trovo a pensare “che musica ascolterebbe?” e a creare una playlist da ascoltare prima di andare in scena, per iniziare ad entrare nel personaggio sin dalla camminata. Il corpo è lo strumento principale di un artista, e io desidero essere poliedrica e versatile, lavorando sulla voce, sul movimento scenico (non vi nascondo che vorrei prendere lezioni di scherma, come nelle accademie nazionali), sui movimenti di stunt per le scene di lotta, in modo da essere sempre preparata ad affrontare al meglio qualunque sfida mi sia proposta.

Il tuo sogno è quello di affermarti nel panorama artistico nazionale e internazionale. Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e c’è un regista o un attore con cui ti piacerebbe lavorare?  
Tra i miei prossimi obiettivi vi è quello di proseguire con la mia formazione per renderla sempre più completa e variegata, sperando di prendere parte a progetti nazionali o internazionali e, magari, in futuro avere la possibilità di interpretare un ruolo da protagonista. Vorrei trasferirmi a Roma per approfondire i miei studi, e viaggiare molto per arricchire il mio bagaglio artistico, culturale e personale. Ci sono moltissimi artisti che stimo e con cui sarebbe un sogno lavorare e non riuscirei a scegliere – forse, in questo momento, in particolare Elio Germano e Toni Servillo, o per la regia di Paolo Sorrentino. Mi piacerebbe dare vita ad una storia tratta da un romanzo, come quelli di Elena Ferrante, oppure in costume ambientata tanti anni fa o, ancora, un biopic.

Infine, quale consiglio daresti ai giovani che vogliono intraprendere una carriera nel mondo dello spettacolo ma temono le difficoltà di questo settore?
Ai giovani che vogliono intraprendere una carriera nel mondo dello spettacolo, consiglio di cercare ispirazione nella realtà quotidiana, trovare la propria chiave per raccontarla e cercare di “rubare” dagli esperti guardando film, interviste, leggendo articoli e partecipando a masterclass e workshop.  Il mondo dello spettacolo comprende tantissimi ruoli, dalla recitazione alla regia, alla sceneggiatura o la scenografia, la fotografa, produzione o i reparti di trucco e costume e bisogna trovare la propria strada. È fondamentale armarsi di tanta pazienza e determinazione, porsi dei piccoli obiettivi da perseguire con costanza, e – è tanto difficile quanto necessario- credere profondamente in sè stessi e seguire il proprio istinto. È chiaro che questo sia un settore particolarmente difficile, che può sembrare a tratti inaccessibile, ma non bisogna perdere la speranza e la fiducia e privarsi della possibilità di emergere, con molto impegno e con un pizzico di fortuna.

Grazie Federica e complimenti per la tua carriera!

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