Federico Chiarofonte è un batterista e compositore che ha fatto della ricerca sonora e dell’improvvisazione la sua firma artistica. Cresciuto tra jazz, rock e musica colta del Novecento, ha dato vita a un percorso musicale ricco di contaminazioni e sperimentazioni. Con il suo trio ha pubblicato “Underbrush”, un album che racchiude un intreccio di influenze e ispirazioni, dal jazz alla musica contemporanea. In questa intervista, ci racconta il suo rapporto con l’improvvisazione, la composizione e la scena musicale romana, anticipandoci anche qualche dettaglio sul suo prossimo lavoro discografico.
Intervista a cura di Noemi Aloisi
Introduzione a cura di Salvatore Cucinotta
Benvenuto su Che! Intervista Federico, sei un batterista e compositore, come ti sei avvicinato alla musica?
Sono entrato in contatto con la musica da piccolo grazie soprattutto a mio fratello maggiore che ascoltava tanti dischi, soprattutto rock. A dieci anni ho cominciato a prendere lezioni di batteria e ho iniziato a suonare con chiunque avesse voglia di suonare con me, da adolescente ho incontrato il jazz grazie al mio insegnate di batteria che mi fece ascoltare “a love supreme” e “birth of the cool” oltre a una buona dose di progressive rock degli anni ’70. Mentre finivo le scuole superiori ho deciso di iscrivermi in Conservatorio dove ho incontrato tanti insegnanti e molti musicisti con cui sono cresciuto e con cui ho potuto collaborare.
Con il tuo trio avete pubblicato il disco “Underbrush”, uscito nel 2024 con GleAM Records. Da quali altri elementi è composto il gruppo?
Il gruppo è composto da Vittorio Solimene al pianoforte e Alessandro Bintzios al contrabbasso. Con Vittorio si tratta della prima vera collaborazione “a lungo termine”, con Alessandro suonavo già dai tempi del Conservatorio.
Quali generi musicali caratterizzano ed influenzano i brani di “Underbrush”?
Underbrush è il prodotto di una serie di influenze specifiche che si sono fuse tra loro a mia insaputa e che si sono poi riversate nella scrittura e fornito al disco e al gruppo il sound che ha. Tutto parte ovviamente dal jazz, sia tradizionale che contemporaneo che costituisce l’idioma principale che pratichiamo da strumentisti e che consumiamo come ascoltatori. Durante gli studi di composizione jazz sono entrato in contatto anche con la musica di fine ‘800 e dei primi del ‘900 e ho ascoltato molto alcune opere di Ravel, Skrjabin, Debussy, Stravinsky… Insieme a questi mi sento di citare anche i compositori dodecafonici Schoenberg, Webern e Berg sul cui lavoro sto costruendo dei nuovi repertori. Tutte queste influenze si inseriscono comunque in un contesto sociale e musicale fatto di concerti di colleghi e quotidiani confronti musicali con amici musicisti.
Che tematiche vengono affrontate in “Underbrush”?
Underbrush prende il suo nome da un sottobosco di riflessioni su cui mi sono soffermato in un periodo specifico della vita, troviamo quindi brani ispirati dalla letteratura (soprattutto Salgari che ha descritto il sud est asiatico senza esserci mai stato e i viaggi in nave senza quasi essere stato imbarcato), brani che portano nomi di animali, luoghi a cui sono legato, sogni e incontri. Contemporaneamente deve il suo nome a una realtà sociale e musicale viva e sotterranea che dà origine a ecosistemi musicali e stilistici unici, quella dei musicisti che ho incontrato a Roma in questi anni.
Il lavoro discografico ha ricevuto feedback positivi da riviste specializzate italiane ed estere. Inoltre il progetto è stato presentato nella rassegna romana “JAZZ ZONE” curata dal collettivo Agus al teatro “il Cantiere”. Vi aspettavate questo riscontro da parte del pubblico?
Questo è stato il primo prodotto discografico interamente gestito da me. Ho cercato quindi di curare le cose al massimo scegliendo bene i musicisti che si sarebbero presi cura della musica portatagli, lo studio di registrazione, i brani e l’etichetta discografica. Il risultato è stato una sorpresa da quando ho ascoltato il primo brano registrato nella sala mix.
Anche il feedback da parte delle riviste specializzate e dal pubblico è stato qualcosa di nuovo ed inaspettato, soprattutto l’interesse da parte dei colleghi musicisti quando abbiamo suonato dal vivo e l’ascolto attento di chi ha recensito il disco in Italia e all’estero.
Che rapporto hai con l’improvvisazione?
Da quando ho iniziato a suonare ho sempre improvvisato entrando e uscendo dai luoghi comuni funzionali del genere che stavo suonando. Nei progetti in cui suono o in cui ho suonato c’è sempre una grandissima parte dedicata all’improvvisazione, che poi è una parte fondamentale del suonare jazz e sue derivazioni. Ancora oggi molti dei suoni che uso come batterista e percussionista derivano da esplorazioni timbriche basate sull’improvvisazione effettuate con voglia di scoprire liberamente e con disciplina. Mi dedico professionalmente anche alla musica per la danza contemporanea, lì la capacità di improvvisare nel momento e il numero e la qualità dei suoni che un musicista può produrre sono davvero molto importanti.
Come compositore da cosa ti lasci ispirare?
Mi considero una sorta di contenitore e traduttore di esperienze di ogni tipo. Pensieri, sentimenti ma anche musica, meccanismi di funzionamento di oggetti, luoghi, il mondo naturale, persone, sogni… tutto confluisce nella scrittura e viene trasformato in melodie, successioni di accordi e sviluppi formali.
Ti esibisci spesso a Roma, quale è il tuo rapporto con la città e quali quartieri vivi maggiormente?
La città di Roma offre un nutrito numero di locali in cui si fa musica dal vivo ed alcuni di questi sono dedicati al jazz. E’, per un ragazzo che studia o si avvicina a questa musica, una sorta di università a cielo aperto in cui si possono scoprire, ascoltare e conoscere musicisti incredibili.
Oltre che nella Capitale, in quali posti ti piacerebbe suonare?
Stiamo lavorando a qualche data in Europa. Lì ci sono molti posti recettivi con una meravigliosa programmazione e direttori artistici attenti alle novità locali ed estere. L’organizzazione di questo tipo di spostamenti non è semplice all’inizio ma posso dire di essere soddisfatto dei feedback ricevuti dai primi contatti che ho avuto con queste realtà. Incrociamo le dita e continuiamo a lavorare.
Attualmente sei al lavoro con la produzione di un nuovo disco. Vuoi anticiparci qualcosa?
Tra i vari progetti che sto curando e per cui sto scrivendo il piano trio di Underbrush è quello per cui produco più velocemente. Se il nostro esordio discografico è stato con un disco di brani abbastanza brevi, il prossimo vedrà delle composizioni più lunghe, un pò più ermetiche e con dei percorsi formali diversi: quasi delle suite, tre. Una è basata su una sequenza dodecafonica (quella della suite lirica di Berg), la seconda è la prosecuzione di un brano contenuto in Underbrush e basato su un sogno (Swapnadosha) e una terza sarà costruita su una scala ottofonica particola che ho inventato. Comunque nel corso dei concerti ho cercato di espandere anche il repertorio di brani singoli da poter suonare nelle diverse situazioni, quindi abbiamo davvero tanto materiale da incidere! In più uscirà un disco live, sempre con GleAM Records, con brani registrati durante i concerti del trio.
Grazie del tuo tempo Federico! Complimenti per la tua carriera artistica!
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