Fiori Picco è una sinologa, di professione scrittrice, traduttrice letteraria ed editrice. Ha vissuto otto anni in Cina, dove ha insegnato cultura europea presso l’Università Normale dello Yunnan e ha svolto ricerche di antropologia. Dal 2007 è autrice e dal 2011 traduce opere di autori asiatici. Ha scritto una raccolta bilingue di racconti, sette romanzi, di cui uno in lingua cinese, e una raccolta di storie in haiku. Ha ricevuto recensioni nazionali e internazionali e ha vinto numerosi premi per la narrativa e per la traduzione, tra cui il Pablo Neruda, il Michelangelo Buonarroti, il Jacques Prévert, Il Caravaggio-Argentario, il Città di Latina, l’Apollo Dionisiaco etc. Nel 2016, dalla Regione Lombardia, le è stato conferito l’International Standout Woman Award per la cultura. Nel 2018 in Cina, al congresso internazionale di sinologi e scrittori, è stata insignita del titolo di “Friend of Chinese Literature”. Sempre nel 2018, insieme a scrittori di tutto il mondo, ha partecipato all’International Writing Program dell’Accademia di Letteratura Lu Xun di Pechino. Per due anni è stata membro della giuria internazionale del China Bo’ao International Poetry Festival dell’Isola di Hainan. Da due anni è Presidente della sezione “Poesia in Lingua Cinese” del Premio Letterario Internazionale Francesco Giampietri. Dal 2019 è titolare di Fiori d’Asia Editrice. Dal 2021, in collaborazione con la China Writers Association, è fondatrice e responsabile del Club dei Lettori della Letteratura Cinese. Nel 2023 è stata nominata “Consulente Internazionale dell’Accademia Yulong Wenbi Dongba Culture of Lijiang”, per promuovere e rappresentare nel mondo la millenaria Cultura Dongba, patrimonio dell’Unesco.
a cura di Francesca Ghezzani, giornalista ed autrice TV
Fiori, come descriveresti il tuo lavoro?
È uno studio continuo, una ricerca antropologica e sociale per scoprire realtà sempre nuove e diverse da riportare nei miei libri e da presentare ai lettori occidentali; la scrittura, così come la traduzione, è un lavoro creativo, una passione che diventa missione creando legami e ponti culturali tra Paesi. Richiede precisione, responsabilità e costanza, e a lavoro ultimato dà molte soddisfazioni.
Con il romanzo “Il Circolo delle Donne Farfalla” hai vinto di recente il premio “Menzione di Merito Obiettivo Sostenibile 5 – Parità di Genere” del Premio Letterario Internazionale Charles Dickens 2024, patrocinato dall’ONU Italia UNRIC di Bruxelles. La cerimonia di premiazione si è svolta lo scorso 7 dicembre presso l’Auditorium Comunale Tebaldini di San Benedetto del Tronto. Raccontaci.
La Menzione ONU del Premio Internazionale Charles Dickens è un riconoscimento estremamente importante perché rende onore alle Donne Farfalla protagoniste del mio libro, isolate per secoli nella Gorgia del Nujiang e segnate per la vita dal tatuaggio facciale Mugao, una pratica di modificazione corporea che, fino alla prima metà del Novecento, sfigurò numerose adolescenti. Poter dare voce attraverso i miei scritti a queste etnie in via di estinzione ricevendo un premio prestigioso per il mio lavoro è un motivo di orgoglio e un incentivo a proseguire nella stesura di storie-verità e di coscienza sociale. La cerimonia di premiazione è stata splendida, l’atmosfera culturale e letteraria dell’Associazione Omnibus Omnes di San Benedetto del Tronto è unica.
Veniamo al tuo libro più recente: “Il tempo del riso glutinoso”. Il titolo rimanda a un concetto chiave della cultura Kam. Potresti spiegarne il significato?
Il riso glutinoso è il cereale tipico dell’etnia Kam, il suo processo di semina e di lavorazione si svolge attraverso varie fasi e richiede un tempo lunghissimo, così come ogni evento nella vita richiede un processo evolutivo e le risoluzioni ai nostri problemi non sono immediate. Nel libro e nel titolo, il ciclo biologico di questa qualità di riso diventa metafora dell’esistenza e suggerisce alle persone sagge di industriarsi, di osservare e di aspettare che sia la vita stessa a dare loro le risposte.
È un’opera ricca di riferimenti storici e antropologici. Da dove nasce l’ispirazione per raccontare questa storia e perché hai scelto di ambientarla nel contesto della società matriarcale dell’etnia Kam?
Da sempre studio la cultura delle minoranze etniche della Cina, il mio legame con questi popoli è profondo e si rinnova di continuo; i Kam hanno un patrimonio culturale immateriale immenso, che riguarda la musica, la danza, l’opera, l’architettura, l’artigianato e l’arte culinaria. L’idea di scrivere di questo popolo per poterne diffondere gli usi, i costumi e le tradizioni mi ha sempre affascinata. Per poter scrivere una trama valida e accattivante ne ho approfondito la storia, le leggende e gli aspetti antropologici, anche attraverso i racconti della mia ex allieva d’Università, protagonista e voce narrante del libro, nominata sindaca del villaggio di Shanjiao che, a differenza di altri luoghi popolati dall’etnia Kam, ha una tradizione matriarcale millenaria che si riflette in ogni aspetto della vita quotidiana, spirituale e materiale, dei suoi abitanti. La singolarità del luogo mi ha dato nuovi stimoli per la stesura di quest’opera.
Il libro parla di rivalità tra donne ma anche di possibilità di comprensione ed empatia. Quali sono i messaggi principali che desideri trasmettere attraverso queste dinamiche femminili?
In una società matrilineare, dove il potere è in mano alle donne, dovrebbe prevalere la solidarietà femminile; in realtà le donne sono le prime a nutrire ostilità e ad accanirsi contro le proprie simili. La protagonista si rende conto dell’ottusità di alcune donne anziane che le ostacolano il cammino, così come di atti di bullismo nei confronti dell’amica Yilan, una giovane sfortunata che la sindaca aiuterà e proteggerà. Il romanzo trasmette messaggi universali come l’importanza di comunicare, di chiedere spiegazioni, di empatizzare con i più deboli e di calarsi nei rispettivi panni per comprendere i sentimenti e le fragilità altrui.
La tua protagonista affronta la pressione delle aspettative familiari e della comunità. In chiusura, quanto ritieni che questo sia un tema universale, anche fuori dal contesto cinese?
In Cina le pressioni familiari incidono molto sulla vita dei giovani, e anche la comunità ricopre un ruolo decisivo nelle loro vite. Sebbene in Occidente i giovani siano meno inclini ai sacrifici e alle rinunce, da adulti si trovano spesso ad indossare delle maschere per essere accettati dalla società: nel mondo del lavoro, nella sfera familiare e nella cerchia di amici. Capita infatti che gli altri ci impongano dei ruoli predefiniti che dobbiamo rispettare per non essere giudicati o emarginati. Soprattutto le donne: quante volte sono biasimate o compatite perché non diventano madri o non hanno un compagno al loro fianco? Questo succede da sempre, in qualsiasi parte del mondo. “Il Tempo del Riso Glutinoso” è una storia di coraggio nelle avversità, di autoaffermazione e di sfida nei confronti delle convenzioni e di mentalità sorpassate e precostituite.
Grazie Fiori per il tuo tempo e complimenti per tutto!
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