Dal 18 aprile 2025 è disponibile “What if the Universe..?”, il nuovo EP di Francesco Cangi & The Lonely Rockets, un progetto originale e visionario che fonde alta formazione jazzistica e anima pop rock in un mix avvolgente e potente. Un lavoro che nasce dalla necessità di esplorare la propria identità musicale, liberandola da ogni costrizione stilistica. Tra i brani spicca “Lundi à Six Heures”, singolo in rotazione radiofonica interpretato dalla voce magnetica di Sabina Sciubba, un inno poetico a quella soglia fragile e potente che separa la routine dalla rinascita.
a cura della redazione
Benvenuto su Che! Intervista, Francesco! “What if the Universe..?” è un titolo che suona come un’apertura infinita di possibilità. Da dove nasce questa domanda cosmica e cosa rappresenta per te?
Sono sempre stato appassionato del Cosmo e della Scienza in generale. Ultimamente stavo ascoltando un podcast di Neil deGrasse Tyson che parlava di un universo dentro l’universo dentro l’universo ecc… Mi ha subito fatto pensare al finale di Man In Black, dove ad un certo punto si scopre che tutta la galassia è dentro il collare del gatto.
Queste cose mi fanno impazzire di vitalità, tutto è talmente probabile che allora tanto vale giocare per davvero con la vita, in senso più che positivo.
Il singolo “Lundi à Six Heures” è cantato da Sabina Sciubba, artista dal timbro eclettico e sofisticato. Com’è nata questa collaborazione e perché proprio lei per dare voce a questo sogno del lunedì mattina?
Con Sabina collaboriamo da qualche anno nel suo progetto solista, insieme a Riccardo Onori (l’ho conosciuta grazie a lui). È un’artista incredibile e amo tantissimo la sua musica.
Quando ho scritto questo testo in francese, ho da subito desiderato che fosse lei a cantarlo. Quando l’ha ascoltato mi ha anche detto: “Posso aggiungere un po’ di cose sognanti in questi lyrics?”. Non poteva farmi più felice di così. È proprio di sogni che parla questo pezzo.
Parli di una rinascita dell’identità che avveniva proprio ogni lunedì alle sei. Cosa accadeva in quell’orario e cosa ti ha lasciato dentro al punto da volerlo trasformare in musica?
Posso dire che in questo brano in particolare – ma anche in tutto l’EP – faccio riferimento ad un profondo e lungo percorso che mi ha cambiato la vita, per cui devo ringraziare Massimo Fagioli, la Teoria della Nascita e l’Analisi Collettiva. Un mondo nel quale ho avuto la fortuna di entrare e che farà sempre parte di me.
Il tuo EP abbraccia il jazz, il funk elettronico, il pop punk e altro ancora, ma tutto sembra confluire in un’identità sonora precisa. Come hai trovato il tuo “suono”?
Avere un’identità sonora precisa credo sia il più grande complimento per ogni musicista.
Mettere insieme i pezzi di questo puzzle è stato complicato, perché mi sono sempre nutrito di mondi molto diversi tra loro. Ma una volta che sono riuscito a liberarmi dagli schemi e buttare tutto in pentola, ne è uscito un piatto che credo mi somigli molto.
Hai coinvolto nomi importanti come Riccardo Onori e Dario Cecchini: cosa ha significato per te creare questo progetto insieme a musicisti di tale calibro?
Oltre ad essere artisti fortissimi sono persone meravigliose e grandi amici. Dario Cecchini è da sempre il mio “babbo” musicale, gli devo veramente tanto. Era per me indispensabile averlo nella mia musica.
Riccardo Onori vabbè… Che gli vuoi dire! Un gigante. Ho l’onore di averlo con me come guest con i Lonely Rockets e porta sempre tutto to the next level.
“What if the Universe..?” sembra anche un invito a lasciare che la musica sia libera, senza gabbie di genere. Quanto ti ha aiutato l’esperienza da autodidatta prima, e quella nei conservatori poi, a costruire questa libertà?
L’essere musicalmente nato autodidatta mi ha da sempre dato quella spinta necessaria per fare le cose di pancia. Ricordo vivamente quando, al conservatorio Jazz di Bologna, iniziando a studiare di brutto cominciavo a capire quello che istintivamente già facevo. Mi si è aperto un mondo davanti e mi sembrava un parco giochi!
Quando poi ho iniziato a scrivere, sono cascato nella rete del “Questo deve essere così, quest’accordo non può essere cosà, qui la melodia è banale ecc.” Credo sia normale. Poi, a poco a poco, ho iniziato a buttare fuori tutto, e prendere ogni idea per quello che era: né buona, né cattiva, semplicemente libera creatività.
La tracklist è variegata e intensa: ci racconti come si sono composti i brani? Sono nati prima da un’idea strumentale, da una sensazione, o da una storia?
Quasi tutti i brani sono nati da piccolissime idee frammentate. Una melodia, un groove, o anche semplicemente un suono. Molti sono venuti fuori da piccoli beat che creavo per poi caricarli sui social. Sentivo che c’era qualcosa di figo e li salvavo sul computer con la spunta verde. Tante altre idee sono nate in momenti in cui il cervello decideva di prendersi una pausa dal mondo. L’input creativo è una cosa che mi affascina da morire, arriva quando meno te lo aspetti e nei modi più assurdi.
The Lonely Rockets non è solo un nome suggestivo, ma suona anche come una dichiarazione di intenti. Chi sono i “razzi solitari” al tuo fianco e qual è la loro missione musicale con te?
Anche questo nome è frutto di un sogno! Mi sono svegliato una mattina e l’ho detto subito alla mia compagna per far sì che non svanisse nelle nuvole. Mi piace molto come suona, ed il concetto che si porta dietro.
I razzi solitari (non solitari perché soli, ma perché unici) al mio fianco sono: Antonio Amabile alle tastiere, synth e bassi, e Vincenzo Messina alla batteria. Due giganti della scena bolognese.
Portare questa musica sul palco con un power trio non è semplice, ma questa è una dimensione che a me piace tantissimo.
Comunque i Lonely Rockets non hanno barriere di numero o di genere. Il mio sogno è quello di portare sul palco altri 13 razzi con me, compresa una brass band.
La tua carriera ti ha portato a collaborare con artisti pop, jazz e internazionali. In che modo tutto questo bagaglio ha influenzato la tua scrittura da leader?
Sono laureato in Jazz ma il mio animo è sempre stato molto pop. Ogni collaborazione che ho avuto l’onore di coltivare ha sicuramente contribuito a farmi crescere musicalmente e/o umanamente. Dopotutto in questo mestiere la prima prerogativa è quella di saper stare con gli altri… come si dice a Firenze: “Il sonare gli’è il meno!”
Suono uno strumento che trova più spazio nel jazz o nella musica orchestrale, ma quando ho scoperto Trombone Shorty, che è una vera e propria rock star del trombone, e fa il solista con Lenny Kravitz e i Foo Fighters mi son detto “Vai! Ecco la mia dimensione!”
Guardando avanti, quale sogno vorresti ancora far partire “lunedì alle sei”? E che ruolo immagini per Francesco Cangi & The Lonely Rockets nel futuro dell’universo musicale italiano?
Ho ancora tanta musica da tirar fuori e non vedo l’ora di farlo. Ma soprattutto la dimensione live è quella che più mi fa star bene. Il sogno – o meglio la missione – è quella di poter portare questa storia più fuori e lontano possibile. Quando suoniamo dal vivo vedo che la musica è apprezzata trasversalmente dai puristi del jazz, da quelli che stanno per andare in discoteca, e da chi ha appena finito di ascoltare l’ultima hit estiva..Beh, per me è un’impagabile vittoria!
Grazie Francesco e complimenti per il tuo nuovo singolo!
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