Francesco Talarico, scrittore e libero professionista originario di Cariati e attualmente residente a Bologna, ha saputo affascinare i lettori con la sua narrativa ricca e riflessiva. Con un background in giurisprudenza e una tesi sul giornalismo antimafia, Talarico ha esordito nel mondo della letteratura con il romanzo generazionale “La fine dei vent’anni,” seguito dal libro “Non essere chi sei,” scritto in collaborazione con Chiara Pozzati. Le sue opere offrono uno sguardo profondo sulle sfide della gioventù, l’amicizia e i conflitti interiori. In questa intervista, esploreremo il suo percorso creativo, le sue ispirazioni e i progetti futuri che lo appassionano.
Francesco, il tuo romanzo d’esordio, “La fine dei vent’anni,” esplora la gioventù e le sue complessità. Cosa ti ha ispirato a scrivere questo libro e quale messaggio speravi di trasmettere ai lettori?
La fine dei vent’anni è arrivata in un momento di grandi cambiamenti personali. Il termine del percorso universitario, il momento di scegliere una strada da seguire e gli inevitabili timori connessi. È nata da qui l’esigenza di scrivere un romanzo generazionale che mettesse a nudo la difficoltà del passaggio dai venti ai trent’anni, ovvero al momento in cui metaforicamente la festa finisce e le responsabilità iniziano. C’è dentro l’amicizia che cambia quando si cresce, le aspirazioni che non decollano, il ruolo della coscienza, la contrapposizione tra interessi e sentimenti, talento e fortuna. Attraverso questa storia ho voluto rappresentare le contraddizioni dell’animo umano.
Hai scritto la prefazione per il giallo “Sole sul caso delle dieci.” Come è stato collaborare con un altro autore e quale è stato il tuo approccio nella redazione di questa prefazione?
È stato un bel momento e una responsabilità importante quella di curare la premessa di un romanzo venuto fuori dalla penna di un altro autore. Ho tenuto conto della natura della storia per poter dare il mio piccolo contributo.
Il tuo secondo libro, “Non essere chi sei,” è stato scritto insieme a Chiara Pozzati. Come è stata la tua esperienza di co-scrittura e quali sono state le principali sfide e vantaggi di lavorare in coppia?
L’idea di “Non essere chi sei” nasce per la volontà di raccontare una storia sulla manipolazione affettiva e sulle maschere che ogni giorno tutti portiamo. Mi intrigava l’idea di narrare una relazione di coppia atipica, gli eventi, le conseguenze di scelte sbagliate, le implicazioni psicologiche attraverso un doppio binario. Raccontare la storia insieme a un’altra autrice è stato un percorso ambizioso e allo stesso tempo difficoltoso. Non è per nulla facile scrivere un libro a quattro mani, perché ogni autore, ha le sue idee, i suoi tempi, le sue convinzioni. Tuttavia siamo riusciti in quello che era l’intento iniziale e creare una storia estrema che porterà inevitabilmente a creare notevoli riflessioni. Nel complesso è stata un’esperienza altamente formativa, che tuttavia mi porta a pensare che nei lavori successivi tornerò a scrivere da solo.
Hai studiato giurisprudenza con una tesi sul giornalismo antimafia. Come ha influenzato questo background il tuo lavoro come scrittore e quali temi legati alla giustizia e alla verità trovi più rilevanti nella tua narrativa?
La fine del percorso universitario si è concluso con un lavoro di tesi sul giornalismo antimafia in Italia. È stato il primo momento in cui mi sono confrontato con un lavoro di scrittura in un ambito che mi ha sempre appassionato sin da ragazzo. Tratto tematiche sociali, in modo leggero, ironico, scanzonato, malinconico e crudo a seconda dei momenti. Con la scrittura posso riportare il mio pensiero su diversi aspetti del mondo odierno.
“La fine dei vent’anni” è stato descritto come un ritratto dolce-amaro della gioventù. Quali elementi del tuo passato e delle tue esperienze personali sono riflessi in questo romanzo?
Mi piace molto la definizione di romanzo agrodolce. Lo è il finale come tutta la storia.
È inevitabile che chi scriva di narrativa metta dentro le sue opere qualcosa del suo vissuto. C’è qualche aneddoto relativo al mio percorso universitario, spunti caratteriali nei vari personaggi, ovviamente tutto romanzato.
Nel tuo libro esplori il tema dell’amicizia autentica tra uomini. Cosa ti ha spinto a focalizzarti su questo aspetto delle relazioni maschili e come hai cercato di rappresentarlo nel tuo racconto?
“La fine dei vent’anni” è soprattutto la storia di un’amicizia, tra due ragazzi opposti, che trovano in questo rapporto una forza reciproca per affrontare tante insidie. Un’amicizia che resiste al tempo e che sarà messa a dura prova nel momento in cui i due protagonisti diventano adulti e prendono strade, percorsi e decisioni diverse.
Hai vissuto e lavorato in diverse città, tra cui Cariati e Bologna. In che modo i luoghi in cui hai vissuto hanno influenzato la tua scrittura e i tuoi personaggi?
Cariati è il luogo della mia infanzia, Bologna la città che mi ha accolto e nella quale ho deciso di vivere. Rappresenta il periodo universitario, avventure e disavventure, serate liete e giorni più faticosi. C’è tanto di Bologna dentro i miei libri, sfumature, aneddoti, particolari.
Qual è stato il feedback più significativo che hai ricevuto dai lettori di “La fine dei vent’anni” e come ha influenzato la tua visione della tua scrittura?
La visione di base non è cambiata, si è sicuramente ampliata, ma rimango fedele alla mia natura che è quella di narrare di storie di vita comune nelle quali poter rappresentare le mille sfaccettature della società odierna. I feedback positivi sono stati allo stesso tempo soddisfazione e stimolo per alzare l’asticella. Non ne scelgo uno in particolare, seppur diversi tra quelli ricevuti pubblicamente o in privato, mi hanno fatto felice perché è stato colto il senso della storia e molti si sono rivisti nei personaggi.
Stai lavorando a nuovi progetti letterari o hai idee per future pubblicazioni? Se sì, puoi darci qualche anticipazione su cosa possiamo aspettarci?
“Del doman non v’è certezza” diceva uno più bravo di me. Al momento sono impegnato con il tour letterario di “Non essere chi sei” iniziato in estate e che avrà nuove tappe in Emilia-Romagna nelle prossime settimane. Sto lavorando a un nuovo romanzo di formazione che auspico possa venire alla luce al più presto.
Quali consigli daresti a un aspirante scrittore che sta cercando di intraprendere una carriera nella narrativa? C’è qualche lezione particolare che hai imparato lungo il tuo percorso che vorresti condividere?
Una sola parola racchiude tutti i consigli che posso dare: perseveranza. Oltre all’inevitabile talento bisogna nutrire una sana e positiva ossessione. Il percorso per arrivare ad essere uno scrittore è decisamente arduo, bisogna averne consapevolezza e non farsi abbindolare dai messaggi di tanti millantatori che gravitano attorno a questo mondo.
Grazie Francesco per la tua intervista e continua a seguirci su Che! Intervista.
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