Gabrio Gentilini è uno dei volti più amati del teatro musicale italiano. Dalla sua passione per la danza folk romagnola ai grandi successi nei musical come “La Febbre del Sabato Sera” e “Dirty Dancing”, la sua carriera è un viaggio ricco di trasformazioni. Gabrio ha conquistato il pubblico con il suo talento poliedrico di attore, cantante e ballerino, senza mai smettere di sfidarsi e crescere, come dimostrano le sue esperienze a New York e nel cinema. Oggi, torna a vestire i panni di Johnny Castle, il protagonista di “Dirty Dancing”, per celebrare il decennale della sua partecipazione allo spettacolo. In questa intervista, esploriamo i momenti più intensi della sua carriera e le sue riflessioni personali sul mondo dello spettacolo. Foto in copertina ph Alessandra Alba.

a cura di Antonio Capua


Benvenuto su Che! Intervista, Gabrio! Hai interpretato ruoli iconici come Tony Manero e Johnny Castle. Cosa ti ha colpito di più di questi personaggi e come ti sei avvicinato a loro, anche a livello emotivo?
Entrambi i personaggi sono diventati icone indiscutibili, delle leggende del cinema e del teatro. Ho cercato di esplorare a livello emotivo il loro impatto sul pubblico, analizzando le qualità che ciascuno di essi riesce a evocare negli spettatori. Il mio obiettivo è quello di attingere a queste stesse caratteristiche, presenti in me, per reinterpretarle in una chiave personale, dando vita a una versione che rifletta la mia interpretazione unica. 

Dopo dieci anni, torni a interpretare Johnny Castle in “Dirty Dancing”. Come ti senti a riprendere questo ruolo e in che modo è cambiato il tuo approccio al personaggio rispetto alla prima volta?
Nel corso di questi dieci anni, ho accumulato molte esperienze, sia come persona che come artista. Tornare oggi a raccontare questa storia, così famosa e amata dal pubblico, rappresenta un grande privilegio. Lo faccio con una consapevolezza rinnovata, e affrontare questa sfida da una posizione di maggiore maturità mi permette di viverla con leggerezza e gioia. Intendo godermi appieno ogni istante di questo momento unico. 

Hai vissuto un periodo formativo a New York per approfondire la recitazione. In che modo questa esperienza ha influenzato il tuo modo di essere attore e cosa hai scoperto di te stesso?
Il mio punto di vista sulla recitazione è profondamente cambiato: prima ero più legato a una recitazione formale, dove tutto aveva meno a che fare con la capacità di creare sul momento stesso, agendo seguendo gli impulsi che arrivano e stando pienamente in ascolto con ciò che accade. Ora sento di aver molti più strumenti che mi permettono di agire sulla scena abbandonandomi a quello che chiamo un “flusso di vita”, come se fossi un canale.E così come ho maturato questo, ho realizzato che ho ancora tanto su cui voglio lavorare per migliorarmi e portare sempre più autenticità nelle mie rappresentazioni. 

Hai lavorato in televisione, cinema e teatro. Quali differenze hai notato nel passare da un medium all’altro e quale ti sfida di più artisticamente?
Ci sono molte differenze tra il cinema, la televisione, il teatro di prosa e il teatro musicale, per lo più legate a fattori tecnici, come la proiezione vocale, la gestione dello spazio e del corpo e il punto di vista dello spettatore e la relazione con il pubblico. Attualmente, ciò che mi sfida di più artisticamente è sicuramente il lavoro con la telecamera, poiché è l’aspetto che ho affrontato di meno rispetto alle altre forme espressive e che desidero approfondire ulteriormente. Inoltre, mi sono recentemente avvicinato alla conduzione di spettacoli, esperienza che ho vissuto grazie all’Ellington Club. Questo mi mette alla prova nella creazione di una relazione diretta e spontanea con il pubblico, un aspetto che mi spaventa e affascina al contempo. 

La tua carriera è iniziata con la danza folk romagnola. In che modo questa prima passione ha influenzato il tuo percorso e il tuo modo di interpretare i ruoli che portano in scena il movimento e la fisicità?
I miei studi delle danze folk sono stati fondamentali quando ho approcciato per la prima volta ‘Dirty Dancing’, poiché questo spettacolo si basa su balli di coppia. Inoltre mi ricordano le mie origini, un aspetto a cui tengo moltissimo. 

Con “Dirty Dancing” hai lavorato a stretto contatto con Eleanor Bergstein, autrice del film e dello spettacolo. Come è stato essere scelto da lei e cosa ti ha insegnato questa esperienza?
Essere scelto da lei, ha rappresentato per me un grande onore e una meravigliosa sorpresa che la vita mi ha riservato. Questa esperienza mi ha insegnato l’importanza di avere sempre il coraggio di sognare in grande. 

Sei stato protagonista di spettacoli all’Ellington Club, in cui sei anche crooner e regista. Come si differenzia per te la direzione artistica rispetto alla recitazione e cosa ti ispira nel creare uno spettacolo?
In generale, ciò che mi affascina di più è il processo creativo: vedere come, partendo da un’idea, si possa dare vita a qualcosa di unico, sia per se stessi che per qualcun altro. L’artista deve pensare solo alla sua interpretazione mentre il regista deve pensare a tutti i componenti di una rappresentazione. Deve avere una visione più alta, di deus ex machina.Quando si dirige qualcuno, l’aspetto più entusiasmante è riuscire a mettere l’altro nelle condizioni di esprimere al massimo la sua creatività, pur seguendo una direzione assegnata. Questo è sicuramente un aspetto che intendo esplorare ulteriormente in futuro

Il teatro shakespeariano è una parte importante del tuo percorso artistico al Globe Theatre. Cosa significa per te confrontarti con i testi di Shakespeare e quali sono state le sfide più grandi?
Uno degli aspetti più sfidanti è stato sicuramente quello di recitare in versi e riuscire a renderli in scena il più possibile aderenti alla realtà. Inoltre adoro come Shakespeare riesca a unire diversi linguaggi e a mescolare il “basso” con l’“alto”, portando alla luce temi universali che continuano a toccare  l’animo dell’essere umano ancora oggi. 

In una carriera così eclettica, qual è stato il momento più trasformativo, quello che ti ha spinto a riconsiderare la tua direzione artistica o personale?
Direi che il momento più significativo della mia carriera è stato sicuramente alla fine di “Dirty Dancing”, nove anni fa, quando ho scelto di interrompere la mia esperienza nel teatro musicale per approfondire e migliorare le mie capacità come interprete. Rinunciare a ciò che si era appena spalancato davanti a me per rimettermi in discussione è stato, senza dubbio, il momento più forte del mio percorso artitstico e personale fino ad oggi. 

Ci sono sfide e i ruoli che ancora sogni di interpretare, sia sul palcoscenico che sul grande schermo? E quali nuovi obiettivi ti sei prefissato?
Ciò che desidero oggi come artista è affermarmi sempre di più e ottenere un riconoscimento crescente dal pubblico. Questo non per la ricerca di una fama fine a se stessa, ma perchè voglio continuare a svolgere il mio lavoro in modo sempre migliore, in contesti diversi fra loro e che permettano al mio essere di esprimersi al massimo e di donarsi pienamente agli altri in ogni sua forma. 

Grazie per il tuo tempo Gabrio e complimenti per la tua carriera artistica e professionale!
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