Con una carriera che spazia dall’insegnamento alla collaborazione con grandi nomi del cinema internazionale, la nostra intervistata a Gaia Gaudesi ci conduce in un viaggio tra tecnica, creatività ed emozioni, condividendo la sua profonda connessione con l’arte e la drammaturgia. Un percorso che intreccia sfide e successi, dall’incredibile trasformazione sui palcoscenici teatrali fino alla cura dei dettagli per produzioni di fama mondiale come The Leopard, prossimamente su Netflix.
a cura di Noemi Aloisi
Benvenuta Gaia, sei una make up artist, e la passione per l’arte c’è da sempre, fin da quando eri una bambina. La pittura e il disegno sono delle attività a cui ti sei anche dedicata? Nel caso, principalmente che ti piaceva raffigurare?
Non ho mai avuto un riferimento preciso o una fonte di ispirazione. Riportavo su carta qualcosa che mi colpisse o che rappresentasse una manifestazione del mio stato d’animo. Per questo sono passata da un occhio in lacrime a maschere teatrali, da teschi umani ad animali domestici… C’è stata, tuttavia, sempre una costante: lo strumento da disegno. Ho sempre disegnato con grafite su carta ruvida.
Avendo fatto degli studi classici sei stata assorbita anche dalla letteratura greca e dalla drammaturgia. Che cosa ti affascinava di questi scritti?
La loro incredibile forza e la capacità di essere sempre attuali, nonostante appartengano ad una realtà lontana da noi millenni. Medea di Euripide, un esempio tra tanti: Medea è una donna le cui vicissitudini sono legate alla Grecia del 430 a.C, più o meno. Ma quante Medea hanno attraversato la storia; quante ne ho conosciute personalmente… Io stessa, spesso, mi sento lei. Questa è la vera forza dei classici greci.
Finito il liceo hai intrapreso la strada della make up artist, se vogliamo comunque una forma d’arte. Come sei arrivata a questa scelta?
Assolutamente per caso. Avevo già una predisposizione ed era evidente. Sono stata spinta da due miei grandi amici, Diana e Marcello, che mi hanno convinta a mollare il lavoro che facevo in quel momento, e che detestavo, e a iniziare i miei studi nel settore.
Per scegliere un make up, aldilà dell’occasione, ti servi anche dell’armocromia?
Una bella domanda che potrebbe portarmi a parlare ore, ma mi conterrò. La risposta è assolutamente no! E sorrido mentre lo scrivo perché sono una fervente sostenitrice di tutto quello che è opposto all’armocromia, ovvero lo studio di un make up che ponga l’accento sui contrasti, che sfrutti la teoria dei colori complementari. Preferisco la forza dei contrasti alla “noiosa armonia cromatica”.
Il lavoro della make up artist non si limita solo a truccare, ma talvolta trasforma letteralmente i personaggi. Creando vere e proprie figure o invecchiandoli. Ti è mai capitato di fare un trucco di questo tipo?
Si, sia da insegnante di make up, ruolo che rivesto da 7 anni, che da truccatrice teatrale (al momento sono parte dello staff del Teatro Massimo di Palermo). Insieme al make up cinematografico, il make up teatrale è la declinazione del trucco che amo di più. È arte pura! Credo sia, in senso assoluto, l’ambito, in questo settore, maggiormente legato alla storia e a quella drammaturgia che amo così tanto. Il trucco, nei teatri, ha sostituito le maschere indossate dagli attori nella grecia antica; un mondo dal quale le donne erano bandite; motivo per cui anche i ruoli femminili erano interpretati da uomini mascherati. Oggi lino, sughero, creta e pochi altri materiali, hanno lasciato il posto a ceroni, mastice e polveri.
Attualmente ti occupi principalmente di due settori, quello dei matrimoni e quello cinematografico. Quali aspetti ti piacciono dell’uno e dell’altro?
Il settore “bridal” è un settore estremamente complesso perché della sposa è, principalmente, l’aspetto psicologico da non sottovalutare. Mi auguro di non essere fraintesa e cerco di spiegarmi meglio: la scelta del make up è intima, personale, alla stregua di un abito. Deve “calzare” perfettamente. Nulla a che vedere con la maschera teatrale, sia tecnicamente sia concettualmente, anzi… La sposa deve indossare se stessa, deve riconoscersi, non deve essere snaturata e penso di avere un’indole e una formazione che mi facciano vivere tutto questo come una bella sfida. Il mondo del cinema, invece, è adrenalina pura. È velocità, è concentrazione massima, è verità! Una giornata sul set ti esalta e ti sfianca. Alla fine della giornata fai fatica a stare in piedi ma lo fai con una carica incredibile.
Lavorare al cinema è molto stimolante, tu hai già avuto modo di lavorare in set importanti, con registi e produzioni di fama internazionale, da Gabriele Muccino a Giuseppe Tornatore. Come sono state queste esperienza?
È un’impresa ardua definire cosa sia stato per me trovarmi a pochi passi da registi del calibro di Giuseppe Tornatore o di Gabriele Muccino, tra gli altri. Quando si ha la fortuna di lavorare con grandi maestri del cinema nazionale ed internazionale, si ha l’opportunità di respirare la storia del cinema; sicuramente quella moderna e contemporanea. Ci si rende conto di quanti dettagli vadano curati e come si muovano questi colossi per portare sugli schermi 2 ore di emozioni incredibili. È pathos puro, indipendentemente dalla stanchezza e dalla ovvia tensione che possa esserci in set del genere.
Un altro settore in cui hai lavorato è quello delle produzioni italo/turco/inglesi e serie tv a breve in onda su Netflix. Come è stato collaborare con una produzione Netflix?
Una produzione Netflix la riconosci dalla cura dei dettagli. Non che altre produzioni non curino ogni minimo aspetto ma, in questo caso, ho avuto la percezione di quanto queste produzioni siano delle enormi macchine che investono e producono denaro. Io ho lavorato sul set della serie “The Leopard” in uscita su Netflix a gennaio 2025. Quando eravamo sul set, avevamo a che fare con centinaia di figurazioni, tutte curate nel dettaglio, dal trucco ai capelli, ai costumi. La serie è stata girata a Palermo che, in quei due mesi di riprese, ha visto le strade del proprio centro storico tornare indietro di un paio di secoli con una cura delle scenografia difficilmente descrivibile. È questo che intendo quando parlo di macchina che si muove e in cui ogni singola parte gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento di un obiettivo comune.
C’è una tipologia di trucco in particolare che ti piacerebbe realizzare e che preferisci?
Malgrado le mie preferenze artistiche, mi portino sui set cinematografici, è il make up teatrale il mio amore più grande, in senso assoluto. Prima parlavo di settore del make up più vicino alla drammaturgia. Il make up teatrale, senza uso di protesi (che sono tipiche degli effetti speciali per il cinema) ti permette di cambiare letteralmente i connotati di un volto solo mediante luci ed ombre, creme e polveri. Ho avuto modo, qualche anno fa, di vedere all’opera, durante una masterclass, una grandissima trasformista, oggi docente di trucco di caratterizzazione pittorica presso la Romeur Academy di Roma: Lucia Pittalis. Ecco, lei è la massima espressione di ciò cui parlavo prima.
Ci sono altre passioni che coltivi nel tuo tempo libero?
Si, sono tante! Ma sicuramente una delle mie principali passioni è la fotografia. Sovente mi definisco FOTOAMATRICE ma perché non riuscirei a definirmi fotografa, già solo perché so quanta formazione richieda diventare fotografi professionisti. E anche lì, nel fare una foto, soprattutto con elemento umano al suo interno, non posso non fare leva su quel Pathos che ho conosciuto tra i libri di scuola e che è diventato elemento imprescindibile della mia esistenza.
Grazie mille a voi per aver dato voce a me, in primis, e al mio lavoro. Grazie!
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