Germano Di Renzo: tra cinema, teatro e produzioni internazionali, un attore poliedrico in continua evoluzione

Germano Di Renzo, attore romano dalla carriera eclettica, ha esplorato molteplici sfaccettature del mondo dello spettacolo, passando con successo dal teatro al cinema e alla televisione. Con ruoli che spaziano dai classici di Pirandello e Cechov fino a serie TV di successo come Suburra e Distretto di Polizia, Germano ha collaborato con nomi celebri come Mel Gibson e Renny Harlin. La sua versatilità non si limita alla recitazione: è anche un ispettore di produzione e un appassionato di poesia e letteratura. In questa intervista, ci racconta il suo percorso, le sfide affrontate e i progetti futuri, rivelando la sua dedizione alla continua crescita artistica.


Germano, hai iniziato la tua carriera con il teatro, interpretando opere classiche come Plauto, Cechov e Pirandello. Cosa ti ha attratto del teatro e come queste esperienze ti hanno formato come attore?
Sono sempre stato attratto dal teatro e continuo ad esserlo. È un modo per imparare a conoscere sé stessi e a conoscere il mondo con un’intensità e una verità differenti. Permette di fare i conti con le pulsioni che caratterizzano l’essere umano, con i suoi vizi e le sue debolezze. È un atto liberatorio che aiuta la persona a dare forma ai sentimenti, a quel magma di energia che abbiamo dentro.

Personalmente le mie esperienze teatrali, dal teatro classico al moderno, mi hanno dato il mezzo migliore per entrare in contatto profondo con le emozioni e liberarle. Ogni esperienza ha richiesto un lavoro profondo su me stesso, facendomi entrare in contatto appunto con le mie emozioni e con il mio corpo. Il teatro è uno stile di vita, è inganno ma anche realtà, un luogo magico dove tutto è possibile e lecito. Non importa se dai vita ad un personaggio tratto dai grandi classici o se è un personaggio della tragedia o della commedia o del teatro moderno. La cosa fondamentale è rappresentare la realtà che stai vivendo in quel momento su quel palco, suscitando emozione con la massima semplicità. A mio parere, la recitazione è la forma d’arte più bella che esista!

Hai lavorato sia in cinema che in televisione, partecipando a serie di successo come Distretto di Polizia e Suburra 2. Come cambia il tuo approccio alla recitazione tra i due media e quale senti più vicino alla tua sensibilità artistica?
Il mio approccio alla recitazione cinematografica e a quella televisiva è pressappoco lo stesso. Non cambia molto, se non fosse per lo studio e la preparazione di un personaggio di una serie che è ben più articolato e con diverse sfaccettature rispetto ad un personaggio di un film per il cinema. Direi che invece si diversifica molto dall’approccio alla recitazione teatrale. Indiscutibilmente in ogni interpretazione si richiede di emozionare lo spettatore, ma anche se l’obiettivo è comune, si utilizzano diverse tecniche.

Se sono su un palcoscenico devo necessariamente farmi sentire da tutti i presenti in sala, e quindi il mio approccio sarà utilizzare tecniche diaframmatiche ed impostare la voce con toni alti, ma senza sforzare mai troppo le corde vocali. Recito con le parole e con tutto il corpo non esagerando, ma avvicinandomi alla verosimiglianza. La messa in scena è la vera e propria prova del fuoco in cui mi sento metaforicamente nudo e dove sono pronto a tutto. Non posso sbagliare, e se dovesse succedere vado avanti lo stesso improvvisando, ma senza far capire allo spettatore che c’è stato un problema. Invece sia l’interpretazione cinematografica che quella televisiva sono mediate e filtrate dalle macchine da presa.

Mi concentro di più sulle micro-espressività e sulle sfumature vocali, elementi che si perdono a teatro. Posso sbagliare una battuta e rigirare una scena, ma devo comunque mantenere alta la concentrazione, ed il livello di acting richiesto dal regista non deve mai salire o scendere di tono per tutto il tempo necessario per ripetere le scene, anche quando devo rigirare la stessa con diverse inquadrature.

Ogni volta che sono su un palcoscenico o su un set televisivo e cinematografico entrano in gioco i fattori emotivi da gestire e la naturalezza nel recitare, la gestualità e l’espressività, le capacità mnemoniche e l’intensità, lo studio e l’approfondimento. Per approcciare a tutto questo servono anni e anni di esperienza e di lavoro, e nessuna delle cose sopracitate è meno complessa dell’altra…ma l’approccio alla recitazione cinematografica è senza dubbio quello che si avvicina maggiormente alla mia sensibilità artistica e alla mia formazione attoriale. Inoltre, il set è uno dei pochi posti dove riesco a sentirmi davvero vivo.

Hai avuto l’opportunità di lavorare con registi e attori di fama internazionale come Mel Gibson e Renny Harlin. Cosa hai imparato da queste collaborazioni e come hanno arricchito il tuo percorso artistico?
Lavorare in progetti internazionali accanto a pilastri della cinematografia mondiale, sicuramente ha arricchito il mio bagaglio di esperienza e di conoscenza. Queste situazioni ti permettono di confrontarti con altri attori internazionali, capire il loro modo di lavorare e relazionarsi in un interscambio culturale.

Ritengo sia fondamentale per un attore avere la possibilità di cimentarsi anche in progetti internazionali e di aprirsi così altre strade, uscire fuori dai confini nazionali e crearsi maggiori possibilità di lavoro.

Personalmente ho raggiunto una piena consapevolezza dei miei mezzi, ho avuto la possibilità di recitare in un’altra lingua e di lavorare in produzioni ricchissime neanche lontanamente paragonabili a quelle italiane.

Hai interpretato ruoli molto diversi, da personaggi drammatici a quelli più brillanti e leggeri. Come ti prepari per passare da un registro all’altro e quale tipo di ruolo ti stimola di più?
Quando mi accingo ad interpretare un personaggio, è cruciale andare oltre la superficie e comprendere le sotto-personalità che lo compongono. Non importa se sia un personaggio brillante o drammatico, il lavoro da compiere è lo stesso. Il mio percorso per passare efficacemente da un registro interpretativo all’altro avviene in maniera del tutto naturale, ma sono serviti anni di studio e di osservazione della realtà. Ogni personaggio è complesso e multiforme, e l’analisi delle sue diverse sfaccettature mi permette di creare una rappresentazione più ricca ed autentica.

Esaminare il comportamento del personaggio in diverse situazioni, così come i suoi desideri e le sue motivazioni, mi aiuta a comprendere le vicinanze e le distanze tra la persona/attore e il personaggio stesso. Questo processo mi consente di immergermi completamente nel ruolo e di interpretarlo in modo credibile e coinvolgente.

La costruzione del personaggio inizia con la ricerca approfondita delle sue caratteristiche e dei suoi tratti distintivi. Attraverso l’analisi dettagliata del testo e l’esplorazione delle esperienze di vita del personaggio, si possono identificare le sue motivazioni più profonde e creare una base solida per una valida interpretazione.

Una volta comprese le sotto-personalità del personaggio, è essenziale esplorare i pretesti che aiutino a dare vita a una rappresentazione organica. Questi pretesti includono elementi come la postura, il tono della voce, i gesti e le espressioni facciali, che contribuiscono a creare un personaggio tridimensionale e convincente sullo schermo o sul palcoscenico, che sia per un ruolo drammatico o per uno più leggero.

Personalmente mi stimolano maggiormente quei ruoli drammatici dove c’è un’analisi più approfondita del carattere del personaggio e una ricerca emotiva più complessa. Mi piace mettermi alla prova superando me stesso e i miei limiti. In fondo ho lavorato molto per questo e continuo a lavorarci.

Oltre alla recitazione, sei anche un ispettore di produzione. Come riesci a conciliare questi due ruoli e in che modo il tuo lavoro dietro le quinte ha influenzato la tua visione del cinema?
Ho la passione del cinema da quando ero bambino. Una passione ereditata da mio padre che fagocitava ogni genere di film. Lui non era assolutamente un “addetto ai lavori”, ma adorava il cinema in tutte le sue forme. Così mi sono appassionato anch’io alle grandi storie e agli attori che le interpretavano…ma non solo. Cercavo di capire cosa ci fosse dietro le quinte, quante persone lavorassero per realizzare tutto quello che vedevo, gli aspetti organizzativi e tecnici, gli allestimenti scenografici e del set.

Col passare del tempo questa mia passione è diventata la mia professione. Dopo anni di studio, di gavetta e di tanti sacrifici, adesso mi muovo a 360° e ho fatto della recitazione e della produzione il mio lavoro. Difficilmente riesco a conciliare le due cose in contemporanea, a meno che non riesca a lavorare nello stesso progetto sia come attore che come ispettore di produzione…ma sono casi più unici che rari. Di solito se sono impegnato su un set per interpretare un ruolo, mi concentro unicamente su quello. Non ci sarebbe tempo né modo per occuparmi anche della produzione di un altro film o di un format televisivo. Viceversa, se sto collaborando alla realizzazione di un progetto come ispettore, mi è quasi impossibile conciliare il lavoro di attore nello stesso momento in un altro progetto. Fare produzione è un lavoro bellissimo, ma allo stesso tempo molto complicato, fatto di grandi responsabilità, hai in mano l’organizzazione e la gestione di tutto, sei tu insieme al tuo team la chiave che accende la macchina che deve sapersi muovere e correre insieme a tutti gli altri reparti, dalla regia alla fotografia per passare dal reparto scenografico ai costumi e al trucco e parrucco. Gli uffici di produzione e il set diventano la tua casa per diverse settimane, gli orari a volte sono massacranti, lo stress è tanto e se non riesci a gestirlo e se non hai capacità e conoscenze organizzative e di problem solving, non è un lavoro adatto a te. Tutto questo non altera o cambia la mia visione del cinema che resta comunque la stessa, ma con la maggiore consapevolezza degli sforzi, della cura maniacale e delle innumerevoli difficoltà necessarie per la riuscita di un ottimo prodotto. Più che altro lavorare anche come ispettore mi aiuta ad avere una visione nuova del set durante la mia attività di attore, a guardare con altri occhi come funzionano certi aspetti e certe dinamiche, a sapermi comportare sempre con educazione e gentilezza con tutti quanti perché sono sul set a lavorare già da diverse ore prima di me affinché sia tutto allestito e pronto per la scena che dovrò girare, a non essere troppo invadente, a sapermi muovere senza essere d’intralcio quando tutti corrono, ma soprattutto mi ha insegnato la comprensione ed il rispetto verso le persone che lavorano lì in quel momento perché conosco gli sforzi, i nervosismi e la stanchezza fisica e mentale di chi fatica su un set televisivo o cinematografico. Conosco quella realtà, ma osservarla e viverla da attore è un’altra cosa. La mia visione d’insieme diventa più sensibile, c’è forte partecipazione e condivisione emotiva, un grande senso di gratitudine, di stima e di consapevolezza dei meriti di tutte quelle figure professionali che, tutto sommato, stanno anche lavorando per me perché la mia resa interpretativa sia eccellente.

Hai avuto esperienze come speaker radiofonico e doppiatore. Quanto è importante per te la voce nella recitazione e come utilizzi le tue competenze vocali per dare vita ai personaggi che interpreti?
Una buona recitazione richiede una perfetta padronanza della lingua, la consapevolezza delle potenzialità della propria voce, una pronuncia chiara e una dizione accurata dove richiesta. La voce, accompagnata da una respirazione adeguata insieme a significative capacità interpretative, per un attore è molto più di un semplice mezzo di comunicazione.

È uno strumento raffinato, un’estensione dell’anima, un veicolo attraverso il quale si esprimono emozioni, si raccontano storie e si creano mondi immaginari. È un potente strumento interpretativo che mentre recito cerco di sfruttare al meglio, avvalendomi anche delle mie conoscenze tecniche, per dare vita a personaggi diversi e trasmettere sfumature emotive complesse. Ogni personaggio a cui lavoro richiede una voce specifica, che ne rifletta l’età, l’origine sociale, lo stato d’animo e la personalità. Quando lo interpreto devo saper modulare il tono, il volume e il timbro per creare un’identità sonora distintiva…e non solo. Attraverso la voce devo essere in grado di trasmettere una vasta gamma di emozioni, dalla gioia più intensa alla tristezza più profonda. In sostanza, utilizzando e cercando di far emergere al meglio le mie competenze vocali, devo riuscire a dar vita al testo scritto e al personaggio da rappresentare.

Hai una formazione ricca e diversificata, dal metodo Costa con Mirella Bordoni allo studio con Maurizio Ponzi e Pino Pellegrino. Come questi metodi e insegnamenti hanno influenzato il tuo modo di interpretare e vivere i personaggi?
Quando ho iniziato a studiare cinema e teatro, sapevo che non esistesse un solo metodo di recitazione. Il mestiere dell’attore è complesso, ma soprattutto ha a che fare con le emozioni, che sono personali e non misurabili, quindi non c’è una scienza che indichi l’unico modo possibile per recitare. Non ne esiste uno solo, anzi, ed io cercando di attingere da chi nel tempo ha ideato metodi di recitazione innovativi, attraverso lo studio e l’applicazione, ho migliorato le mie tecniche, adattandole a me stesso e sviluppando sfumature diverse da quelle usate da altri.

Attraverso lo studio applicato dei metodi di alcuni grandi maestri, tra cui appunto Orazio Costa, mi sono focalizzato sul principio che l’uomo posto di fronte alla realtà se ne debba impadronire realizzandola corporalmente, ma solo in seguito, con l’analizzare e l’indagare me stesso, ho capito quanto sia importante per recitare allontanarsi dai clichés e dai vuoti tentativi di imitare la vita reale. L’attore deve infatti rivivere sulla scena quello che prova il suo personaggio. E per farlo e per risultare credibile, quando lavoro su un carattere, non vado ad imitare le emozioni e le sensazioni del personaggio, ma cerco di riviverle attingendo dalla mia memoria recuperando quello che hanno provato i miei cinque sensi in una situazione passata e rivivendo dei ricordi che mi hanno suscitato emozioni ben precise.

Di recente, hai preso parte a una serie noir/fantasy in fase di post-produzione. Cosa puoi raccontarci di questa esperienza e come hai affrontato il ruolo da coprotagonista in un genere così particolare?
Da non molto ho terminato le riprese di una miniserie che verrà trasmessa sulle piattaforme streaming, ma di cui non posso svelare granché…neanche il titolo. È in fase di post-produzione e posso dire che, visto il genere trattato, si tratta di una storia che difficilmente in Italia si ha il coraggio di produrre. È una serie “indipendente” densa di mistero, che varia appunto tra il noir e il fantasy, ambientata all’epoca dei Templari per poi catapultarsi ai giorni nostri. È stata girata interamente tra Abruzzo, Marche e Lazio. Ci sono diversi personaggi, tutti molto accattivanti e ben strutturati, tra cui il mio……un poliziotto che si trova ad indagare su un fatto avvenuto nel passato, ma che è strettamente congiunto ad alcuni eventi dei giorni nostri.

La preparazione è stata lunga e laboriosa, c’è stato un grande lavoro collettivo di ricerca e di studio, ma con grande impegno e sacrifici da parte di tutti, dal cast tecnico a quello artistico, credo sia stato realizzato un ottimo prodotto. Il mio approccio al personaggio è avvenuto con molto riguardo e rispetto per coglierne prima tutte le sfumature caratteriali dal lato umano e solo in un secondo momento con più decisione e risolutezza per immergermi nella parte del poliziotto, prendendo spunto nelle movenze e nelle azioni anche da alcune figure di rilievo delle serie crime internazionali. Sono state settimane di lavoro intenso e di concentrazione totale per cercare di rendere il mio personaggio credibile in tutte le circostanze che lo vedevano coinvolto, sia nei momenti di vita privata che in quelli più d’azione come un inseguimento o un conflitto a fuoco. Purtroppo, al momento non posso aggiungere altro…è ancora tutto top secret, ma presto ne sentirete parlare.

Oltre al cinema e alla televisione, sei un grande cultore di poesia e saggistica. Quanto la letteratura e la scrittura influenzano la tua interpretazione dei personaggi e il tuo lavoro di attore?
Un libro per un attore è una ricchezza infinita di spunti e di suggestioni per indagare una realtà non inserita all’interno di una sceneggiatura. Quindi entrare in un libro è sempre un’occasione. Inoltre, non tutte le produzioni avranno un drammaturgo che può fornirti informazioni storiche o altri fattori da considerare quando crei la tua performance. Mi è capitato che dei registi mi dicessero: “Voglio che tu evochi x”. Ho dovuto poi ricercare cosa intendessero. Questo richiede la lettura.

Leggere è un compito importante ed un fattore determinante, non solo perché permette di allargare la mente, soprattutto in questo periodo storico dove rischia di essere livellata al tipo di comunicazione televisiva o dei social, ma anche per il fatto che mi aiuta a ricordare che pensare e vivere sono cose che si possono ampliare.

Per me che sono un attore poi, la lettura e la scrittura aiutano tantissimo a stimolare e a rafforzare l’immaginazione e la fantasia per la ricerca di elementi che potrebbero essermi d’aiuto nella preparazione di un personaggio o per cogliere sfumature diverse da riproporre nello studio di un carattere. È come se mi accompagnassero durante il mio percorso di crescita, sempre in continua evoluzione, come una sorta di guide invisibili.

Più in generale, la lettura e la scrittura necessariamente devono influire sul cammino   artistico di un attore e sull’interpretazione di un ruolo. Leggere e recitare, secondo me, sono attività strettamente correlate, imprescindibili l’una dall’altra.

La recitazione senza lettura è come una carbonara senza guanciale. Impossibile.

Quali sono i tuoi obiettivi professionali per il futuro? C’è un ruolo o un progetto che sogni di interpretare o realizzare nei prossimi anni?
I ruoli che preferisco interpretare sono quelli dell’antagonista o del cattivo di turno. Sono personaggi più complessi dal punto di vista caratteriale e psicologico, e cimentarsi in parti del genere è estremamente affascinante…ma allo stesso tempo anche pericoloso, perché si può incorrere nel grottesco e nel ridicolo che renderebbero tutto poco credibile. Sono ruoli particolari che vanno preparati con molta attenzione e studiati nei minimi particolari. Gli antagonisti più sono folli e malvagi, più esaltano la mia performance proprio perché molto lontani dal mio modo di essere. Al contrario il ruolo di buono tende ad annoiarmi un pochino, anche se ovviamente c’è bisogno anche lì di grande preparazione, studio e concentrazione.

Alla luce di questo, in un futuro prossimo, mi piacerebbe lavorare in progetti in cui poter interpretare personaggi negativi oppure personificare figure di disadattati, deboli o sfruttati che poi però possano riscattarsi in società.

Mi piacerebbe anche cimentarmi nella scrittura e nella regia di un progetto tutto mio in cui raccontare temi sociali come la violenza domestica o storie di criminalità.

Il dramma e il noir sono i miei generi preferiti, ma adoro allo stesso modo anche i generi più brillanti e le commedie, più leggere ma non per questo necessariamente superficiali e banali.

Grazie Germano, speriamo di risentirci preso con grosse novità!
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