Giada Primiano: un viaggio nella danza tra passione, tradizione ed innovazione

Nata a Campobasso nel 1994, Giada Primiano ha dedicato la sua vita all’arte della danza, percorrendo un cammino che la porta dall’Accademia Nazionale di Danza fino a palcoscenici internazionali. Danzatrice, coreografa e docente, Giada ha collaborato con prestigiosi artisti e ha creato opere che fondono movimento e creatività. Con una solida formazione e un’incredibile esperienza nel campo della danza contemporanea e classica, Giada continua a lasciare il segno nel panorama artistico italiano. In questa intervista, esploreremo il suo percorso, le sue esperienze e le sue ambizioni future.

a cura di Antonio Capua


Benvenuta, Giada! È un piacere averti qui. Partiamo dall’ultimo riconoscimento ricevuto nel 2024, sei vincitrice del premio giuria e premio pubblico come coreografa emergente della rassegna “Respiri Festival” del Molinari Art Center di Roma con la creazione “Relation Shape”. Che emozioni hai provato in quel momento?
Bentrovati e vi ringrazio per l’invito. È un piacere per me condividere con voi questo momento. “Relation Shape” è un gioco di parole dall’inglese – capita molto spesso che i titoli delle mie creazioni richiamino già al concept della coreografia – e letteralmente significa “la forma delle relazioni umane”. Per me le relazioni amorose sono molto complesse, anelli di casualità, racconti passati, aspettative future e sentimenti personali che si intrecciano in infinite varianti. Per metterlo in scena i danzatori creano situazioni come in una scacchiera. L’azione, nel momento in cui tocca la temperatura più alta, viene stoppata e rimessa indietro con un espediente tecnico di rewind per ricominciare tutta la coreografia da capo e rimescolare le pedine. Non ho taciuto sulle tematiche come il tradimento, la violenza, l’amore omosessuale. È una tavolozza variegata, colorata, sempre diversa, come la vita. Ecco, l’emozione è stata tanta, un doppio riconoscimento – giuria e pubblico – per una visione personale, intima e, se vogliamo, anche delicata e coraggiosa. Quando vengono     accolte dal pubblico e da un comitato di esperti è una gioia intensa e mi ripagano della scomodità e dell’impegno creativo attuato.

Torniamo indietro nel tempo. Hai iniziato a studiare danza all’età di 5 anni. Qual è stata la tua prima esperienza sul palcoscenico e come ha influenzato la tua passione per questa disciplina?
Studiavo in una piccola scuola privata, in una piccola città, Campobasso, di una piccola regione, il Molise. Ovviamente per una piccolissima me di 5 anni quella realtà era enorme così come il primo palco. Ricordo un pavimento immenso, un buio intenso e il freddo. Ricordo la sensazione di non vedere nulla ma percepire che tutti stessero guardando me. È incredibile che quella percezione in tutti questi anni non è mai cambiata e ho sempre pensato che il teatro fosse il mio posto nel mondo, un posto in cui valesse la pena essere. È iniziato tutto per gioco, crescendo, mi sono resa conto che avrei dato il necessario per stare il più tempo possibile in quel luogo buio e magico dove tutto può succedere.

La tua formazione include studi in danza classica e contemporanea. Come riesci a mantenere un equilibrio tra queste due tecniche e quali elementi di ciascuna influenzano il tuo stile personale?
È la prima volta che mi si pone questa domanda e la trovo assolutamente interessante. In molti mi hanno vista come “danzatrice contemporanea con formazione classica” altri come “danzatrice classica con formazione contemporanea”; le etichette mi hanno alcune volte penalizzato come se essendo quel tipo di danzatrice, avesse escluso l’altra. Accettando e accogliendo io per prima la mia versatilità, in molti hanno apprezzato la mia doppia preparazione tecnica e metodologica e ad oggi per me è un motivo di orgoglio e arricchimento. Innegabilmente mi danno strumenti per creare il mio stile personale, attingo da entrambe le tecniche che, in realtà, essendo figlie della stessa arte, dialogano in una coerenza continua, danzano, appunto, tra loro.  

Hai avuto l’opportunità di lavorare con coreografi di fama come Mauro Bigonzetti e Paolo Arcangeli. Cosa hai imparato da queste collaborazioni e come hanno arricchito la tua visione artistica?
Mauro Bigonzetti lo incontrai in Accademia Nazionale di Danza, in quell’anno lui era coreografo per il saggio del biennio magistrale – che non era il mio corso di studi! Mi imbucai all’audizione, fui presa e danzai la sua coreografia anche per un evento al Teatro Nazionale di Roma. Ricordo la fatica, il sudore e la grande professionalità. Non a caso, è uno dei coreografi più importanti a livello mondiale. Ringrazio la mia piccola trasgressione adolescenziale per andarmi a prendere questa preziosa opportunità. Paolo Arcangeli è una delle figure a cui sono più grata sia a livello professionale che umano; non è stato semplice il nostro rapporto – è un coreografo molto esigente e incredibilmente instancabile – ma è stato fondamentale nel mio passaggio – spesso sottovalutato – da “allieva” a “professionista”. Gli devo tanto, percepisco che nel mio lavoro in sala c’è inconsapevolmente il suo professionale approccio. È un coreografo per me geniale, per niente scontato e originale.

Sei anche un’insegnante e hai lavorato presso il Liceo Coreutico “Tito Livio” di Milano. Quali sono le sfide che affronti nel trasmettere la tua passione per la danza ai tuoi studenti?
Ha ragione, è stata una vera sfida. Erano i tempi duri del Covid, mascherine, didattica a distanza ed energie basse da parte di adolescenti sofferenti e distanziati. Sono stati anni intensi di    grande lavoro e ho posto io molte sfide ai ragazzi. Abbiamo iniziato a eliminare dal nostro vocabolario le frasi come “non riesco” trasformandole in “ci provo”. Ho visto fiorire un giardino meraviglioso e loro non sanno che, con la loro resilienza, mi hanno insegnato molto. La curiosità, la passione e il piacere della condivisione, sono la chiave di dialogo con i miei alunni passati, presenti e futuri. Lo scoglio più grande da superare da parte di un allievo è disciplinare il corpo, la regola, lo studio quotidiano insomma, la fatica. Cerco di non fargliela temere perchè, una volta che diventa loro alleata, li apre all’evoluzione.

La tua coreografia per la UEFA Champions League ha attirato l’attenzione internazionale. Come ti sei preparata per un progetto di tale portata e quali emozioni hai provato durante l’esibizione?
C’è stato un confronto intenso con il regista che aveva idee molto chiare. Ho trovato affascinante e trasversale il visionare dei trick di calciatori famosissimi e tradurli nel corrispondente movimento della danza classica. Faticose le tante ore sulle punte per la registrazione ma, concluso il montaggio e vedendo l’anteprima, il lavoro che era solo nelle nostre menti ha superato le aspettative. L’emozione più grande è arrivata vedendoci nello schermo, io e la danzatrice Federica Bisceglia aprivamo una delle partite più attese della stagione calcistica.

Hai vinto il primo premio al Barcelona Dance Award per la migliore coreografia. Quale significato ha per te questo traguardo?
Questo premio è stato del tutto inaspettato. È stata la mia prima coreografia creata sotto consiglio di Diana Ferrara, direttrice della compagnia Astra Roma Ballet per la quale in quel momento danzavo. Ho avuto esperienze da allieva nella materia di “composizione coreografica” non appaganti e ho sempre pensato non fossi così talentuosa. La signora ha creduto nel mio potenziale, io ho accettato la sfida e ho creato “Mah, che? Bah…” per alcune sue allieve in concorso a Barcelona. Quando è arrivata la coppa in Italia non ha significato per me un traguardo ma un inizio di un grande amore: la coreografia.

Attualmente collabori artisticamente con l’ufficio del Vicariato del Vaticano. Qual è il valore di queste esperienze per te e come influenzano il tuo approccio alla danza e alla coreografia?
È un approccio denso di cultura, suggestioni, immagini. Con il direttore artistico D’Alfonso, studiamo insieme il concept della performance partendo da letture, iconografie e aneddoti. Ci confrontiamo sulla poetica da mettere in scena ed è tutto organizzato minuziosamente con eleganza e attenzione ai dettagli. È una fortuna collaborare con chi ha una visione artistica affine alla propria. Inoltre, andare in scena in luoghi che sono patrimoni artistici universali, è un balsamo per l’anima e un arricchimento per gli occhi e la propria arte.

Quali progetti o collaborazioni ti entusiasmano di più e cosa speri di realizzare nei prossimi anni nel mondo della danza?
Uno dei miei sogni è di avere la direzione di una compagnia di danza. Sento che ho molto ancora da dare, da dire e da condividere e questo è uno dei linguaggi che preferisco. A piccoli passi sto procedendo per questo progetto futuro anche se sono innegabili le difficoltà che si incontrano in Italia per questi tipi di investimenti. Per il resto, sono un insaziabile curiosa aperta al fluire della vita. Quello che mi appassionerà – tra il tanto che già mi entusiasma – prenderà la mia attenzione.

Infine, qual è il messaggio che desideri trasmettere attraverso la tua arte e quale eredità speri di lasciare alle future generazioni di danzatori?
Vorrei infondere coraggio, intraprendere questo percorso significa immergersi completamente con l’anima e con il cuore nello studio giornaliero, nella disciplina ferrea. È indubbiamente difficile ma lo è ancora di più abbandonare un sogno e non essere fedeli a sé stessi. “La bellezza, l’arte, salveranno il mondo” e non c’è niente di più vero. Si può arrivare al cuore di tutti con la danza, è un codice che unisce e non divide. Anche se la strada da percorrere è in salita, vorrei lasciarvi con il motto che adotto da molti anni “Nihil difficile volenti” “niente è difficile per colui che lo vuole”. 
Grazie per questa intervista, è stato bello, prezioso, intenso. Giada.

Grazie Giada per la tua intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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