Giovanni Lanzini: Il clarinetto tra tradizione e innovazione, un viaggio musicale che non conosce confini

Giovanni Lanzini è una figura di spicco nel panorama musicale internazionale, con una carriera che abbraccia decenni di successi come clarinettista, insegnante e innovatore. Diplomato giovanissimo al Conservatorio di Firenze, Lanzini ha perfezionato il suo talento sotto la guida di maestri di fama mondiale e ha portato la sua musica in tutto il mondo. Dalla musica classica ai progetti sperimentali come Clarinettissimo, Lanzini esplora ogni sfumatura del clarinetto, incluso l’uso di strumenti antichi come il corno di bassetto e lo chalumeau. In questa intervista, scopriamo i momenti salienti della sua carriera, le sue passioni e le sfide che ha affrontato lungo il suo cammino artistico.


Giovanni, benvenuto! Hai iniziato la tua carriera nella banda del tuo paese, e poi sei arrivato a esibirti su palchi internazionali. Com’è iniziata questa passione per il clarinetto e quali sono stati i momenti chiave che ti hanno fatto capire che la musica sarebbe stata la tua strada?
Buongiorno e grazie per partire proprio da questa domanda. Diciamo che la mia passione per la musica “viene da lontano” in quanto la mia è una famiglia di musicisti da diverse generazioni e tutti provenienti dalle bande come mio bisnonno del quale porto il nome, poi il nonno famoso trombettista, poi mio padre, i miei zii, i miei cugini… e adesso anche i miei figli, valenti professionisti che per fortuna hanno allargato gli orizzonti musicali familiari anche agli archi, suonando rispettivamente il violino mia figlia Elisa e il violoncello mio figlio Michele. Non c’è stato un momento preciso vero e proprio che mi ha fatto decidere che la musica sarebbe stata la mia strada. Diciamo che io e la mia famiglia siamo stati sempre immersi nella musica: semplicemente io sono stato il primo (seguito poi da mio fratello Augusto e successivamente dai miei figli) che ha intrapreso studi musicali classici.

Nel corso della tua carriera, hai studiato con grandi maestri come Karl Leister e Vincenzo Mariozzi. Quanto sono stati importanti questi incontri per la tua crescita musicale e quale insegnamento hai tratto da questi giganti del clarinetto?
Incontri importantissimi, direi decisivi. Avere l’opportunità di studiare con un grande maestro dapprima quasi ti deprime di fronte a tali giganti, poi ti rendi conto della grande fortuna che hai fra le mani: quella di imparare “il mestiere” direttamente da grandissimi professionisti. E allora ti butti a capofitto nello studio, macini chilometri su chilometri per raggiungere i maestri, fai enormi sacrifici consapevole che non puoi perdere quella magnifica opportunità. Soprattutto capisci che nella musica niente è scontato e semplice: devi tenere duro e, nello stesso momento, sognare. Perché la musica è un sapiente mix tra tecnica, tenacia e fantasia.

Oltre a essere un musicista eccezionale, sei anche un grande sperimentatore. Il progetto Clarinettissimo ne è un esempio. Cosa ti ha spinto a esplorare l’unione tra clarinetto e musica elettronica? Quali nuove forme espressive hai scoperto in questo processo?
Il progetto di “Clarinettissimo” è nato quasi per caso al tempo del lockdown per il Covid. Tutti rinchiusi in casa e, per non impazzire, noi musicisti ci divertivamo a suonare online di tanto in tanto. Dapprima (ricordate?) ci esibimmo in piccole disperate esibizioni dai terrazzi di casa. Poi, quando il contagio si inasprì, passammo ad esibirci di fronte al computer o al nostro telefonino. Tutti, compresi quelli poco tecnologici come il sottoscritto, improvvisamente imparammo come realizzare dirette streaming e registrazione di video più o meno artigianali. Ed è stato in questo contesto, precisamente nel salotto di casa mia, che ho iniziato a maturare l’idea che suonare semplicemente su una base pre-registrata non mi bastava più. Così, chiedendo aiuto a chi ne sapeva più di me e talvolta semplicemente osservando e ascoltando cosa già esisteva nel web a riguardo, ho iniziato a cercare anche nell’uso dell’elettronica nuove forme espressive: aggiunta di live electronics, uso di pedali, di loop, di processori, di effetti e di qualche altra diavoleria che pian piano mi sono divenuti sempre più familiari e con i quali ho iniziato a dialogare. Senza mai dimenticarsi però che alla base di tutto c’è innanzitutto la musica, il gusto musicale e, soprattutto, il mio clarinetto! Il progetto, che immerge la mia musica in svariati “scenari sonori” e con il quale ripercorro gioiosamente i miei oltre quarant’anni di carriera, spazia dalla musica klezmer a quella classica, dallo swing di Benny Goodman alla musica da film, dalla musica pop internazionale fino alla disco music e in ognuna delle mie esibizioni mi diverto come un matto. E il pubblico si diverte con me, addirittura talvolta ballando sulle note dei brani più scatenati e non lasciandomi mai uscire dal palcoscenico prima della mia concessione di svariati bis. In realtà, questo progetto proietta il clarinetto in una dimensione del tutto nuova, che lo affranca dai classici steccati stilistici nei quali siamo abituati ad ascoltarlo e lo lancia, anche grazie all’elettronica, in un “palcoscenico” di assoluta libertà.

La tua passione per gli strumenti antichi come il corno di bassetto e lo chalumeau ti ha portato a eseguire opere rare in tutto il mondo. Quali sono le sfide e le soddisfazioni nel suonare questi strumenti che oggi sono meno conosciuti?
Diciamo che la mia voglia di sperimentare e il mio incessante desiderio di “andare oltre” mi hanno sempre spinto a creare e a riscoprire. Lo conferma il fatto di avere fondato nel lontano 1985 un quartetto di clarinetti e di averlo portato ad esibirsi in ambito professionale ed internazionale in un momento in cui simili formazioni monostrumentali erano per lo più legati ad esercitazioni didattiche in Conservatorio o poco più. Non solo ci ho creduto ma ho convinto anche illustri compositori a scrivere opere per questa formazione e che abbiamo eseguito presso importantissimi festival internazionali di musica contemporanea. Ed è stato proprio grazie al mio Quartetto Italiano di Clarinetti che ho riscoperto il corno di bassetto, strumento meraviglioso molto amato da Mozart, che dapprima ho inserito nel gruppo e con il quale successivamente mi sono anche esibito come solista per importanti festival classici. Stessa motivazione la mia “scoperta” dello chalumeau, antico progenitore del clarinetto con il quale (non senza difficoltà iniziali ma con grande passione) ho iniziato a muovere i primi passi nella scoperta del repertorio barocco per questo strumento. Poi mi è capitato di essere casualmente chiamato ad esibirmi con il prestigioso ensemble “Musica Ricercata” di Firenze per alcuni concerti e da lì arrivare fino a Vienna, a Parigi e al prestigioso “Bachfest” a Lipsia è stata una volata, oltre che un sogno del quale ancora non riesco a capacitarmi.

Hai suonato in luoghi prestigiosi come il Bachfest di Lipsia e la Salle Gaveau di Parigi. Qual è stata l’esperienza più significativa che hai vissuto su questi palchi e cosa provi quando esegui concerti in contesti così storici?
Quando ti trovi in un palcoscenico così importante la paura e l’ansia sono tante, anche se oramai sei un professionista, è inutile nasconderlo. Poi, ovviamente, riesci a dominare tutto con il “mestiere” ma quelle sensazioni ti rimangono dentro per sempre. Come nel 1988 quando mi sono esibito con il mio quartetto di clarinetti in Sala Nervi in Vaticano alla presenza di Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e una sala piena all’inverosimile. Mi rimarrà sempre nelle orecchie l’applauso ricevuto da oltre 8000 persone e nel cuore la vigorosa stretta di mano da parte del Papa! Oppure, tanto per citarne un altro, quando mi sono esibito in Sala Mozart della prestigiosa Accademia Filarmonica di Bologna: la stessa sala, lo stesso palco, addirittura gli stessi leggii che avevano ospitato il giovanissimo genio salisburghese quel 9 ottobre 1770 quando Mozart, accompagnato dal padre, si recò per sostenere la temuta prova di padre Martini che lo avrebbe poi consacrato Accademico. Come una carrellata poi mi sovvengono altri luoghi incredibili, quali il concerto tenuto a Linares in Spagna sopra la tomba del grande Segovia, quello di Jacksonville in Florida accompagnato dal pianoforte sul quale si esibiva Rachmaninov, la tomba di Bach a Lipsia, la chiesa di Vivaldi a Venezia, la prestigiosa Salle Gaveau a Parigi con I Solisti Veneti e il compianto maestro Scimone, solo per citarne alcuni. Grandi emozioni che, ne sono certo, compendiano lo studio della pratica strumentale e la maturità musicale. Emozioni ricevute che poi, questo è il compito di ogni musicista, vengono restituite al pubblico ogni volta che saliamo su un palcoscenico.

Da musicista eclettico e curioso, come riesci a mantenere un equilibrio tra la tradizione classica e la continua innovazione nel tuo approccio musicale?
Questa è una domanda difficile. Potrei dare spiegazioni diverse ma non credo che sarebbero esaustive. Penso semplicemente che la curiosità sia la molla che spinge qualsiasi artista ad affrontare epoche e stili diversi. Quello che cambia è l’approccio e lo stile ma non la fantasia. Anzi, credo che praticare stili diversi sia una grande ricchezza per un musicista: innanzitutto ti apre la mente, ti libera da schemi e steccati stilistici, ti completa e ti rafforza e soprattutto ti fa riscoprire sotto nuovi occhi musicisti che hai sempre suonato senza, forse, comprenderli fino in fondo. Ne è un esempio Vivaldi che, oramai ne sono più che convinto, è stato non solo un compositore prolifico e geniale, ma anche un “rockettaro” ante litteram. E di questo ne ho avuta contezza nel momento in cui sono andato ad incidere, letto in una chiave più moderna (e “rock” appunto)  il “Presto” dal Concerto L’Estate dalle “Quattro Stagioni”.

Nel corso degli anni, hai fondato diverse formazioni da camera, tra cui il Quartetto Italiano di Clarinetti. Qual è il segreto per creare e mantenere un forte legame musicale tra i membri di un ensemble, e cosa rende speciale suonare in un quartetto?
Fondare un gruppo musicale è come decidere di mettere su famiglia: prima ci conosciamo, suoniamo qualcosa insieme, poi scocca la scintilla che ci fa decidere di intraprendere un percorso condiviso. Con le proprie gioie e i propri crucci, con i momenti belli che, condivisi, divengono ancora più esaltanti e quelli brutti nei quali si discute, ci si allontana magari per poi riprenderci e rinsaldare i propri legami artistici, ma soprattutto di amicizia, che tengono unito un gruppo. Sto pensando al mio Quartetto Italiano di Clarinetti, fondato da me e mio fratello nel lontano 1985. Cosa rende speciale suonare in un gruppo? Imparare a suonare ascoltando gli altri colleghi ed apprezzarne le proprie peculiarità, completarsi a vicenda. In questo mondo sempre più individualista la musica ancora ha tanto da insegnarci. Segreti? Credo non ce ne siano. Penso più che sia una fortuna poter condividere un percorso musicale insieme, donando e ricevendo.

Sei stato anche docente per molti anni, contribuendo alla formazione di nuove generazioni di clarinettisti. Come è cambiato il tuo approccio all’insegnamento nel corso del tempo, e quali consigli dai ai giovani musicisti che aspirano a una carriera come la tua?
Posso dire che, avendo iniziato ad insegnare giovanissimo (avevo da poco compiuti 18 anni) sono letteralmente cresciuto insieme ai miei allievi, che ho sempre considerato quasi miei figli. Avendo insegnato anche nella scuola pubblica, puoi immaginare quante migliaia di ragazzi e ragazze in oltre quarant’anni sono stati miei alunni. Sai qual è la mia più grande soddisfazione, oltre a quella ovviamente di sapere miei ex allievi oramai clarinettisti affermati inseriti in orchestre di prestigio? È quella di essere ricordato sempre non come il maestro tal dei tali, ma come il prof Lanzini. Ragazzi e ragazze oramai uomini e donne maturi che mi chiamano, che corrono a salutarmi quando li incontro anche per caso, che esordiscono con il classico “si ricorda di me?”. Penso che per un insegnante sia il regalo più bello e la ricompensa più grande per il proprio operato. Consigli da dare? Ne ho due: il primo è di non considerare l’alunno talentuoso un potenziale futuro “concorrente”, come purtroppo mi capita spesso di constatare, e quindi cercare di tarpargli le ali o, in via secondaria, di non impegnarsi troppo a farlo emergere. Credo che la gelosia verso un allievo sia per un insegnante uno degli atti più detestabili. Il secondo consiglio: lasciate che per i vostri allievi la musica sia soprattutto un divertimento. Non tutti gli allievi dovranno necessariamente diventare musicisti professionisti: quella sarà una loro scelta personale. L’importante è che la musica compia la propria magia: quella di arricchire e far crescere l’animo di chi la pratica e di chi la ascolta.

La tua curiosità ti ha portato a esplorare non solo la musica, ma anche la scrittura e l’organizzazione culturale. Come riesci a combinare tutte queste diverse attività e cosa ti spinge a continuare a esplorare nuovi campi artistici?
Sin da piccolo ho avuto l’inclinazione della scrittura. A 7 anni iniziai a scrivere, come molti bambini di quell’età, le mie prime piccole poesie. Crescendo poi l’amore per la letteratura non mi ha mai abbandonato; non è un caso che parallelamente agli studi in Conservatorio io abbia frequentato dapprima il vecchio glorioso Istituto Magistrale e successivamente a questo il corso di Laurea in Lettere al Magistero. Leggo molto, almeno quando posso, e mi piace scrivere. Questo, unito ad un amore viscerale verso le tradizioni del mio territorio dove sono nato e vivo (la Maremma grossetana) ha fatto sì che, quasi per scherzo, abbia iniziato anche la “carriera” di scrittore dando alle stampe sia alcuni saggi sulle tradizioni musicali popolari, sia la fortunata e ironica serie di “Nanni del bar e il professore” che sta avendo molto successo in libreria. Dal punto di vista dell’organizzazione culturale, altra mia “passione”, mi pregio di curare con la mia Associazione sia l’organizzazione di concerti, rassegne e concorsi sul territorio sia di essere stato, nel lontano 1994, uno dei fondatori dell’Orchestra Sinfonica Città di Grosseto, divenuta oramai una delle formazioni orchestrali più interessanti a livello nazionale. Cosa mi spinge ad esplorare sempre nuove forme artistiche ed espressive? Innanzitutto la curiosità e la voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo; ma anche la maledetta paura di annoiarmi. La noia uccide, prima l’anima e poi il corpo.

C’è un sogno che non hai ancora realizzato?
Alcuni anni fa, quando (come credo possa capitare a tutti) feci un primo bilancio della mia carriera, mi ritrovai due sogni nel cassetto da realizzare: il primo era di riuscire finalmente a suonare insieme ai miei due figli musicisti. Il secondo era quello di riuscire a condurre, prima o poi, un programma musicale in qualche televisione per portare la grande musica in casa al grande pubblico, in un periodo come il nostro nel quale purtroppo le sale da concerto iniziano ad essere frequentate sempre meno. Oggi posso affermare con orgoglio e soddisfazione di essere riuscito a realizzare il primo dei miei sogni: da qualche anno a questa parte infatti insieme ai miei figli Michele ed Elisa abbiamo fondato il “Trio Lanzini” con il quale ci esibiamo in Italia e all’estero e abbiamo recentemente realizzato il nostro primo Compact Disc. Il secondo dei sogni è ancora nel cassetto, ma a riguardo ho già alcune idee!

Grazie Giovanni per l’interessante intervista.
Continua a seguirci!

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