a cura di Francesca Ghezzani
Giovanni Margarone è nato nel 1965; d’origine ligure-siciliana, vive e lavora in Friuli.
Cultore di filosofia, musica e letteratura, nonché lettore assiduo. La scrittura e la musica, in particolare, sono state da sempre le sue vocazioni naturali.
I suoi romanzi rientrano maggiormente in quelli di formazione, per via dell’evoluzione che fanno compiere (innanzitutto interiore, e non solo) ai protagonisti (dall’infanzia all’età adulta, risalendo sovente alle origini, scavando nella storia del personaggio). Forte è la componente introspettiva e psicologica, nonché l’evocazione al neorealismo del ‘900 italiano, per cui il personaggio resta sempre e comunque l’elemento centrale delle narrazioni, che potrebbero essere quindi ambientate in qualunque luogo.
Giovanni, l’amore per le varie forme espressive e per la cultura in generale ti accompagna da sempre?
Sì, assolutamente. Mi ha sempre attirato l’arte nelle sue varie forme e in particolare la letteratura e la musica. Avevo 12 anni circa quando arrivò in casa il mio primo pianoforte, in quanto volevo imparare a suonarlo e ci riuscii. Il pianoforte mi ha accompagnato per tutta la vita e tuttora continuo a suonarlo.
In contemporanea, sempre a quel tempo, mi attraeva scrivere. Così scrissi il primo romanzo della mia vita, che conservo ancora. Non è mai stato pubblicato e per me è un caro cimelio. Chissà se un giorno lo riprenderò in mano e lo proporrò (con la dovuta revisione ovviamente)? È un progetto che ritengo interessante, la cui idea non ho mai escluso.
Credo che coltivare attività culturali sia oltremodo stimolante, oltre a essere utile per la vita. La cultura è importante, nutre e allarga gli orizzonti mentali, fa maturare. Ho sempre avuto questa consapevolezza e con il passare del tempo è diventata una convinzione. Spesso si è troppo attratti dal materiale, dall’effimero; contesti che lasciano il tempo che trovano, che improvvisamente scompaiono perché privi di sostanza. Invece la cultura è sostanza, sostanza ricca e imperitura che ci permea a tal punto da diventare parte di noi stessi. Per capire ciò, basta dare un’occhiata a cosa ci insegna la filosofia quando si parla del niente e dell’ente. La sostanza non svanisce, si preserva; ciò che invece è basato sul niente lascia nell’uomo il vuoto.
Come trovi il panorama culturale odierno in Italia?
L’Italia è stata culla della cultura occidentale, da sempre. Sul suo passato glorioso, si è fondata la nostra modernità. La domanda è cosa resta di questo passato glorioso e se è stato riattualizzato nella nostra epoca. Nella realtà odierna insistono criticità in tema di cultura, in Italia e non solo. In questa società di tecnologia barocca, che ha permeato tutti, anche chi non era all’altezza di gestirla, sono sorti nuovi problemi e un progressivo allontanamento dalla cultura in generale. Da un lato, c’è un’inesorabile e preoccupante avanzata dell’analfabetismo funzionale – tema da me trattato in passato in alcuni miei editoriali e interviste – che non fa altro che mandarci verso uno stato di recessione culturale. L’Italia, riguardo a questo problema, si pone tra i paesi peggiori e questo non ci onora affatto. Tra i giovani c’è una preoccupante ignoranza di base che, se non arginata, può portare a conseguenze catastrofiche. La mediocrità è dilagante.
Dall’altro lato, altrettanto grave, c’è una scarsa attenzione verso la cultura da parte di chi ci governa, indifferentemente dal colore del governo di turno. Si parte da una scarsa destinazione di risorse verso quel vivaio importantissimo che è la scuola, con conseguenti problemi disastrosi: carenze di insegnanti, infrastrutture inadeguate, didattica non rispondente a una formazione che sia competitiva per le sfide che la realtà contemporanea richiede. La scuola pubblica soffre di un male endogeno che nessuna volontà politica sembra voglia curare. Lo stesso vale per le università, con uno Stato che non remunera adeguatamente i ricercatori i quali, per legittimo interesse personale, sono più attratti a lavorare all’estero, dove invece sono ben pagati e pure riveriti. La fuga dei cervelli è un fenomeno ormai antico e non affrontato da una politica che continua a destinare pochi punti percentuali di PIL per la cultura. Se non ci saranno provvedimenti strutturali nell’ambito della cultura, con una scuola adeguata agli standard europei e di competitività, università che attraggano cervelli e iniziative di promozione al fine recuperare quella fetta – considerevole – di società italiana destinata a un analfabetismo di ritorno, il panorama futuro non può che essere desolante.
Nel 2021 hai ottenuto il terzo posto al concorso statunitense ”1th Annual Story Contest” del Winsconsin con il racconto in lingua inglese “The Secret”, pubblicato poi sempre negli Stati Uniti. Come è scrivere un racconto rispetto a un saggio o un romanzo? Ti senti a tuo agio nella brevità?
La brevità non mi fa sentire a mio agio, perché tendo sempre ad approfondire, evitando però di essere prolisso e quindi poco attraente da parte del lettore. Per questo scrivere un racconto non mi attrae particolarmente, sebbene l’abbia fatto portando a casa anche un risultato. Non credo per ora di scrivere altri racconti, ma siccome non programmo – odio la sistematicità – non è mai detto.
Riguardo ai saggi, ne ho scritti due. Il feed-back era stato positivo, ma non è il genere che mi alletta. Scrissi quei saggi perché volevo mettere nero su bianco le mie idee su tematiche varie. Devo dire che per scrivere saggi di un certo livello bisogna essere anche molto preparati. In fondo io sono un romanziere, questo è il mio ambito, mi piace scrivere romanzi, raccontare storie. Non credo che scriverò altri saggi, solo se avrò la preparazione e l’ispirazione per scriverli forse lo farò.
Veniamo ai tuoi libri di narrativa: chi sceglie i titoli, solitamente?
Scegliere il titolo è sempre complesso, perché deve riassumere ermeticamente il senso del romanzo. Finora il titolo è sempre arrivato alla fine della stesura e poi proposto alla casa editrice. Mentre in tre casi il titolo è stato confermato in sede di pubblicazione (Note fragili – Ed. Kimerik, E ascoltai solo me stesso – Ed. Kimerik e Quella Notte senza luna – Ed. Elison Paperback), negli altri due è stato modificato (Le ombre delle verità svelate – Ed. Kimerik – era all’origine L’ombra della verità – titolo della prima edizione e Storia di un punto e virgola – Ed. Bookabook – era all’origine Punto a capo). Io ho accettato le modifiche per andare incontro alle esigenze editoriali.
Il personaggio al centro. Che ruolo destini ai luoghi e ad altri elementi narrativi?
Certo, per me il personaggio è sempre al centro. Attorno a lui ruotano le vicende di cui è protagonista. Per me il personaggio è così al centro che qualsiasi luogo potrebbe essere adatto a lui. Credo che sia giusto così: porre al centro dell’attenzione la vicenda umana, in quanto dall’Io del personaggio scaturiscono le emozioni che il lettore può provare leggendo. Il protagonista dev’essere, per me, l’attrazione principale, supportato dagli altri personaggi in un connubio di sentimenti ed emozioni che danno senso alla narrazione con retrogusti di varia natura. La poliedricità è fondamentale se si vuole caratterizzare un personaggio.
I luoghi e le epoche per me svolgono un ruolo di secondo piano, seppur sempre importante. Parlando in gergo teatrale, potrei dire che le scenografie sono intercambiabili.
C’è un personaggio tra tutti a cui sei rimasto particolarmente affezionato?
Gianni ne Le ombre delle verità svelate – Ed. Kimerik, il protagonista di spicco. È lui che conduce questo romanzo dalle storie intrecciate, assieme agli altri due protagonisti. È un personaggio poliedrico, dall’Io potente. Devo dire che tra i romanzi che ho scritto finora, Le ombre delle verità svelate è quello che mi è riuscito meglio e mi ha soddisfatto molto.
Ci dici invece qualcosa su Quella notte senza luna (Elison Paperback) uscito a febbraio di quest’anno?
Quella notte senza luna è un romanzo intriso di significati, la cui protagonista, Elena, è di una profondità unica. L’ho scritto per far capire che l’indifferenza, l’intolleranza, il pregiudizio, la povertà andrebbero banditi. Anche in questo romanzo la centralità della protagonista è determinante. È un libro da leggere tutto d’un fiato che sa lasciare traccia di sé e fa riflettere. Io credo nella lettura formativa, con le emozioni e i sentimenti che si condensano in un tutt’uno, dove i significati più intimi e profondi affiorano per raggiungere la sensibilità del lettore.
Quella notte senza luna è stato scritto in un periodo particolare della mia vita, in cui la depressione mi devastava; ma scrivere, anche quella volta, mi ha dato forza; forse è anche per questo che il romanzo ha assunto una connotazione particolare e per questo invito a leggerlo.
In chiusura, una curiosità: hai scritto anche dei saggi e degli editoriali. Hai mai pensato di fare il giornalista?
Io sono di natura curioso e mi piace tenermi aggiornato. Mi piacerebbe, ma ormai per me è tardi; preferisco dedicarmi alla scrittura e alla musica.
Grazie Giovanni per la tua intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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