Giovane compositore, sassofonista e cantante, è una delle voci emergenti più interessanti nel panorama musicale contemporaneo. Classe ’98, Milani ha saputo unire influenze provenienti dal jazz accademico, dal pop e dalla musica elettronica, creando uno stile unico e coinvolgente. In questa intervista, scopriamo di più sul suo percorso, le sue ispirazioni e i progetti futuri.
Benvenuto, Giovanni, è un piacere averti con noi. Partiamo dall’inizio: come hai scoperto la tua passione per la musica e come è nato il tuo percorso artistico?
Nasco in una famiglia di appassionati di musica, e fin da piccolo ne ho ascoltata molta, inoltre ciò mi ha dato la possibilità di avere strumenti in casa con i quali divertirmi, iniziando dalla chitarra, poi il piano e infine al sax in maniera più seria. Ho iniziato poi a scrivere musica, canzoni in particolare, grazie all’ascolto di Pino Daniele.
Hai iniziato con la chitarra e il pianoforte, ma poi hai scelto di dedicarti al sassofono. Cosa ti ha portato a fare questa scelta e come questo strumento ha influenzato il tuo modo di scrivere musica?
Ho scelto il sassofono perché avevo bisogno di approfondire la mia conoscenza musicale, ma volevo farlo attraverso uno strumento nuovo per non andare a condizionare l’approccio principalmente ludico che avevo sugli altri strumenti. Indubbiamente il sax ha fatto sì che ampliassi la mia conoscenza teorica e che mi avvicinassi alla scrittura prettamente strumentale.
Il tuo percorso accademico ti ha portato al Siena Jazz e ora stai completando la specialistica al Conservatorio Verdi di Milano. Quanto è stata importante la formazione accademica per la tua crescita artistica e come riesci a bilanciare la tecnica con la creatività?
Ammetto di non essere in grado di giudicare quanto il mio percorso accademico abbia influito nella mia crescita artistica, a mio avviso credo che lo abbia fatto molto di più ciò che ho vissuto all’esterno delle accademie. Di sicuro sono state utili per conoscere altri musicisti. Probabilmente c’è chi sosterrà il contrario, ma la tecnica è molto importante, se non fondamentale per la creatività, la mancanza di essa è paragonabile alla mancanza di vocaboli, senza le parole giuste è difficile riuscire ad esprimersi. Ciò non toglie che è possibile fare arte con poco e con estrema semplicità, e tale è la mia ricerca.
Sei riuscito a fondere il jazz con elementi di pop ed elettronica. Come descriveresti il tuo approccio alla composizione e quali artisti ti hanno influenzato maggiormente in questa fusione di generi?
Inizio sempre piano e voce, o piano e sax. L’aspetto più importante per me è la melodia, poi tutto il resto viene a cascata. Chiaramente per quanto riguarda le canzoni il lavoro sul testo è centrale, ciò su cui mi focalizzo è l’essere il più sincero possibile, a volte ci riesco, a volte mi nascondo dietro le parole. È un approccio molto istintivo e che si basa sul suono, in qualche modo sento di poter dire che quando scrivo ho già tutto dentro, il processo complesso è quello di tirarlo fuori, talvolta è troppo difficile e abbandono. Tendenzialmente comunque deriva da un’esigenza, la necessità di esprimere qualcosa che sento. Tornando ad aspetti più tecnici spesso neanche io non so quello che sto facendo e quando vado ad analizzare e trascrivere alcuni brani per portarli ai miei musicisti anche io ho difficoltà poiché, come dicevo prima, vi è molto istinto e poco intelletto in quel che faccio. L’intelletto arriva successivamente, negli arrangiamenti e nella cura dei dettagli. Tantissimi artisti mi hanno influenzato, ne cito solo alcuni: Dalla, De Gregori, Tiziano Ferro, Pino Daniele, Kendrick Lamar e via dicendo.
Hai suonato in festival di prestigio come Umbria Jazz e in locali importanti come l’Alcatraz di Milano. Qual è stata l’esperienza più significativa per te sul palco e cosa provi quando ti esibisci dal vivo?
Ho avuto molti concerti belli, altri decisamente meno, ma credo che ancora debba arrivare il concerto “più significativo” perché non mi viene in mente nessuno da porre sopra a tutti gli altri. Per me è molto più significativo ciò che porta alla realizzazione del live. Le prove, i fraintendimenti, i litigi. L’aspetto umano della musica è ciò che mi ha formato di più in generale nella mia vita. Difatti, collegandomi alla seconda parte della domanda, ogni live ha storia a sé e ciò che provo è spesso diverso, ciò che non cambia è la consapevolezza che mi trovo a mio agio sul palco e condividere una passione con tante persone è un’emozione che non puoi provare in altre occasioni.
Hai collaborato con diversi artisti, tra cui Serena Brancale. Come nascono queste collaborazioni e cosa hai imparato lavorando con musicisti di diversi generi e stili?
Non sempre hai modo di prendere molto dalle collaborazioni, dipende anche dal tempo e l’esperienza, con Serena Brancale ad esempio sono stati un paio di live con i Funk Off e non c’è stato modo di prendere o dare molto. Ciò che ho imparato tra le varie collaborazioni e conoscenze è sicuramente che, come dicevo prima, prima di tutto siamo persone oltre che musicisti e artisti, e per me è molto più importante essere buone persone che bravi musicisti, perché in fondo anche la musica nei sui vari stili e generi si differenzia solo in due categorie, quella fatta bene e quella fatta male.
Come compositore, quali sono le storie o i temi che cerchi di raccontare attraverso la tua musica? C’è un messaggio che vorresti trasmettere al tuo pubblico?
Io racconto principalmente la mia vita, che può essere la vita di tutti in fondo. Ci sono tanti messaggi che vorrei trasmettere, uno fra tanti, per quanto banale, è quello di cercare dentro di sé ciò che ci fa stare bene, e seguirlo, anche se ciò comporta talvolta rimanere soli o incompresi, se si ricerca il proprio benessere, si farà inconsciamente anche il bene degli altri.
La musica elettronica e la techno fanno parte della tua vita notturna. In che modo queste influenze si riflettono nelle tue composizioni e come pensi che la musica elettronica possa arricchire il jazz?
Il jazz è avanguardia, la musica elettronica è avanguardia, per me non vi è molta differenza, è solo una questione storica, fare jazz mainstream ai giorni d’oggi è anacronistico. Se i grandi del jazz vivessero i nostri tempi di sicuro sarebbero davanti a un campionatore o un modulatore, o almeno è così che a me piace pensare. Per quanto riguarda le mie composizioni credo che siano influenzate naturalmente da ciò che ascolto, vivo, d’altronde siamo tutti figli del nostro tempo.
Stai completando i tuoi studi al Conservatorio, ma hai già ottenuto molti riconoscimenti. Quali sono i tuoi obiettivi futuri come musicista e compositore? Hai qualche progetto in cantiere di cui ci puoi parlare?
Mi piacerebbe molto, rimanendo in ambito accademico, fare dei master di musica elettronica all’estero. Sto producendo un riedit dell’ultimo disco “Fotografia N.2” con Matteo Banchi, in arte Masneo, e un altro EP sperimentale con sezione fiati, quartetto d’archi ed elettronica. In futuro mi piacerebbe molto diventare autore e scrivere musica per altri.
Quali sfide pensi che il panorama musicale contemporaneo debba affrontare e quale pensi possa essere il ruolo delle nuove generazioni di musicisti in questo contesto?
Sicuramente le intelligenze artificiali sono un tema importante per il futuro della musica, ma io credo che esse imploderanno assieme ai vari social e altre armi di controllo di massa simili, ma forse è solo una mia speranza. La realtà è che almeno per la mia esperienza e per la musica in Italia stiamo già vivendo una realtà sconfortante, dove la musica in senso artistico non ha alcuna importanza. Con questa deludente immagine onestamente non so quale possa essere il ruolo delle nuove generazioni, so solo che io cercherò di valorizzare la musica al meglio possibile e, con tenacia, spero che insieme ai tanti validi musicisti e artisti che abbiamo, si possa invertire questa rotta.
Grazie Giovanni per averci dedicato un pò del tuo tempo. Complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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