Giulia Ciarapica, scrittrice e critica letteraria, è una delle voci più dinamiche del panorama culturale italiano. Attiva nel mondo dell’editoria, insegna critica letteraria e letteratura del Novecento, interviene come critico letterario nel programma “Mille e un libro” su Rai Uno e collabora con il quotidiano Il Foglio. Dopo il successo del suo romanzo d’esordio “Una volta è abbastanza”, ha pubblicato sempre per Rizzoli “Chi dà luce rischia il buio”, rientrato tra i semifinalisti del Premio Letteratura d’impresa. Nel 2024 Giulia esplora nuovi orizzonti narrativi con la graphic novel “Come se non fossimo stati”. In questa intervista ci racconta il suo percorso, le sue ispirazioni e i progetti futuri.
Giulia, nel tuo percorso hai esplorato vari ambiti del mondo letterario, dalla critica alla scrittura di romanzi. Cosa ti ha spinto a diventare una scrittrice e critica letteraria?
In realtà il percorso di scrittura, che non è di sicuro la mia principale attività, è arrivato per caso. Sono stata contattata nel 2018 dall’ex direttore della narrativa italiana di Rizzoli per progettare un libro insieme, e siccome avevo una bella storia da raccontare ho deciso di accettare la sfida. Mentre il percorso di critica letteraria è ben differente, perché risale ai tempi dell’università ed era sicuramente uno degli obiettivi della mia carriera, oserei dire il principale.
Il tuo saggio “Book blogger. Scrivere di libri in Rete” affronta il rapporto tra letteratura e il mondo digitale. Come pensi che i social abbiano trasformato il modo in cui parliamo di libri oggi?
I social hanno svecchiato il modo in cui si parla di libri: innanzitutto non usiamo quasi più la parola “scrivere di” ma appunto “parlare di”, perché in gioco c’è più che altro la dimensione audio visiva. Il fatto che molti giovani – se non addirittura giovanissimi – si cimentino nella produzione di contenuti con il fine di suggerire nuovi libri ai loro coetanei (e non solo) mi sembra una grande conquistata, specie in un Paese in cui si legge pochissimo. Detto ciò, la critica letteraria si muove anche – e forse soprattutto – su altre strade, sfruttando ovviamente i social ma realizzando contenuti talvolta più lunghi e di certo strutturati. Tutto ciò che incrementa la lettura o ne incentiva la promozione mi sembra cosa buona e giusta.
Nel programma Mille e un libro di Rai Uno intervieni come critica letteraria. Com’è per te condividere la tua passione per la letteratura con un pubblico televisivo?
Mi diverto. La tv è divertente. Ti obbliga innanzitutto alla rapidità, molto più del social, e quindi ti spinge a un’analisi più accurata e a una selezione di argomenti e notizie più mirata. Una bella sfida, ma ripeto, è soprattutto divertente – non mi prendo mai sul serio, odio le persone che lo fanno, sono terribilmente noiose.
Il tuo ultimo romanzo “Chi dà luce rischia il buio” ha riscosso grande successo. Qual è stata l’ispirazione dietro questa storia e quale messaggio volevi trasmettere ai lettori?
“Chi dà luce rischia il buio” è il secondo volume di una saga iniziata con “Una volta è abbastanza”, quindi riprendo le fila del discorso che avevo abbandonato al termine del primo, quando ancora ci trovavamo nelle basse Marche del 1964. Volevo raccontare l’epopea dei calzolai marchigiani, la nascita delle prime fabbriche e il loro sviluppo negli anni Settanta, decennio d’oro per tutto il settore calzaturiero marchigiano. Ho cercato di farlo raccontando la comunità di Casette d’Ete, dove è ambientato il romanzo, ma anche e soprattutto le vicende della famiglia Verdini – che è poi la mia famiglia da parte di madre.
Insegni critica letteraria e letteratura italiana del Novecento. Cosa ami di più di questo periodo letterario e quali autori del Novecento senti più vicini al tuo lavoro?
Del Novecento amo quasi tutto, anche se a dire il vero il mio periodo del cuore è fine Ottocento/ prima metà del Novecento. La crisi dell’uomo all’interno della società, la nascita della figura dell’inetto e la messa in gioco di tutte le certezze – nonché la concretizzazione letteraria della fragilità umana – sono gli elementi che più mi interessa studiare. I miei autori di riferimento sono Dino Buzzati, che è anche il mio scrittore preferito in assoluto; Italo Svevo, Alberto Moravia, Elsa Morante, Alba De Cèspedes e di sicuro Massimo Bontempelli e Paola Masino. Mi piace occuparmi anche dei grandi dimenticati di questo secolo, come Goffredo Parise o Fausta Cialente.
Sei molto attiva nell’organizzazione di eventi culturali. Cosa ti spinge a creare spazi di incontro tra lettori, scrittori e critici, e come pensi che questi eventi arricchiscano la scena letteraria italiana?
Mettiamola così: mi piace fare casino in giro, mi piace far incontrare le persone e mi piacciono, più in generale, le persone. Vorrei semplicemente mettere a frutto i miei contatti per aiutare anche le realtà più piccole a creare occasioni di gioia, condivisione delle passioni e sano (nonché utile) divertimento. La cultura non è una cosa per pochi, ma questo l’Italia, molto spesso, se lo dimentica.
Nel 2024 è uscita la tua graphic novel “Come se non fossimo stati”. Cosa ti ha portato a esplorare questo nuovo formato narrativo e come è stata la collaborazione con l’illustratrice Michela Di Cecio?
I tipi di Round Robin mi hanno proposto questo graphic perché sapevano della mia passione – recente, c’è da dire – per fumetti e libri illustrati. Siccome – purtroppo – non so disegnare, ho dovuto limitarmi a scrivere questa storia che però si prestava molto a questo formato. Una storia gotica femminista che trae ispirazione da una leggenda del mio paese, sempre lui: Casette d’Ete. Lavorare con Michela Di Cecio è stata occasione più unica che rara, considerando la sua sensibilità e il suo grande talento. Ci siamo trovate in grande sintonia fin da subito.
Il tuo romanzo d’esordio “Una volta è abbastanza” ha ottenuto vari premi e riconoscimenti. Quali sono state le sfide maggiori nel pubblicare il tuo primo libro e come hai vissuto il successo?
Posso essere onesta? Mi sono buttata in questa avventura quasi alla cieca, l’ho fatto con l’incoscienza delle prime volte ed è andata bene. Non mi soffermo mai a pensare a cosa ho ottenuto – nel lavoro come nella vita in generale – perché mi hanno insegnato a guardare ciò che ho per poter realizzare il passo successivo. Star fermi a contemplare il buon risultato, purtroppo, non mi appartiene (questo è l’unico rammarico). La sfida più grande è stata scrivere il secondo libro dopo che il primo era piaciuto! Temevo di sbagliare o di deludere.
Lavori a stretto contatto con il mondo dell’editoria e della critica. Come vedi l’evoluzione del panorama editoriale in Italia e quali cambiamenti pensi siano necessari per il futuro?
L’unico vero cambiamento che dovrebbe essere attuato riguarda, a mio avviso, l’atteggiamento: finché continueremo a storcere il naso di fronte a ogni novità (soprattutto tecnologica, perché ricordiamolo: se impariamo a studiare e comprendere la tecnologia avremo più strumenti dalla nostra per semplificarci la vita e renderla interessante anche agli occhi delle nuove generazioni), finché continueremo a pensare che i libri sono appannaggio di un ristretto gruppo di persone che può permettersi di parlarne e di scriverne, e finché non ci decideremo a far passare il messaggio che leggere non è solo utile ma anche molto divertente, non andremo così lontano come invece potremmo – e dovremmo-
Guardando al futuro, quali nuovi progetti letterari o critici hai in mente e quali temi ti piacerebbe approfondire nelle tue prossime opere?
Di sicuro vorrei tornare alla forma del saggio, che è forse quella che più mi appartiene. Ho nuovi progetti con grandi aziende e qualche idea che mi piacerebbe sviluppare in tv, ma è tutto ancora nella mia testa e quindi per scaramanzia taccio!
Grazie per la tua intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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