Questa storia che abbiamo voluto condividere ci è arrivata qualche giorno fa in redazione tramite email. Era firmata GIulia C. , ci siamo quindi dati da fare per cercare di contattare la protagonista di questo racconto e siamo riusciti a sentirla. Vi presentiamo Giulia, 93 anni, originaria romagnola ma che oggi vive in Canada con la sua grande famiglia.


Mi chiamo Giulia ed oggi vivo in Canada, a novantacinque anni ripenso spesso a quel giorno del 1952, quando ero ancora una ragazza di ventidue anni con il cuore pieno di speranza e di paura. Avevo appena cominciato a vivere la mia vita adulta, ma la mia anima, quella, non era mai stata davvero libera. C’era un vuoto che non riuscivo a colmare, un’assenza che non mi aveva mai abbandonata.
Sono nata in Emilia Romagna nel Giugno del 1931, figlia unica, con un padre calzolaio e mamma la fioraia.

I miei genitori sparirono, inghiottiti da un’epoca di guerra, dai rumori di un conflitto che aveva lacerato il mondo. Li persi nel 1943 quando avevo solo dodici anni durante un viaggio in treno che non sapevo dove ci stava portando. Quel giorno ci sorprese un bombardamento aereo che ci costrinse a scappare dai convogli e a nasconderci nella boscaglia. Nel caos più totale ci perdemmo di vista, li cercai per ore ed ore senza trovarli. Mi soccorsero alcuni abitanti delle zone vicine che, dopo qualche giorno, mi riaccompagnarono a casa dalla mia anziana nonna.
Non vidi più i miei genitori ma dentro di me c’era sempre un filo invisibile che mi legava a loro, che mi faceva credere che un giorno li avrei ritrovati.

Nel 1952 decisi che non potevo più restare ferma. La guerra era finita, ma le cicatrici nel cuore non si erano mai rimarginate. Non avevo molti soldi, ma avevo una forza che pochi avrebbero capito. Un giorno mi recai all’ufficio postale del mio paese e chiesi di inviare una lettera che da li a poco avrebbe cambiato tutto.

Scrissi al consolato canadese, perché, poco prima della guerra, avevo sentito parlare mio padre di un nostro possibile trasferimento in “Canada”, un luogo dove le opportunità erano infinite. Era un nome che ronzava nella mia testa, “Canada”, ma non avevo mai saputo se fosse solo un sogno o una possibilità reale. La risposta arrivò cinque mesi dopo. Era una lettera che parlava di nomi ed indirizzi. Mi dissero che c’era una famiglia con lo stesso mio cognome che viveva a Montreal.

Montreal… Un nome che non avevo mai sentito pronunciare. Il Canada, così lontano e misterioso, mi chiamava ed io non potevo ignorarlo.

Presi un treno per Genova, poi la nave, un lungo viaggio che sembrava non finire mai. L’oceano sembrava così vasto, eppure dentro di me c’era una sensazione che mi diceva che stavo andando nella giusta direzione.

Arrivai a Montreal in autunno, con il cielo grigio sopra di me e l’aria frizzante che mi stringeva i polmoni. La città sembrava così diversa da come la immaginavo, eppure dentro di me c’era qualcosa che mi diceva che ero nel posto giusto. Mi recai al numero civico che mi era stato indicato, in un piccolo quartiere abitato per lo più da immigrati italiani. Bussai alla porta!

Una donna anziana aprì, davanti a me un volto che mi sembrava familiare e sconosciuto allo stesso tempo. Mi guardò in silenzio per un lungo interminabile momento, i suoi occhi scuri che cercavano di decifrare il mio volto. Poi, senza dire una parola, mi abbracciò, come se mi avesse aspettato tutta la vita. Non c’era bisogno di spiegazioni. Lei era mia madre. Il cuore mi scoppiò in petto, le lacrime scorrevano senza controllo.

Era passato tanto tempo ed il dolore della separazione era rimasto, ma quello che sentii in quel momento fu solo la felicità di aver trovato finalmente un pezzo di me stessa che mancava da troppo tempo. Mia madre, che era sopravvissuta al bombardamento, convinta che io invece fossi rimasta vittima, mi raccontò di come fossero riusciti a fuggire in Canada con l’aiuto di altri rifugiati italiani, di come fossero riusciti con fatica a rifarsi una vita lontano dalla propria terra, sempre con il pensiero rivolto a me, alla loro piccola Giulia.

Con lei, ritrovai anche mio padre. Fu un incontro che non scorderò mai. Mio padre non parlava molto, ma i suoi occhi parlavano per lui. Mi sembrava incredibile come la vita fosse riuscita a ricongiungerci, nonostante il tempo, la distanza e le difficoltà. Quella sera, con i miei genitori intorno a me, sentii finalmente di appartenere a qualcosa. Non ero più una giovane donna persa nel mondo, ma una figlia ritrovata, una donna che aveva fatto un viaggio lungo tutta una vita per arrivare a casa.

Ora, guardo i miei figli ed i miei nipoti, e penso che tutto ciò che ho vissuto mi ha portato a loro. Ogni giorno che trascorro con loro è un regalo che la vita mi ha fatto dopo tanta attesa, ma il mio cuore non dimentica mai il viaggio che ho fatto per ritrovare la mia famiglia. A volte, nella quiete della sera, penso a quella ragazza di ventidue anni che partì dall’Italia con il cuore pieno di speranza. Mi rendo conto che, nonostante tutto, non ho mai smesso di credere che, prima o poi, avrei trovato la mia strada.

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