Musicista di fama internazionale, Giuliano De Angelis ha incantato platee in tutto il mondo con la sua maestria al violoncello. Con una carriera che abbraccia esibizioni da solista, collaborazioni prestigiose e l’impegno come direttore artistico di importanti festival musicali, De Angelis è un artista completo e sensibile. In questa intervista, esploreremo il suo viaggio musicale e le sue ispirazioni.
Benvenuto Giuliano. È un piacere averti con noi. Iniziamo dalle tue origini: cosa ti ha spinto a scegliere il violoncello come strumento e quale è stato il tuo primo contatto con la musica?
Grazie Noemi, prima di tutto vorrei inviare un saluto ai lettori di “Che Intervista”. Grazie per avermi inviato. Non ci sono altri musicisti nella mia famiglia, io sono l’unico. Ma in tutti i miei ricordi da bambino c’è sempre in sottofondo musica classica, di cui mio padre è sempre stato appassionato. Mia madre (e sua madre, mia nonna) hanno una eccezionale voce naturale che sfortunatamente io non ho ereditato.
Nel mio caso io non ho scelto il violoncello, credo sia stato lui (o forse sarebbe meglio dire lei) ad aver scelto me. Il mio primo strumento è stato la chitarra; anche se ero molto giovane amavo il jazz e il rock. Fu un amico, un mandolinista portoghese, a farmi conoscere il violoncello, regalandomi un cd di Rostropovich. L’ascolto di quel cd è stata per me una specie di chiamata, una vocazione, come il ritrovare una parte di me che mi era sempre appartenuta. Inizio gli studi in conservatorio in ritardo, quindi, applicandomi in modo totale, furioso, davvero con il massimo impegno. Ho trascorso per anni ogni giorno della mia vita, praticamente tutto il giorno, ad applicarmi allo studio. E da allora poco è cambiato. Ho terminato gli studi accademici decennali in soli 6 anni, diplomandomi a Modena sotto la guida di Marianne Chen, che ha forgiato, oltre le mie mani, anche la mia testa e il mio carattere. Sono stati anni davvero durissimi, bui, ho perso tutti i miei amici di infanzia e tutto ciò che un tempo è stato divertimento e spensieratezza, ma in qualche modo ho recuperato il ritardo con cui ho iniziato.
Hai una carriera che ti ha portato a esibirti in tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti. Quali sono stati i momenti più significativi delle tue tournée internazionali?
Sicuramente la mia prima tourneè, in Cina. Una lunghissima tourneè di 15 concerti. È stata una esperienza entusiasmante. Quasi un concerto al giorno, sempre in una città diversa. Al netto dei lunghissimi viaggi ho potuto esibirmi accompagnato da una stupenda, enorme Orchestra, in auditorium assolutamente avveniristici. Ogni sera c’era un pubblico di migliaia di persone. Indimenticabile
Nel corso della tua carriera hai collaborato con grandissimi nomi del panorama musicale come Muti, Repin e Filippini. Qual è stata l’esperienza di lavorare con questi maestri e cosa hai imparato da loro?
Questi grandissimi artisti (quelli che hai citato e molti altri) hanno tutti una caratteristica che li accomuna: sono unici, hanno personalità talmente forti e definite che non assomigliano a nessuna persona incontrata fino a quel momento. Si impara sempre tantissimo dai grandi, è una vera fortuna per me aver avuto l’occasione di suonare con loro. Si impara qualcosa solo nel guardarli, sono una grande fonte di ispirazione.
Nel 2021 sei stato protagonista di un evento di beneficenza patrocinato dal Vaticano. Che tipo di preparazione mentale e artistica richiede un’esibizione di tale portata?
Quello è stato, credo, il concerto più bello e più difficile della mia carriera. Un grande evento di beneficenza organizzato in collaborazione con l’Elemosineria Vaticana per i poveri. In programma Il Doppio Concerto di Brahms, al Parco Della Musica di Roma. A parte la notevole difficoltà esecutiva della partitura, e a parte la responsabilità di suonare in un vero tempio della musica, la cosa davvero difficile fu l’organizzazione di questo grande evento. Fu necessario un anno intero di lavoro per realizzarlo. Sono davvero grato a Tabor International del dott. Trifari per avermi dato questa, e tante altre occasioni altrettanto prestigiose.
Oltre ad esibirti come solista, hai ricoperto il ruolo di primo violoncello in importanti orchestre italiane. Quali sono le differenze principali tra suonare da solista e fare parte di un’orchestra?
È un modo di suonare totalmente diverso. Per rispondere bisogna immaginare l’orchestra come un enorme strumento musicale, dove ogni sezione rappresenta un piccolo componente, e il direttore è il vero esecutore. Bisogna far parte di un tutto, è un gioco di squadra. Il ruolo di solista è molto diverso, si ha l’occasione di interpretare molto di più la parte che si sta eseguendo; il direttore (quando è bravo) guida l’orchestra per assecondare le esigenze del solista. È comunque un gioco di squadra, ma il solista è cosa a sé dallo strumento “Orchestra” citato prima.
Hai una grande passione per la musica da camera e ti sei esibito in festival prestigiosi sia in Italia che all’estero. Cosa ti affascina di più del suonare in ensemble rispetto alle performance da solista?
La musica da camera è forse la mia modalità preferita di suonare. È una via di mezzo tra le due appena citate. Si è parte di un tutto, ma mantenendo la propria personalità, la propria identità. Lo scambio, la condivisione tra i musicisti è la più profonda possibile. Penso che suonare musica da camera possa aiutare a conoscere meglio gli altri componenti del gruppo, non solo musicalmente ma anche personalmente. È una perfetta società, fatta di regole, ruoli, spazi per sé e per gli altri che vanno preservati e rispettati
Come direttore artistico di diversi festival musicali, come riesci a bilanciare la tua carriera di musicista con gli impegni organizzativi e direzionali?
Dedicando al mio lavoro la massima dedizione possibile, la massima serietà possibile. Sto rispondendo a queste domande alle ore 22:00, al termine di una lunghissima giornata di studio e lavoro. Sono praticamente tutte così le mie giornate. Sono uno stakanovista come pochi
Hai avuto l’opportunità di tenere masterclass negli Stati Uniti e in Italia. Cosa ti motiva a insegnare e quale consiglio daresti ai giovani violoncellisti che aspirano a una carriera internazionale?
Adoro insegnare. È una esigenza per me. Dare indietro ciò che ho appreso dai miei insegnanti, e ciò che ho scoperto da solo dopo anni di ricerche infinite. Il consiglio che darei ad un giovane è questo: sii preparato, non al tuo meglio, ma oltre il tuo meglio; non solo con lo strumento ma in ogni ambito di questo lavoro: impara a suonare, impara ad ascoltare, a parlare correttamente almeno in inglese, impara le leggi, impara come funzionano le tasse, impara a dominare l’ego e a saper arrivare secondo, impara a scegliere le parole con attenzione, e ad avere rispetto di chi è migliore di te, come di chi è indietro. Il mondo è cambiato, oggi essere un artista, a mio avviso, significa essere preparato su tutti i fronti. Spesso mi sono sorpreso di come i grandissimi musicisti siano molto più preparati di quanto potessi immaginare, su cose anche estranee alla musica.
La tua carriera ha toccato anche il mondo del teatro e del jazz, con collaborazioni di rilievo. In che modo queste esperienze hanno arricchito il tuo percorso musicale?
È una cosa divertente più che altro. Provare a cimentarsi con linguaggi differenti dalla musica classica può essere una esperienza stimolante, carina. Ma il mio lavoro comunque è la musica colta (“classica”)
Suoni uno straordinario violoncello Gaetano Sgarabotto. Come descriveresti il tuo legame con questo strumento e che ruolo ha avuto nella tua crescita artistica?
Il rapporto con il violoncello è qualcosa di molto profondo. Prima ho detto che, a mio avviso, il violoncello è donna, perché esige attenzioni, dedizione, non ama sentirsi secondo a qualcos’altro. Se fai il tuo dovere ti regala il paradiso, ma se lo trascuri preparati a superare l’inferno per ritrovare suono, intonazione, tutto insomma. Negli ultimi anni ho cambiato moltissimi strumenti diversi, una quindicina più o meno, tutti molto prestigiosi (nessuno di mia proprietà sfortunatamente). Ora sto suonando un bellissimo Klotz, strumento del ’700, dal suono caldo e potente.
Grazie Giuliano per averci portato nel tuo mondo
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