Greg Burk: l’arte dell’improvvisazione e l’anima del jazz

Greg Burk, pianista di fama internazionale, è un artista che incarna il cuore pulsante del jazz contemporaneo. Nato in una famiglia di musicisti classici, Burk ha trovato la sua strada nella musica esplorando l’improvvisazione e scoprendo il jazz nell’adolescenza.

a cura di Noemi Aloisi


Benvenuto su Che! Intervista, Greg! Sei un pianista molto apprezzato dal pubblico e dalla critica, la passione per la musica, quando nasce?
Sono nato in una famiglia di musicisti classici. Mio padre era un direttore d’orchestra e mia madre una cantante. Sono cresciuto con la musica in casa, quindi è stato naturale per me coltivare l’interesse per la musica fin da giovane. Ho scoperto l’improvvisazione e, più tardi, il “jazz” intorno ai 16 anni.

Oltre al pianoforte, hai mai suonato altri strumenti?
Mi piace suonare la batteria e occasionalmente cantare.

Che cosa significa per te improvvisare e cosa agevola questo processo?
Improvvisare è trasformare il momento in suono. Quei suoni possono essere organizzati nel linguaggio che chiamiamo “jazz” oppure possono semplicemente essere musica creata nel momento. I filtri dell’individuo, la sua storia personale, la comprensione e la relazione con il linguaggio musicale influenzano tutti la musica. È un’attività spirituale nella misura in cui ci relazioniamo e celebriamo il momento in un’esperienza autentica e condivisa.

Come la scena jazz di Detroit ha influenzato il tuo percorso artistico?
Quando vivevo a Detroit, suonavo spesso con musicisti che avevano il doppio o il triplo della mia età. Avevano suonato il Be Bop per tutta la vita e la loro comprensione del linguaggio era completa. Io stavo solo iniziando il mio viaggio in questa musica, quindi è stata l’educazione migliore possibile. Il jazz è una tradizione orale, quindi impararlo suonando con musicisti esperti è il modo migliore per migliorare rapidamente. Spesso ero l’unico musicista bianco nei club in cui suonavamo. È stato un passo importante per me dal punto di vista culturale, poiché ero cresciuto in un quartiere suburbano privilegiato. Conoscevo molto poco del mondo, in particolare della cultura afroamericana, se non attraverso la TV e i film. Negli Stati Uniti esiste una divisione fisica e culturale, purtroppo. Forse è migliorata da quando mi sono trasferito in Italia 20 anni fa. La comunità dei musicisti jazz di Detroit mi ha mostrato grande calore e pazienza. Credo fosse chiaro che entravo nel loro mondo con rispetto.

Che importanza ha conoscere la storia della musica per un musicista?
Ci sono solo 12 note in tutta la musica occidentale. Tutto il resto è storia! Quindi è fondamentale. Nel caso del jazz, la storia della lotta degli afroamericani negli Stati Uniti per l’uguaglianza, il rispetto e il riconoscimento della loro genialità è profondamente intrecciata con questa musica. Sono stati necessari grandi sacrifici e grande coraggio per sviluppare questa musica, specialmente negli Stati Uniti. Se si toglie la storia, rimangono solo 12 note!

Nel corso della tua carriera sei stato un turnista e hai suonato in orchestre. Cosa ti hanno lasciato queste esperienze a livello formativo?
Quando vivevo a Boston ero membro della Either/Orchestra, una band di 10 elementi. Abbiamo girato molto negli Stati Uniti, in Europa, in Russia e in Etiopia. Successivamente ho fatto parte del Versus Synthesizer Ensemble di Carl Craig, uno dei fondatori della Detroit Techno. Ho viaggiato anche con i miei progetti. Viaggiare è una scuola per essere professionisti: interagire con nuove persone e musicisti, mantenere la concentrazione nonostante le condizioni difficili, essere un performer capace di comunicare con il pubblico. Sono competenze difficili da sviluppare senza l’esperienza del tour.

Il jazz è sempre stato un linguaggio di sintesi. Cosa ne pensi delle influenze contemporanee, come il jazz e la musica elettronica?
L’esperimentazione nel jazz è un processo inarrestabile. I musicisti esploreranno sempre nuovi linguaggi, tecnologie e tecniche per ampliare la gamma di colori e strumenti espressivi nella loro arte. L’elettronica esiste dagli anni ’50, sotto forma di strumenti amplificati e tastiere elettriche semplici. Ho utilizzato sia l’elettronica sia i sintetizzatori nella mia musica perché li considero strumenti di espressione potenti. L’elettronica parla anche a un pubblico più giovane, poiché le sonorità sono vicine ad altri contesti e musiche a cui sono abituati. Tuttavia, non abbandonerò mai il pianoforte acustico: è il cuore pulsante della mia vita musicale e offre infinite possibilità di crescita ed esplorazione.

Oggi siamo nell’era dell’intelligenza artificiale. Cosa si può definire ancora autentico dal punto di vista creativo?
Nell’atto di improvvisazione, un momento racchiude molto più di ciò che può essere quantificato numericamente. Ad esempio, lo stato mentale del singolo musicista influenza tutto: dalla scelta delle note alla dinamica di ogni suono, alla storia tra i musicisti e come interagiscono e si anticipano, al sentimento che il gruppo percepisce dal pubblico… Questi elementi della creazione nell’improvvisazione non possono essere quantificati, come invece accade per altezze, durate e ritmi. Per questo motivo, una performance jazz dal vivo deve essere realizzata da esseri umani. Potrebbe arrivare un momento, anche se spero vivamente di no, in cui il pubblico non percepirà più queste sottigliezze nella musica e si accontenterà di musica generata semplicemente dall’intelligenza artificiale. Tuttavia, sono ottimista che molte persone comprendano, anche solo intuitivamente, questa differenza.

Hai passato la gioventù esplorando fiumi e nuotando nei laghi. Il tuo progetto “And The Sea Am I”, ispirato all’acqua, ha qualcosa a che fare con questo? Che rapporto hai con questo elemento?
Ho registrato tre album di pianoforte solista ispirati all’acqua: Clean Spring (Sorgente Pulita), As A River e And The Sea Am I. L’acqua è vita! Circola sul pianeta nello stesso modo in cui il sangue circola nel nostro corpo. Senza di essa non c’è vita. Allo stesso modo, creatività e intuizione scorrono attraverso di noi, in parte in modo deliberato, ma anche in modi che non possiamo comprendere o controllare. Dovremmo rimanere aperti a queste correnti che scorrono attraverso di noi come performer, senza cercare di trattenerle o controllarle, proprio come l’acqua. Credo che la natura sia la principale fonte d’ispirazione per tutta l’arte, perché la bellezza la comprendiamo solo grazie al contatto con l’ambiente naturale. Sono anche un segno d’acqua, Cancro, e ho sempre avuto un rapporto speciale con l’acqua. Quando l’improvvisazione è naturale come respirare e muoversi, è come una corrente d’acqua che si muove senza sforzo.

Attualmente vivi a Roma. Da quanto tempo sei qui? Cosa ti piace dell’Italia e di questa città?
Vivo a Roma dal 2004. Amo molte cose dell’Italia e di Roma. Per cominciare, le cose ovvie come i monumenti, i parchi, la storia, l’arte e il cibo, ma anche il clima! Prima vivevo in Michigan e Boston, due luoghi con inverni molto rigidi. Apprezzo il sistema educativo nazionale. Negli Stati Uniti, uno studente di musica potrebbe facilmente spendere 200.000 dollari per ottenere una laurea triennale. È scandaloso. Il sistema qui ha i suoi problemi, ma si basa sull’idea etica che l’istruzione sia per tutti, un’idea che sostengo. Inoltre, apprezzo il modo in cui le generazioni interagiscono qui e come spesso le persone anziane abbiano vite attive e soddisfacenti. Quando visito gli Stati Uniti, una delle prime cose che noto è che quasi non si vedono persone anziane. Roma ha una scena jazz molto vivace e una comunità appassionata e dedicata di musicisti.

Grazie del tuo tempo Greg e complimenti per la tua carriera artistica!
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Per saperne di più visita:
Instagram | gregburk.bandcamp.com

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