Con una scrittura che unisce denuncia sociale, introspezione e lirismo urbano, IANEZ – al secolo Andrea Iannone – si è affermato come una delle voci più autentiche e riconoscibili della nuova scena cantautorale indipendente. Dalla pubblicazione del romanzo Sette foglie di oleandro ai suoi ultimi brani intensi e viscerali come Ghiaccio, Ianez porta avanti una poetica fatta di ferite esposte e dignità silenziosa. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo percorso, della sua visione del mondo e del valore della musica come strumento di resistenza.
a cura della redazione
Ciao Ianez, benvenuto su Che! Intervista. Partiamo dal tuo nuovo singolo Ghiaccio: cosa rappresenta per te questo brano e cosa ti ha spinto a scriverlo?
Ciao. Grazie per il tempo che mi avete dedicato. Ghiaccio è stato il brano più difficile sul piano personale emotivo. Arriva dopo la morte di mio padre e lui mi ha insegnato sulla sua pelle cosa non fare per resistere al gelo del mondo. L’ho visto consumarsi nella depressione, in una solitudine che solo la società riesce ad alimentare, predisposto alle dipendenze e inadeguato alla schizofrenia economica che valuta le persone in base alla produttività. Il brano è dedicato a chi vive sotto il pelo dell’acqua, a tutti quelli che non hanno voce, alle persone fragili nelle quali è difficile immedesimarsi, perché anche l’empatia è egoriferita.
Nei tuoi testi c’è sempre una forte componente di denuncia sociale, ma anche una delicatezza emotiva rara. Come riesci a mantenere questo equilibrio?
Non è un qualcosa di ragionato, credo sia semplicemente la mia indole e non saprei approcciarmi diversamente alle tematiche trattate. Parlare con “violenza” di fatti “violenti” sarebbe una esaltazione della violenza stessa, il contrasto valorizza l’argomento ed è emotivamente più coinvolgente. Siamo così bombardati dalla cronaca, dal sangue, che quasi non ci fanno più effetto, non ci scandalizzano più abituarsi al male significa dargliela vinta, la delicatezza invece, non è mai abbastanza ed è anche una forma di rispetto.
Dal noir gotico del tuo romanzo al cantautorato di denuncia: quali sono i fili invisibili che uniscono la tua scrittura musicale e letteraria?
Anche il libro nasconde una critica sociale. Racconta la vita, la morte, l’amore e le lotte di persone diverse, i proprietari di una stessa auto che viene acquistata e rivenduta passando di mano in mano, da auto di lusso a macchina sgangherata e senza valore. Tutto ambientato in una indefinita provincia. Quello che cambia tra un mio testo e il libro sono tempi e forma, la sostanza è sempre la stessa.
Tony Pastello e Vasca Rossa sono due brani molto diversi ma accomunati da uno sguardo critico sulla società. Cosa ti spinge a raccontare il presente attraverso queste immagini così forti e simboliche?
Il presente è il passato di domani e l’arte ha un compito importante, quello di lasciare traccia di ciò che è stato. Tony Pastello ad esempio, parla con ironia proprio di questo, di una esaltazione nostalgica della propria giovinezza e di un passato che effettivamente non è mai esistito.
Vasca Rossa parla di guerra, di quanta fortuna ci vuole per nascere dalla parte giusta del mondo e tristemente questi temi, specialmente la guerra, sono una costante, alcune volte siamo attori, altre volte siamo spettatori ma mai ne siamo estranei.
Con Analisti ne abbiamo? hai affrontato il fenomeno dei tuttologi da social con ironia e sarcasmo. Quanto è importante per te usare la musica anche per smascherare le ipocrisie contemporanee?
La tuttologia sul web alcune volte fa sorridere, altre volte fa rabbia, dipende se parliamo di terrapiattisti o di medicina. Il social è un terreno di gioco senza dislivelli dove ha ragione chi urla più forte e chi ha più seguaci a discapito dell’informazione. È un tema di attualità che coinvolge più o meno tutti, tutti noi che vogliamo dire la nostra a tutti i costi e cerchiamo fonti che confermino ciò che già pensiamo. Diciamo che è un tema che ha un suo bel peso ma è stato trattato con la dovuta ironia proprio perché ci riguarda tutti.
Hai dichiarato che Blu è stato il brano in cui hai definito il tuo “personale genere musicale”. Cosa significa per te trovare una voce artistica propria, oggi?
Significa avere personalità, essere riconoscibili, avere un sound che ti rappresenta e ti rende in qualche modo unico. Nel caso specifico abbiamo lavorato molto sui suoni, sulle influenze elettroniche lasciando intatta la vena rock che si sposa perfettamente con i testi serrati, testi che non sono propriamente rap ma sono comunque composti da un gran numero di parole. Avere personalità significa anche non voler piacere per forza a tutti ed uscire dalle logiche commerciali che a mio personale avviso uccidono l’arte standardizzandola, facendo di un brano un prodotto.
Hai calcato palchi importanti, fino alle finali nazionali di Sanremo Rock al Teatro Ariston. Che rapporto hai con il live e cosa cerchi di trasmettere al pubblico durante un concerto?
Il live è tutto!!! È la parte più bella. Hai la risposta diretta del pubblico e puoi percepire le emozioni di chi ti sta guardando ed emozionarti a tua volta. Il palco è un brivido continuo che ti fa sentire vivo. Non voglio trasmettere niente di predefinito, racconto delle storie che vengono dalla sensibilità e dal vissuto di chi ascolta, l’importante è non lasciare indifferenti e offrire al pubblico il proprio punto di vista.
I tuoi brani sembrano spesso dedicati a chi vive ai margini, a chi è invisibile. Cosa ti lega a queste storie e quanto c’è di autobiografico nel tuo racconto artistico?
Ho visto con i miei occhi e toccato le ferite degli invisibili, hanno fatto parte della mia vita, della mia adolescenza, della mia formazione e sono stato a contatto con gente rifiutata dalla società. C’è una ricchezza intangibile in queste persone, hanno storie incise nelle pieghe della mano, hanno occhi nei quali si possono leggere storie vere, urbane, storie di uomini e donne che non conoscono l’umanità, che vivono oltre i confini e tutti dovremmo ascoltarli per renderci conto che molte volte siamo solo più fortunati di altri. C’è tanto di autobiografico sempre, anche quando non vorrei che ci fosse.
Com’è cambiato il tuo modo di fare musica da quando hai iniziato a lavorare con Satellite Rec e la tua attuale band?
Sono cresciuto. La collaborazione è crescita, è amicizia ed è il modo migliore per fare musica. Scambi di idee, visioni diverse che si fondono in un suono e danno vita a qualcosa che prima non esisteva. Ho sempre suonato in delle band, anche adesso che il progetto porta il mio nome siamo una band a tutti gli effetti.
Guardando al futuro cosa ti aspetti per la tua carriera?
Per ora ci stiamo concentrando sul nuovo singolo che accompagnerà l’uscita dell’album. Speriamo di poter fare molti più live e di farci conoscere non attraverso i social ma in concerti e manifestazioni dove la musica è molto più di suoni è parole, è una fusione di anime ed emozioni.
Grazie Ianez e complimenti per la tua carriera artistica!
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