Faith, giovane artista romano, è profondamente legato alla musica punk rock, un genere che ha influenzato le sue produzioni fin dall’infanzia. Attraverso le sue tracce, Faith crea un manifesto di leggerezza e semplicità, ma non nasconde una velata malinconia, riflesso della sua natura riflessiva. Con tenacia e passione, continua a costruire il suo sogno musicale, mantenendo forti i valori di rispetto e autenticità, tipici di un genere che ha sempre rappresentato ribellione e verità. In questa intervista, esploriamo la sua visione artistica e i progetti futuri.


Faith, il punk rock è al cuore del tuo progetto musicale. Cosa ti ha avvicinato a questo genere e cosa rappresenta per te oggi?
Ho scoperto questo genere quando avevo circa dieci anni. Ero in camposcuola e un ragazzo aveva Boulevard of broken dreams come sveglia e, incuriosito, una volta a casa ho approfondito l’intero disco innamorandomi delle sue sonorità: quella canzone è riuscita in qualche modo a toccare delle corde in me che hanno iniziato ad infulenzare il mio carattere e la mia immagine poiché sentivo di appartenere a quel mondo. Negli anni ho cercato di studiare ogni aspetto di questo genere che è diventato una sorta di mantra per me.

La tua musica è un manifesto di leggerezza e semplicità, ma si avverte anche una certa malinconia. Come riesci a bilanciare queste due anime apparentemente opposte nelle tue tracce?
Questo conflitto in realtà è parte integrante della mia quotidianità, perciò se nelle mie tracce si percepisce in maniera così palese è perché esse sono la rappresentazione di come queste due “anime” interagiscono fra di loro. La fase di produzione è per me un puro flusso di coscienza.

Hai iniziato a suonare fin da piccolo. Com’è stato il tuo primo incontro con la musica e in che modo questa passione ha influenzato la tua crescita personale e artistica?
La passione per la musica l’ho ereditata da mio padre. Mi affascinava vederlo tirare fuori le sue emozioni sfogandole in quel modo e ho iniziato già da piccolissimo a sentire il bisogno di farlo anche io. Questo mi ha aiutato ad affrontare le difficoltà che avevo quando ero più piccolo, mi aiutava a capirmi e a volermi bene, cosa che mi è sempre risultata difficile. Auguro a tutti di scoprire se stessi in questo modo.

Nelle tue canzoni si percepisce un pensiero profondo, quasi riflessivo. Quali sono le tematiche che affronti maggiormente nei tuoi testi e come nascono le tue canzoni?
Tutte le mie canzoni nascono solitamente da un motivetto che automaticamente chiama il suo testo, un flusso di coscienza breve ed intenso che poi viene consolidato da un po’ di labor limae. Gli argomenti che tratto più spesso sono l’amore e la ribellione di una vita che a fatica trova i suoi equilibri. Si naviga da un eccesso a un altro e ognuno di questi diventa quasi un’ossessione.

Il punk rock, storicamente, è stato un genere ribelle e anticonformista. Quali valori porti con te nella tua musica e come cerchi di trasmetterli a chi ti ascolta?
Andando contro il pensiero che ha la gente quando si parla di punk rock, la mia bibbia è sempre stata American Idiot e il vangelo è Jesus of Suburbia. Tutti sappiamo che il punk rock nasce nella seconda metà degli anni ’70, ma non è in quell’epoca che trovo le sonorità di cui ho bisogno. Un giorno parlando con un produttore è uscita una definizione che mi ha colpito molto: “punk elegante”. Così ha definito la branca musicale alla quale ho deciso di affiliarmi. In pieno accordo con lui, penso che questa eleganza nella forma sia come un vocabolario forbito: aiuta ad arrivare a più persone possibili, a un pubblico capriccioso e distratto, la cui attenzione può essere carpita (almeno musicalmente) soltanto tramite sonorità ben impostate e curate come fossero figlie.

Hai parlato della malinconia come parte integrante dell’essere umano. In che modo questa sensazione influenza la tua musica e la tua vita?
La malinconia aiuta in realtà. Spesso funge da stimolo per iniziare a muoversi, per iniziare un progetto, dà voglia di redenzione. In fondo se apprezziamo tanto la fugace felicità data dai nostri piccoli successi è perché siamo in un certo senso abituati alla malinconia, all’ansia di non essere abbastanza e al rimpianto di non esserlo mai stato.

Come vedi l’evoluzione del punk rock oggi? Pensi che il genere abbia ancora la stessa forza espressiva di un tempo o è cambiato insieme alla società?
Credo che il messaggio del punk rock sia cambiato drasticamente solo nella forma negli ultimi anni. Insomma, quello di cui si parla è un ideale di anticonformismo e ribellione che viene applicato in base alle necessità storiche dell’arco di tempo che si sceglie di considerare. Si tratta sempre di vivere la propria vita senza vincoli, che nello scorso millennio erano relativi allo stile di vita, oggi magari si limita di più all’apparenza. D’altronde l’apparenza è il più grande mantra dell’era dei social: a nessuno importa più chi sei o come vivi, ma è il contenuto che crei che cattura l’attenzione di cui parlavamo prima.

Nel tuo percorso c’è molta dedizione e perseveranza. Quali sono state le sfide più grandi che hai affrontato finora e come hai trovato la forza di continuare a credere nel tuo sogno?
Ogni volta che si raggiunge un traguardo, dopo un po’ di tempo, viene quasi dato per scontato. Ma mai riuscirò a provare di nuovo la sensazione che mi diede il primo live, il primo brano pubblicato, i primi complimenti, i piccoli contatti che all’inizio sembravano irragiungibili e ora magari sono addirittura considerati amici. Negli ultimi anni a Roma ci siamo conosciuti tutti, abbiamo imparato a rispettarci come artisti e come persone, abbiamo condiviso serate, scritto canzoni insieme, abbiamo riso e pianto per le stesse cause. Credo che sia questo che mi da la forza di portare avanti tutto: la voglia di rivedere le persone con cui condivido la cosa più importante che ho.

In un panorama musicale sempre più complesso, come riesci a mantenere la tua autenticità e a non farti travolgere dalle tendenze del momento?
Di base non ho interesse nei confronti della fama e del successo. Non sono uno che insegue i soldi. Mentre rispondo a queste domande guido una panda del ’99 e vado in giro con le mie solite vecchie converse nere e questo non solo mi mantiene autentico nella musica, ma anche nella vita quotidiana.

Guardando al futuro, cosa sogni per il tuo progetto musicale? C’è un messaggio in particolare che vorresti lasciare a chi ti segue?
Tutti gli artisti sognano Wembley, Woodstock e grandi palchi ovviamente. Il messaggio che voglio lasciare lo trovate semplicemente nelle mie tracce. Buon ascolto!

Grazie Faith per la tua intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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