Francesca Lagatta, nata a Praia a Mare nel 1985, è una giornalista calabrese con una carriera ricca di esperienze nel giornalismo d’inchiesta. Laureata in Scienze della Comunicazione, ha lavorato per numerose testate nazionali e internazionali, e ha fondato la testata giornalistica “La Lince”. Autrice di due libri, “Sanità Organizzata” e “Vite di cristallo”, Francesca continua a indagare e raccontare le verità scomode della sua terra. In questa intervista, esploriamo le sue esperienze, le sfide affrontate e i successi ottenuti nel corso della sua carriera. Da febbraio 2021 collabora con la redazione di “Fanpage.it.
Su Che Intervista ospitiamo Francesca Lagatta, conosciamola meglio…
Benvenuta Francesca, hai iniziato la tua carriera nel giornalismo in Calabria. Quali sono state le esperienze formative più significative durante i tuoi primi anni di attività professionale?
Grazie a voi per l’attenzione riservatami. Ognuna delle esperienze vissute, anche quando sono state brevi o negative, mi hanno lasciato qualcosa di importante. Ma ritengo che la più significativa sia stata quella legata a “La Lince”, il mio blog poi diventato una redazione giornalistica regolarmente iscritta al tribunale, perché è stata quella che mi ha fatto diventare ciò che sono oggi. Venivo da due esperienze disastrose con due diversi quotidiani regionali e dopo tante umiliazioni e bugie avevo anche pensato di lasciare questo mondo, di mollare tutto e tentare altre strade. Era il 2017 ed ero allo stremo delle forze. Ma poi ho pensato che il mio destino non lo avrebbero deciso gli altri e che non mi sarei fatta intimidire dalle difficoltà. Quindi, mi sono buttata a capofitto in questa nuova avventura, che non sapevo dove mi avrebbe portato, ma sapevo che stavolta avrei potuto fare affidamento su me stessa. Qualcuno mi diede della pazza. Mantenere una redazione giornalistica ha dei costi altissimi, non soltanto in temini economici. È una responsabilità, un lavoro che ti impegna per molte ore al giorno e ti lascia poco tempo libero, mentre i guadagni non sono scontati e molto spesso servono per far fronte alle spese legali. Alla fine credo di aver vinto la mia scommessa. “La Lince” mi ha portato ditta a LaC, il network per il quale lavoro da sei anni e che io considero la mia casa. Direi che il mio coraggio è stato ampiamente ripagato.
Hai una lunga esperienza come giornalista di inchiesta, lavorando su tematiche complesse come la mafia e la sanità calabrese. Qual è stata l’inchiesta più difficile che hai affrontato e perché?
Credo che l’inchiesta più difficile che io abbia affrontato sia quella legata alla morte di Santina Adamo, una donna di Rota Greca deceduta per un’emorragia uterina all’ospedale di Cetraro il 17 luglio 2019, poche ore dopo aver dato alla luce il suo secondo figlio. Davanti a una tragedia simile, lavorare in condizioni di lucidità non è semplice. Pensi ai famigliari, ma anche ai medici e ai sanitari coinvolti nella vicenda. Al contempo, sai che il tuo lavoro può in qualche modo fare luce sui fatti e aiutare la verità ad emergere. Sai che devi scavare, andare a fondo, senza guardare in faccia nessuno, seppure nel rispetto del dolore di ognuno. Così, qualche ora dopo il fattaccio, ricostruii l’intera vicenda e pubblicai uno scoop: quella notte in ospedale c’era una sola sacca di sangue a fronte delle quattro necessarie. Riportai fedelmente, documenti alla mano, tutte le tappe della tragedia, riportando finanche i dati della prima richiesta di aiuto da parte dell’ospedale di Cetraro al centro trasfusionale dell’ospedale di Paola, che fu fatta in regime di “urgenza” e non di “emergenza”. Santina spirò alle 6:34 del mattino, negli stessi minuti in cui il corriere tornava all’ospedale di Cetraro con le altre sacche di sangue. Non ci fu il tempo di salvarla. Se ci furono responsabilità per la tragedia, questo lo stabilirà la magistratura, che al momento sta celebrando il processo di secondo grado; ma le nostre inchieste giornalistiche, frutto di un grande lavoro di squadra con tutta la redazione di LaC News24, alzarono un grosso polverone. Si attivarono tutti, finanche il Governo e il Ministero della Salute. Durante una delle tante ispezioni di quel periodo, tornai in ospedale per documentare gli sviluppi della vicenda e fui aggredita da una persona molto vicina a uno dei medici indagati per la morte di Santina, alla presenza di decine di testimoni. Ma non denunciai. Questa persona venne a chiedermi scusa pochi minuti più tardi, mentre mi trovavo al pronto soccorso per gli accertamenti del caso e gli lessi in faccia tutto il suo dispiacere. Capii che era stato il gesto di uomo disperato e che in un certo senso mi riteneva responsabile dell’eco mediatica di quei giorni. Lasciai correre e secondo me feci la cosa giusta. Ad ogni modo, le ispezioni fecero emergere ulteriori criticità organizzative e strutturali del punto nascita, le cui attività furono sospese pochi giorni più tardi. Lo hanno riaperto dopo quasi cinque anni, nel giugno scorso.
Nel 2017 hai fondato la tua agenzia pubblicitaria e la testata giornalistica “La Lince”. Quali sono state le sfide principali nel creare e dirigere una nuova testata giornalistica?
La sfida principale è stata quelle di acquisire sempre più credibilità giornalistica in un progetto partito da zero, dal nulla. Io volevo fare un tipo di giornalismo che avvicinasse i lettori alla notizia, fatto anche di storie e di umanità, che smettesse di essere frettoloso e sensazionalistico e raccontasse fatti e notizie per quel che erano, allontanandomi dal pregiudizio e dall’ottica del clickbaiting, quell’odiosa pratica di scrivere un contenuto online in funzione dei guadagni che questo può generare. In parte ci sono riuscita e di questo ne sono orgogliosa.
Il tuo primo libro, “Sanità Organizzata”, ha riscosso molto successo. Cosa ti ha spinto a raccogliere e pubblicare le tue inchieste sulla sanità calabrese?
In origine, da corrispondete locale dei quotidiani mi occupai della vicenda dell’ospedale di Praia a Mare, un nosocomio civile di confine riconvertito nel 2012 in Casa della salute per via dei tagli imposti dal Piano di Rientro Sanitario Regionale. Cominciai a scrivere dei casi di malasanità dovuti alla carenza di personale e di apparecchiature, scrissi dei cittadini dell’altro Tirreno cosentino morti in strada in attesa dei soccorsi o di quelli che, in mancanza di una rete di urgenza ed emergenza, sono morti per un infarto o un ictus trattati ben oltre i tempi canonici. Ma mi resi conto che conto che la cronaca, da sola, non restituiva un quadro chiaro e preciso dei fatti. Capii che la sanità pubblica celava grossi interessi e quasi sempre questi portavano nel settore della sanità privata. Con la raccolta di inchieste, ho solo unito i “puntini”. “Sanità Organizzata”, opera pubblicata da Falco Editore nel luglio del 2019, alza il velo su ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma che a volte non si vede o non si vuole vedere.
Hai collaborato con diverse testate giornalistiche sia nazionali che internazionali. Come riesci a gestire e mantenere un alto livello di qualità nel tuo lavoro su così tante piattaforme diverse?
Per anni ho lavorato dodici ore al giorno, rinunciando in parte agli affetti, al divertimento, al riposo. Ho spinto al massimo, mossa dalla passione e dalla voglia da fare. Mi sono fatta largo in un mondo controverso, quello del giornalismo, ma al tempo stesso meritocratico, che sa riconoscere la bravura e il talento. Ho cominciato a ricevere richieste di collaborazione da ogni dove, quella da Fanpage.it arrivò nel dicembre 2020, ma non si sono lasciata travolgere dall’entusiasmo e ho sempre scelto con cura i temi da trattare. Ho sempre prediletto la qualità alla quantità. Il lavoro giornalistico implica impegno, ricerca, verifiche e si deve essere predisposti a ciò, bisogna avere sangue freddo e lucidità, in ogni circostanza. Non ci si può concedere errori, altrimenti si perde la credibilità e, dopo tanti sacrifici, questo è un rischio che io non posso permettermi. Fortunatamente, da sei anni faccio stabilmente parte della squadra del network LaC e questo mi permette di sperimentare, di concentrarmi su ambiziosi progetti a lungo termine che mi stimolano e mi permettono di fare al meglio il mio lavoro. Per questo devo dire grazie a un editore lungimirante e coraggioso, Domenico Maduli, e alla direzione generale del network, facente capo a Maria Grazia Falduto, che ci permette di svolgere liberamente e con efficacia l’attività giornalistica, orientata allo sviluppo e alla crescita della Calabria. Un altro grazie va alla direttrice strategica Paola Bottero, che ha portato una ventata di entusiasmo.
Nel 2019 hai iniziato a condurre e a essere autrice del programma “Occhio alla Lince” su LaC Tv. Quali sono stati i momenti più significativi per te durante questa esperienza televisiva?
Di “Occhio alla Lince” abbiamo girato dodici puntate, toccando i temi più disparati: dai veleni ambientali ai senzatetto, passando per la sanità e la malagiustizia. Fu un successo travolgente, che forse nemmeno ci aspettavamo. Ma una mattina del marzo del 2020, appena tre mesi dopo la messa in onda della prima puntata e pochi giorni dopo l’annuncio della pandemia, arrivò la mail in cui mi si comunicava, a malincuore, la sospensione del programma. L’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, aveva appena annunciato l’inizio del primo lockdown e non c’erano più le condizioni per poter lavorare in sicurezza. L’azienda si preoccupò immediatamente di tutelare me, la mia salute e quella dei miei colleghi e dei tanti collaboratori che in quel momento lavoravano al programma. A LaC, dietro ad ogni articolo, ogni servizio, ogni programma, c’è una grande lavoro di squadra, fatto di sinergie. Per me, psicologicamente, fu un colpo durissimo, ma oggi mi rimane il ricordo di un viaggio umano e professionale meraviglioso. E poi chissà, magari un giorno “Occhio alla Lince” tornerà in onda.
Il tuo secondo libro, “Vite di cristallo”, racconta una storia di coraggio e amore. Qual è stata la reazione del pubblico a questo libro e come ti ha influenzato personalmente scrivere questa storia?
“Vite di cristallo”, pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Rubbettino, è stato scritto con l’intenzione di raccontare la storia di coraggio e amore, e aggiungerei speranza, di Anna Cervati e suo figlio, Emanuele De Bonis, che con i suoi 49 anni è stato il malato più anziano al mondo di adrenoleucodistrofia. Se n’è andato pochi giorni prima della pubblicazione del libro, dopo 41 anni di atroci sofferenze. Ma la sua non è la storia di una tragedia, al contrario, è un inno alla vita e al pubblico piace perché emoziona. A me, personalmente, ha cambiato la vita. Oggi mi sento una persona fortunata, privilegiata, ho imparato ad apprezzare ogni secondo della mia esistenza e sto dedicando molto impegno a questo progetto. Voglio che più persone possibili conoscano la loro sofferenza, affinché non sia vana. Abbiamo presentato “Vite di cristallo” in molte località della Calabria e d’Italia, anche a Napoli e Monza, e duranti gli eventi le copie sono andate a ruba, mandando l’opera in ristampa in pochi mesi. “Vite di cristallo”, inoltre, diventerà un film grazie al regista Giovanni Carpanzano, attualmente su Amazon Prime America con il film “Il vuoto”. L’annuncio è arrivato nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta nella sala convegni dell’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro, alla presenza del direttore Virgilio Piccari. Salvo imprevisti, le riprese dovrebbero cominciare a maggio 2025.
Hai vinto numerosi premi e riconoscimenti nel corso della tua carriera. Quale tra questi ha un significato speciale per te e perché?
Non saprei rispondere a questa domanda, nel senso che non c’è un premio che abbia un significato speciale. Lo sono tutti e non è retorica. Ogni riconoscimento è per me un onore immenso e sono grata a tutti coloro che decidono di premiare il mio lavoro, come sono grata a chi, come il portale “cheintervista.it”, decide di dedicarmi il suo spazio. Niente è scontato nella vita. Bisogna essere grati anche delle piccole cose, figuriamoci di quelle grandi.
Nel tuo speciale in due puntate “Diritto negato” per LaC Tv, hai approfondito le controversie della sanità calabrese. Quali sono stati gli sviluppi più importanti emersi da questa inchiesta?
Continuare a parlare di malasanità è necessario, affinché si tenga alta l’attenzione e non ci si “abitui” a questi drammi. Per me e per la mia redazione denunciare la malasanità è una missione, un compito, una responsabilità a cui non ci si può sottrarre. Così, qualche mese fa, ho informato il direttore responsabile di LaC News24, Alessandro Russo, di essere intenzionata a realizzare uno speciale, essendo venuta in possesso di dati e documenti importanti. Chiaramente, ho avuto carta bianca, anche dopo essermi confrontata con la proprietà e aver parlato dei “rischi” che servizi del genere possono portare. Ma l’azienda non ha battuto ciglio, anzi, mi ha messo a disposizione tutti gli strumenti necessari per realizzare l’inchiesta, supportando l’iter dal montaggio alla post-produzione. Insieme al collega Federico Errico abbiamo effettuato due mesi di riprese, scandagliato carte e documenti e raccolto decine di testimonianze, comprese quelle dei pazienti oncologici, restituendo agli spettatori un quadro preciso della condizione dei malati in Calabria, e non solo. Sui social i file delle due puntate sono stati condivisi centinaia di volte, facendo registrare migliaia di visualizzazioni. La gente vuole sapere, ha sete di verità.
Come vedi il futuro del giornalismo d’inchiesta in Italia e quali sono le sfide che i giornalisti dovranno affrontare nei prossimi anni?
Credo che l’inchiesta sia l’ultima speranza per un giornalismo che oggi è spesso allo sbando, l’unica via per sopravvivere al mare magnum di fake news e all’incedere dell’intelligenza artificiale. Puoi lasciare che un computer pubblichi una nota o copi e incolli una notizia di cronaca, ma non puoi sostituire un giornalista che ficca il naso laddove non dovrebbe, che tira fuori audio, video, foto e documenti che i potenti vorrebbero seppellire. Tuttavia, ritengo che presto dovremo dire addio al giornalismo alla vecchia maniera. Credo che i giornalisti del futuro debbano essere “completi”, saper cercare e trovare la notizia, ma anche saper usare gli strumenti tecnologici, saper girare e montare un servizio e farlo in tempi rapidi. Insomma, credo che se si vorrà tenere a bada la “concorrenza” dell’intelligenza artificiale, si dovrà dimostrare di essere all’altezza e di essere un punto di forza per una redazione. Personalmente, non lo ritengo giusto, io sono tra quelli che pensa che il giornalismo fatto bene abbia bisogno di calma e pazienza, ma i tempi cambiano, si evolvono e per sopravvivere è necessario adattarsi.
Grazie Francesca per il tempo che ci hai dedicato e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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