Gio Loreley, la voce dietro il blog “Respiro di Poesia”. Libera professionista nel settore della Formazione, appassionata di Storia, Filosofia e Poesia, Gio ha dedicato la sua vita alla lettura e alla scrittura, partecipando fin da giovane a concorsi letterari e raccogliendo numerosi riconoscimenti. Con una visione personale che unisce il pensiero meditativo al fervore creativo, la sua poesia si evolve da un accento sussurrato a un uragano di riflessione e meditazione. Autrice di diverse raccolte poetiche e attiva nella promozione della cultura, Gio Loreley continua a ispirare lettori e scrittori con la sua sensibilità unica e il suo impegno costante.
a cura di Salvatore Cucinotta
Benvenuta Gio, “Respiro di Poesia” è diventato un punto di riferimento per molti appassionati. Come è nata questa iniziativa e quale è il suo obiettivo principale? Da dove è nato il nome Gio Loreley?
Fra le prime cose, il mio sentito ringraziamento a voi per questa significativa occasione di incontro e condivisione. Il Blog “Respiro di Poesia” nasce da una esigenza di condivisione, di comunicazione e naturalmente dal bisogno primario di “respirare” la parola, in uno scambio di giovamento reciproco tra chi “coglie” il linguaggio poetico e chi lo “ac-coglie”. Sostanzialmente la Poesia è un incontro, è l’incontro più significativo che si possa fare, necessariamente dapprima con sé stessi, poi con l’Altro. ed incontrarsi con la Poesia è come trovarsi senza pelle davanti ad uno specchio infranto e multiforme che rimanda ciò che si è e ciò che è Altro da sé. Ci si avverte come frammentati e frammenti di realtà, di una realtà che ferisce, dissangua ma nel contempo intima quella oscura e struggente necessità di guarigione, la parola poetica diventa dunque taumaturgica. Se a questo Blog si voglia riconoscere una funzione discretiva, mi auspico che sia quella di aprirsi ad un piccolo specchio poetico a cielo aperto e che resti aperto a chiunque voglia riflettersi, ricondurvi-si, ricondurre a sé stessi, per appropriarsi di quell’io lirico narrante, nel tentativo di ricomporlo incontrandosi con l’Altro, nella libertà di essere plurimo, in un processo di “opening” e “blooming”, rivelandosi in quell’amore poetico che si dispiega senza attesa di ricompensa. Quel genere di amore che sta, come la teda ardente sta.
Per quanto concerne il nome, Loreley trae ispirazione dalla leggendaria ondina germanica che ammaliava i naviganti, con il suo canto, facendoli annegare. Loreley fu trasportata in fondo al fiume Reno da un cavallo di schiuma inviatole dal padre per sottrarla alla furia di un uomo che aveva perduto il figlio; raramente risale a galla ma dagli abissi continua a diffondere il suo mitico canto diuturno; il suo spirito è stato visto da Flo, la piccola Robinson, durante una traversata sul Reno mentre la donna accanto a lei intonava il “Die Loreley” il canto di Loreley, la poesia del poeta germanico Heinrich Heine. Naturalmente vi sono implicazioni simboliche, dalla visione poetica come capacità di vedere oltre ciò che appare, alla indiscussa trama immaginifica tra il poeta e il bambino, alla forza evocativa del canto che cela un messaggio oscuro, quid sirenes sint cantare solitae? come Tiberio, morto a Capri, l’isola delle sirene di Ulisse, lo chiese ma nessuno ha trovato la risposta. Il nome Loreley nasce semplicemente da questa metafora.
La tua poesia evolve da un accento apparentemente ingenuo a un uragano riflessivo. Come descriveresti questo processo creativo e cosa lo ispira?
La parola poetica possiede una matrice peculiare, porta in sé una fiamma, un movimento che parte da una visione intropoietica del quotidiano, proprio da quelle cose più insignificanti e banali che poco si prestano all’attenzione di molti, fino a contenuti più elevati; dunque, da quell’accento ingenuo, da quel sussurro dell’Essere, si dipana in pensiero meditante, occasione di riflessione sulle “cose umane” nel flusso incessante dell’esistenza. La parola poetica, oggi, stenta a darsi voce e farsi porta-voce di un messaggio universale poiché è soffocata da una realtà “volatile”; Si avverte una sofferenza del pensare, l’essere umano è risucchiato dalla realtà precaria ed instabile; appare conveniente immergersi in una fragile ricerca della felicità pre-confezionata, nel meccanismo inarrestabile dell’usa-e-getta; l’imperativo è “non pensarci” da soggetti-oggetti massivi, spinti non più a riprogettarsi quanto a ri-piegarsi, a curvarsi su sé stessi, come “narcisi clonati”. Da questa realtà filtrata, come una claymation che fa apparire in movimento ciò che stagna, implode l’uragano riflessivo. Ad esempio, se l’uomo senza qualità di Musil ha delineato l’angosciante ritratto delle contraddizioni della modernità, nella sua profonda lacerazione tra il passato di “ieri” ed i tempi “nuovi” che avanzavano, ci sarebbe da interrogarsi anche sul nascente uomo “antiquato” di impronta andersiana. La poesia come sprone riflessivo su una de-forma-azione del vissuto o del “vissente” se mi è consentito questo termine, per dire di ciò che si vive nel presente: Ostendo ergo sum. La Poesia dovrebbe riportare l’essente alla luce e andare oltre ἰοίην, come energia che re-istituisce un mondo, ri-generando e ri-progettando significati. Un pensiero poetante, in un dialogo incessante che possiede l’essere umano, in forma di appello e risposta, di chiamata-ascolto e la funzione educante del pensiero meditante che si propone come segnaletica verso un senso.
Hai partecipato a numerosi concorsi letterari sin dalla giovane età, ottenendo riconoscimenti importanti. Come hanno influenzato questi successi il tuo percorso artistico?
Sin da ragazzina ho subito il fascino della parola che, unitamente ad una fervida immaginazione, mi facevano sentire come la piccola e avventurosa Flo, in quel misterioso viaggio emotivo dove è possibile imbattersi nello spirito di creature che abitano infiniti mondi possibili e che soltanto lo sguardo di un bambino ne scorge i segreti luoghi e gli spazi. L’infanzia e l’adolescenza restano isole impervie, si cerca di dare una architettura a tutte le visioni, riportarle ad una forma, si cerca il tesoro sotto la sabbia, un modo per gestire la fragilità in un’alchimia emotiva che possa tradursi in richiami, appelli, voci, forse “poesie”. Oggi si rischia di abbandonarsi all’oblio della dimensione immaginativa, come homelessness, in fuga dal paesaggio creativo e dunque come adulti abbiamo una responsabilità, quella di rispondere ad una chiamata, riconfigurandosi come tessitori di emozioni, cercatori di passioni, aspiranti felicitatori in cammino, costruttori di senso, nel senso di un costruire come abitare che si dispiega in un costruire che coltiva, edifica ed coltiva ciò che cresce, meditando sull’abitare heideggeriano come luogo geografico ma anche come fondamento del pensiero. Il pensiero poetante diventa poesia educante, assumendo che c’è una certa poesia anche nella responsabilità.
Da ragazzina ho partecipato a gare letterarie con menzioni, premi, delikatessen che, forse, a quel tempo, rappresentavano un modo per trovare la risposta, un riflesso esistenziale da quegli specchi a cui ho accennato prima; tuttavia, restavano in una dimensione secondaria, astratta, intima che non hanno assolutamente influenzato il mio percorso, tant’è che ci sono state lunghe pause riflessive e distanze silenziose tra me e la penna. Ma l’immaginazione non mi ha mai abbandonata e, probabilmente, proprio come l’ondina in fondo al fiume, il canto silente non era del tutto spento e ne sorrido; so dirle solo che mi è rimasta quella curiosità fantolina che ha sempre qualche domanda di riserva, quando scavo nella filosofia, nella storia, nella letteratura e nelle multiformi risorse che la quotidianità impone costantemente alla mia attenzione.
La tua visione personale della poesia unisce il pensiero meditativo al dogma dell’uomo autentico come erede della Bellezza. Come riesci a coniugare questi elementi nei tuoi componimenti?
Se Lei mi chiede quale sia la mia visione personale della Poesia, non lo so, se non me lo chiede, potrei anche arrischiare una riposta: è Qualcosa; un messaggio intimo, universale come un’impronta sul sentiero del quotidiano; come il cementarsi di un suono, in quel bisogno umano di significare. Il linguaggio è Poesia, nel suo senso essenziale di uno svelare, è una energia che istituisce ed attraversa un mondo e va oltre, la parola poetica diventa il medium tra l’Essere e l’essente. Questo l’ho appreso da Heidegger, ad esempio e, personalmente, mi auguro che la Poesia possa rappresentare quel pensiero educante, che possa condurre all’ampiezza della parola, riconnettendo l’essere umano all’essere-nel-mondo, connesso al passato come memoria, nella storia di tutte le umane vicende, al presente come consapevolezza e al futuro come possibilità, nel tentativo di assurgere a strumento di indagine critico-riflessiva sull’esistenza, preservandola e consegnandone la Bellezza all’uomo, affinché non sopravviva in un copione fotocopiato ma senta la propria storia; il poeta oggi, intingendo l‘anima nell’inchiostro, con tutta l’ampiezza e la profondità di un sentire, dovrebbe interpretare, coniugare, preservare e consegnare il significato di un messaggio, se vogliamo accogliere le profonde intuizioni heideggeriane. Le mie sono semplici riflespressioni, parole riflesse, tolte al silenzio. Ma, paradossalmente, laddove la Parola autentica manca, proprio il Silenzio potrebbe dare una mano alla Bellezza per salvare il mondo.
Sei autrice di diverse raccolte poetiche, tra cui “Isole” e “L’Ultima Rosa d’Inverno”. Quali sono i temi ricorrenti nelle tue opere e come si sono evoluti nel tempo?
I miei componimenti non sono soltanto visioni del quotidiano ma anche di quanto si può incontrare nello studio delle vicende umane e dei pensatori che il mondo ha avuto la fortuna e la sventura di accogliere in seno, dunque i temi ricorrenti sono quelli di tutti e di sempre: tutto ciò che si rivela costantemente allo sguardo esteriore ed interiore, considerando che, suppongo, noi esseri umani, siamo molto di più di uno sguardo “distratto” tra le cose, sarebbe sufficiente considerare che tutte le cose hanno e danno “senso” a partire ed in vista dell’estrema ed inevitabile possibilità che è la morte e del suo complementare che è la vita, i temi di imperituro busillis.
La poesia diventa una “ruga per chi pensa” e uno “slancio che coglie spicchi di essenza”. Puoi approfondire questa metafora e spiegare come la poesia svolge questa funzione nella tua vita e nel tuo lavoro?
Come già espresso, bisognerebbe sapere di preciso che cosa è la Poesia, me la ritrovo tra le mani, come una cascata d’acqua da una fonte indicibile, riesco a trattenerla per poco perché cade sul terreno e spuntano germogli di bellezza ma anche di bruttura, speranza, “oltranza” perché è “oltre” che potremmo raccogliere qualche fiore, frutto o sterpaglia. Questo non lo posso prevedere ma credo che il mondo sia uno sterminato campo di terra su cui spuntano alberi, strade, case, si aprono varchi che diventano fiumi, abissi di oceani, stelle vaganti che a volte cadono o restano fisse, chissà dove. Un poeta non fa che immergersi in questo “limo poetico”, architettando orizzonti futuri. Fin qui ho tentato di rispondere, provo ad immaginare che la poesia possa coniugarsi con il pensiero meditante in quanto assume quella forma di sprone riflessivo, tentativo di ri-disvelamento che coglie in uno slancio incessante i caleidoscopici frammenti di realtà. Un pensiero meditante-educante che si dipana come un filo rosso anche nella trama di esistenze in fieri, delle visioni intropoietiche del quotidiano.
Come blogger di “Respiro di Poesia”, quali sono le sfide e le soddisfazioni nel gestire uno spazio dedicato alla diffusione della poesia contemporanea?
All’occhio vigile di un Orfeo nulla sfugge e sa bene che tutto subisce un costante cambiamento; il mio Blog è semplicemente un luogo di ritrovo per coloro che credono ancora nel potere della parola poetica, nella sua potenziale taumaturgia, nella forza della poesia come valore e nel suo incessante cammino che solca sentieri sotterranei e può sfociare liberamente nell’oceano della consapevolezza di sé e della profonda consapevolezza del valore dell’Esser-ci.
Lei la chiama poesia contemporanea, io la definisco semplicemente esistenza da raccogliere, in ogni fibra del cosmo, oltre lo spazio e il tempo, e da redistribuire.
La tua passione per la storia e la filosofia si riflette nelle tue poesie? In che modo questi campi di studio influenzano il tuo linguaggio poetico?
Se si vuole riconoscere alla Poesia una matrice educante bisogna ricondursi alle vicende umane incistate nelle innumerabili e complesse pagine della Storia, fronteggiarle con il pensiero critico che la filosofia offre e che conduce oltre gli eventi, animando nuove prospettive di interpretazione della realtà. D’altronde Heidegger riteneva i poeti dei pensatori essenziali e per il quale l’autentica filosofia deve esprimersi in poesia; i poeti vedono più degli altri e la filosofia ci apre alla radicalità della poesia.
Qual è il riconoscimento che più ti ha toccato e perché?
Non considero riconoscimenti particolarmente toccanti se non l’attenzione di coloro che si approcciano ai miei scritti con sincera curiosità, capaci di innescare quel movimento emotivo, empatico che ci conduce all’essenziale e, in quell’istante, ci si coglie come essenza dell’essere nel mondo; un “noi” che non è di passaggio ma diventa “il passaggio”, come la strada è in virtù del cammino, non solo quegli alberi o quelle nuvole e tutto ciò in cui siamo immersi, ma chi si fa strada con te. Dunque, per me, il riconoscimento sovrano si attua in questa alchimia fruttuosa con chi ri-accoglie la parola poetica, consentendole di effondersi in un “incrocio”, poiché, senza l’Altro, la parola poetica non avrebbe occasione di essere.
Guardando al futuro, quali progetti hai in cantiere e come intendi continuare a contribuire al panorama poetico e culturale italiano?
La Poesia vive di una attenzione all’attimo che si eternizza nella parola e per me il futuro è questo presente eternizzato, scrivo semplicemente ciò che mi si rivela allo sguardo intimus e a ciò che emerge dall’ipogeo del creato. Una Poesia del futuro mi appare sofferente; la parola poetica, per quanto possa sorgere come una venere dall’enigma dell’esistenza, stenta a farsi voce di un messaggio universalizzante nell’epoca proteiforme dei mutaforma; persevero nello sperare, come il poeta Walt Withman ci ricorda che “il potente spettacolo continua e tu puoi contribuire con un verso”. Serve molto tempo per formulare una risposta.
Grazie per il tempo che mi è stato generosamente dedicato.
Gio Loreley
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