Su Che Intervista! conosciamo meglio Martino Ciano…
Martino, ci racconti come la tua infanzia ha influenzato la tua sensibilità e la tua decisione di diventare quasi vegetariano?
Con un padre macellaio o abbracci quel mestiere, oppure fai qualcosa di diametralmente opposto. Seppur apprezzando l’arte e la sapienza di mio padre ho seguito la seconda opzione. Per dirla con ironia, la frequentazione della sua macelleria mi è servita per interrogarmi di più sull’essenza invisibile che alberga negli esseri viventi, visto che fin da bambino sapevo bene cosa ci fosse nei corpi.
Hai detto che non eri molto bravo a scuola, ma poi ti sei appassionato alla lettura e alla filosofia a 17 anni. Cosa ha scatenato questa passione improvvisa?
Dalle mie esperienze scolastiche, ho compreso che mi è mancato per molto tempo chi mi stimolasse. Il merito del mio cambiamento va a due docenti, Maria Iaria e Anna Maiorana. Loro erano due professoresse alle prime armi, noi eravamo studenti di una classe dell’Istituto Professionale per il Commercio con grosse lacune in storia e letteratura, vittime del gioco delle supplenze, di cui ancora oggi sentiamo parlare. Dovevano renderci “studenti dignitosi” in vista dell’esame di Stato; ebbene, il loro modo di fare, di divulgare e di appassionarmi alla materia, trattando argomenti che non erano neanche in programma, mi ha spalancato un mondo, oltre a far breccia nella mia innata curiosità.
Come è stata la tua esperienza all’Università “La Sapienza” di Roma, e in che modo il tuo percorso in Scienze Storiche ha influenzato la tua carriera di scrittore e giornalista?
Be’ come dicevo prima, i semi sono stati gettati in quegli ultimi due anni di scuola superiore. Da lì in poi la mia casa ha iniziato a riempirsi di libri. Ho letto le opere dei filosofi, senza capirci nulla, facendomi una mia idea; poi le ho rilette, poi ho deciso di seguire un percorso specifico all’Università. Le mie giornate sono passate tra lavoro, studio e pellegrinaggi notturni. Per me Roma è stato sinonimo di “camminare”. Ho percorso chilometri e chilometri senza sapere dove andassi, ma solo perché mi perdevo nei miei ragionamenti. Cazzate, sia ben chiaro. Tutte cazzate, ma credo che siano stati i miei veri momenti formativi.
Puoi parlarci della tua evoluzione da ragioniere in formazione a giornalista pubblicista e direttore responsabile della testata giornalistica “Digiesse News”?
Tutto è avvenuto in maniera naturale. Volevo continuare a rispondere a dei “perché” e il giornalismo mi permette di farlo.
Come riesci a conciliare la tua carriera giornalistica con la tua passione per la lettura e la scrittura?
Comporta sacrifici, ma non so farne a meno. Trovo ogni giorno il tempo per leggere, perché io sono prima di tutto un “lettore”. Posso fare a meno di scrivere, non penso che per andare avanti il mondo abbia bisogno dei miei pensieri quotidiani. Dall’altra, non potrei mai fare a meno di leggere.
I tuoi tre libri pubblicati, “Zeig”, “Oltrepassare” e “Itinerario della mente verso Thomas Bernhard”, trattano temi molto diversi. Quali sono state le principali ispirazioni dietro ciascuno di questi lavori?
La principale fonte di ispirazione è sempre la realtà, ossia l’esperienza; poi, viene fuori “l’interpretazione dell’esperienza”, quindi quella “scienza dell’opinione” che tutti noi, ogni sacrosanto giorno, usiamo per sopravvivere in un mondo che, dopotutto, se ne frega di noi e che potrebbe fare a meno di ognuno di noi.
Qual è il “gioco con i libri” che hai menzionato e come questo concetto ha plasmato il tuo approccio alla scrittura e alla lettura?
Giocare è la cosa più seria che si possa fare. Per me, ogni libro che apro innesca un gioco con i miei limiti, in favore di una visione altrui. Un libro è prima di tutto questo: qualcosa che prima non conoscevi, anche se ti sembra banale.
Puoi raccontarci qualcosa di più sulla tua pagina Facebook “Border Liber” e sul tipo di contenuti che i lettori possono aspettarsi di trovare lì?
BorderLiber è il mio gioco preferito. Si parla di letteratura, filosofia, visioni alternative. Lo presento come il regno della spensieratezza: “Essere spensierati vuol dire scrivere delle cose in maniera intuitiva, senza mai dimenticare l’approfondimento o lo studio, l’importante è essere consapevoli che non tocca a noi cambiare del tutto le cose. Non serve imporre il proprio punto di vista, semplicemente basta comunicarlo, anche perché esiste un’incolmabile discrepanza tra l’oggettività e la soggettività, a patto che l’oggettività esista per davvero. Essere spensierati vuol dire accettare gli eventi e le opinioni, pur avendo un ruolo attivo. L’importante è non cadere nella presunzione e nei deliri di onnipotenza. Preferiamo penetrare nella realtà, pur restandone distaccati. Essere spensierati vuol dire non caricarsi di pensieri auto-celebrativi ed egoistici. L’ego uccide, talvolta porta anche al suicidio. Noi siamo per la vita, per la cultura, per la critica, per la lettura. Prima di essere scrittori o compilatori di fogli bianchi, noi siamo inguaribili lettori”.
In qualità di direttore di “Digiesse News”, quale ritieni sia il ruolo del giornalismo oggi e come vedi il futuro dell’informazione?
Il giornalismo oggi deve soddisfare troppi “Ego”, quello dei padroni e quello degli stessi giornalisti. A me hanno sempre detto che il giornalista sta dietro la notizia. Invece, tutto diventa sensazionale, magnifico evento, imperdibile appuntamento. Sono convinto però che le cose buone restano e vincono: bisogna sopportare il peso della momentanea marginalità e non lasciarsi affascinare dalla vanagloria. Questo mi ha permesso di guadagnarne in libertà.
Quali consigli daresti ai giovani scrittori e giornalisti che cercano di emergere in un mondo sempre più competitivo e digitale?
Solo uno, leggere; poi, bisogna affidarsi alla propria curiosità. Di tutto il resto se ne può fare a meno, per quanto allettante, è solo uno specchietto per allodole.
Grazie Martino per la tua interessante intervista!
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