Massimiliano Rotti è l’autore di “Calcare, Cronache da Nordest”, un romanzo urbano di periferia edito da Bookabook di Milano e uscito il 12 ottobre 2023. Ambientato nella Trieste degli anni ’80 e ’90, il libro racconta le vicende di Gianca, Alan, Sandro e Caio, quattro giovani cresciuti nei quartieri popolari, alle prese con una vita difficile e la ricerca costante di qualcosa che manca come l’aria. Il romanzo ha riscosso un grande successo di pubblico e critica, con la seconda edizione esaurita a soli quattro mesi dall’uscita, nonostante la scarsa promozione. Attraverso un racconto crudo e vibrante, Rotti dipinge un affresco potente della sua generazione, dove la musica metal diventa un simbolo di ribellione e speranza.
Su Che! Intervista ospitiamo Massimiliano Rotti, conosciamolo meglio…
Benvenuto Massimiliano, il tuo libro “Calcare, Cronache da Nordest” ha riscosso un grande successo di pubblico e critica. Cosa pensi abbia colpito maggiormente i lettori di questa storia ambientata nella Trieste degli anni ’80 e ’90?
E’ un piccolo progetto editoriale, ma nonostante ciò, è stato letto da molte più persone di quelle che mi sarei aspettato. Non ci sono molti fronzoli, aggettivi, avverbi, pronomi. Parla la lingua della strada, semplice, imparziale, senza prendere mai la parte di nessuno.
La cosa più bella di questa esperienza è stata ricevere i tanti messaggi di coloro che lo hanno letto. Mi ringraziano di averlo scritto, mi dicono che ci hanno trovato qualcosa del loro passato che li ha fatti ritornare ai tempi in cui erano tutti qualcosa d’altro. Mi dicono di averlo regalato ad amici e parenti, di essersi appassionati, di aver riso tanto e qualcuno anche di averlo letto due volte, come fosse un best seller. Più parlo con le persone e più scopro che Calcare e un romanzo in cui il lettore ci lascia un pezzo di vita dentro e questa non può essere che la mia più grande soddisfazione.
Puoi raccontarci cosa ti ha ispirato a scrivere questo romanzo urbano di periferia e quali esperienze personali hanno influenzato la tua narrazione?
Calcare parla delle mie origini culturali, del luogo dove sono nato e cresciuto, una città che al tempo era attraversata da una profonda crisi economica e sociale.
Non era facile per un giovane crescere a Trieste in quegli anni, dovevi farti valere e io non ero molto portato. Ma seguivo la massa, come tutti, ci provavo certo, anche se con scarsi risultati.
L’alternativa era non esistere, non essere preso in considerazione, il che a quell’età, equivale a morire.
Sembrerà incredibile, ma l’idea di scrivere il romanzo mi è venuta mentre stavo vivendo uno degli episodi narrati, forse il più forte emotivamente. Me lo ricordo come fosse ieri. Erano le otto di una domenica mattina, ero davanti ad un bar latteria appena aperta, una di quelle con le perline che dondolano davanti alla porta. Ero in compagnia di molte persone ed eravamo tutti la fine di una nottata in cui era successo di tutto. In quel momento, guardando un ambulanza che spariva in direzione dell’ospedale mi sono detto; qualcuno prima o poi dovrà pur scrivere tutto questo.
Dopo trentacinque anni, visto che nessuno lo faceva, l’ho fatto io.
I protagonisti del tuo libro, Gianca, Alan, Sandro e Caio, vivono una realtà difficile e piena di rabbia. Come hai sviluppato i loro personaggi e quale messaggio vuoi trasmettere attraverso le loro storie?
I personaggi sono quattro ragazzi non molto diversi da altri ragazzi in qualsiasi altra città d’Italia, Vivono nei quartieri popolari, hanno sogni, speranze e voglia di riscatto, ma in realtà non fanno nulla per cambiare. Per Caio, Alan, Gianca e Sandro mi sono ispirato a persone realmente esistite. Hanno tutti caratteri molto diversi tra di loro e rappresentano quattro punti di vista della medesima situazione, quattro modi di affrontare i problemi. Ma la rabbia sicuramente è il tema che li accomuna tutti.
La rabbia buona, quella che ti fa fare quello che vuoi fare e la rabbia cattiva che ti fa fare quello che non vuoi fare. Ma c’è anche la rabbia che si cova in famiglia, che si trasmette di padre in figlio come fosse un eredità.
E la rabbia che si crea dalla differenza che intercorre tra quello che si sogna di essere e ciò che invece la società ci riconosce. Quando questa differenza risulta eccessiva da sopportare bisogna sfogarla in qualche modo.
Ma non esiste una morale, la narrazione non ha un giudizio critico.
Ogni lettore che vorrà avvicinarsi a Calcare potrà giudicare secondo il proprio retaggio culturale, cosa sia stato giusto e cosa lo sia stato meno. Per questo il messaggio alla fine, diventa molto soggettivo.
La musica metal è un elemento centrale nel tuo romanzo. Che ruolo ha giocato nella tua vita e perché hai scelto di inserirla come possibile via di riscatto per i tuoi personaggi?
La musica rock accompagna tutte le vicende dei protagonisti, come fosse una colonna sonora. I titoli dei capitoli sono titoli di canzoni, scelte per epoca e argomento, che diventano quindi titoli a tutti gli effetti. Per chi lo desidera poi, nella penultima di copertina si può scannerizzare un QR code dal quale scaricare la compilation con tutti i brani.
Ci tengo a precisare che Calcare non è un romanzo musicale, la musica è sempre presente ma è solo un accompagnamento, un sottofondo come fosse una nemesi. Qualcosa che accomuna i personaggi tra di loro, e rappresenta l’unico riscatto possibile.
Non è stata sicuramente una scelta artistica personale, diciamo che in quegli anni a Trieste o eri rock o non eri niente.
Trieste emerge come un personaggio a sé stante nel tuo libro. In che modo la città e il suo ambiente hanno influenzato la trama e l’atmosfera del romanzo?
Trieste è una città molto particolare sulla quale si è scritto tanto. E’ stata al centro di due guerre mondiali, dopo essere stata il porto franco dell’Impero Austroungarico per più di quattrocento anni. C’erano cento teatri, cento testate giornalistiche e chiese di tutte le religioni, ci avevano vissuto i migliori artisti del mondo, ovunque ti giri, trovi qualcosa da ammirare, basta camminare per il centro e guardare in alto.
La città è descritta da più angolazioni ma è sopratutto presente come anima, qualcosa che respira, si muove. Entra nel cuore e per i triestini è una magia dalla quale non riescono a stare senza. Tutti dicono che vogliono fuggire ma poi alla fine, non se ne va mai nessuno.
Hai avuto un grande successo di vendite senza molta promozione. A cosa attribuisci questo risultato e come pensi che il passaparola abbia contribuito al successo del tuo libro?
E’ un romanzo generazionale ambientato in un territorio specifico. Evoca un un periodo particolare nel quale i lettori si immedesimano. Un mondo realmente esistito che ha creato conflitti generazionali ma che rischia di essere dimenticato. Questo credo sia stata la spinta che ha avuto in questi mesi il romanzo, perché parla a molte persone diverse, anche a chi non ha condiviso quegli anni. Ci ha messo qualche tempo a decollare, è stato lento, ma poi i risultati sono arrivati e questo non posso che attribuirlo al passaparola dei lettori. Non credo che un romanzo sia paragonabile ad un prodotto commerciale, ovviamente si vende e si compra e qualcuno ci guadagna ( solitamente, il libraio, l’editore, il pubblicitario, lo stampatore, il grafico, l’organizzatore di eventi e l’autore che mette in moto tutto questo è l’unico che si accontenta della gloria), ma non può essere simile a niente altro che si trovi su uno scaffale di un negozio. Un romanzo è come l’aspirina, si compera per necessità, quando serve, qualcosa che fa effetto al bisogno. Credo sia molto più efficace la recensione di un lettore entusiasta che ne parla ad un amico, piuttosto che una pubblicità asettica che non dice nulla. Calcare non sarà mai un libro ad alta rotazione, non si troverà sempre e ovunque, non è per tutti e se vi interessa cercatelo, perché scomparirà presto. Coloro che lo leggono, lo amano e poi lo fanno conoscere e questo mi piace molto. Forse tanta fatica non è andata sprecata.
“Calcare, Cronache da Nordest” ha ricevuto critiche positive. Qual è stata la reazione che ti ha colpito di più tra quelle dei lettori o dei critici?
Le critiche positive sono arrivate da molti lettori, quelle belle, studiate, pensate con le parole giuste, quelle che ti cambiano la giornata. Ogni tanto me le rileggo. Sono su Amazon.
Per le critiche autorevoli invece me ne posso permettere poche. In fondo è un romanzo di nicchia e viene trattato come tale.
Ho usato un modo diverso di raccontare rispetto al classico, utilizzando molto i dialoghi diretti per fare avanzare la storia e dando precedenza più alla realtà e alle sensazioni. Il ritmo delle vicende è incalzante, raccontato ad immagini, quasi fosse un film, o una serie televisiva. E’ molto adatto anche ai non lettori o chi legge poco, ma questa commistione di intenti non credo sia molto apprezzata dagli addetti ai lavori. Comunque, per ora, nessuno ne ha mai parlato male e questo è già qualcosa.
Il romanzo descrive situazioni di grande difficoltà e disperazione. Come sei riuscito a mantenere un equilibrio tra la cruda realtà dei tuoi personaggi e la speranza che emerge nel racconto?
Molti mi dicono che nonostante faccia ridere, in fondo sia un romanzo triste.
Diciamo che un romanzo crudo che non ha un finale di quelli epocali, dove tutto finisce bene.
E’ intriso di malinconia, quella che si avverte quando arriva il tempo in cui qualcosa ti sfugge dalle mani. Alla fine è vero, ti lascia l’amaro in bocca.
L’ultima parte del romanzo è ambientata nel 2018, nel intreccio succede qualcosa di inimmaginabile che riunisce i protagonisti dopo molti anni. Non sono più ragazzi, tutto è cambiato, quello che credevano non esiste più e nemmeno quello che speravano. Sanno che si diventa vecchi, certo, è la natura, a tutti succede, ma non riescono a credere che sia successo a loro.
La verità è che i protagonisti non sono degli eroi, nessuno vince nulla, non esiste il primo classificato, il migliore ma sono reali, vivono le loro vite. Sono mediocri, contraddittori, aspirano a qualcosa di impossibile e hanno ferite chiuse nel cassetto. Persone come tante che nella vita hanno sperato e alla fine, a volte, hanno perso. Ma vanno avanti e non si fermano. I feriti vaganti, comunque vada a finire, la gente comune.
Hai già altri progetti letterari in cantiere? Puoi darci qualche anticipazione su cosa possiamo aspettarci dai tuoi prossimi lavori?
Ho appena terminato un romanzo breve ad episodi. Sono quattro storie, che pur essendo autosufficienti, presentano molte similitudini tra di loro. Affrontano quattro diversi temi sociali e sono abbastanza forti come effetto emotivo. Vorrei segnalarlo in copertina in modo che non ci siano spiacevoli conseguenze. Quando una storia ti entra nella testa non ne esce più, questo è il rischio e non vorrei rovinare la giornata a nessuno.
Il titolo provvisorio è “ Mi senti? “ legato al concetto di incomunicabilità tra le persone, nonostante lo sviluppo spasmodico dei mezzi di comunicazione via internet.
Attualmente invece, sto lavorando ad un altro romanzo, ma sono ancora in cantiere e la chiusura dei lavori al momento non è preventivabile.
Che consiglio daresti agli scrittori emergenti che desiderano raccontare storie autentiche e coinvolgenti come hai fatto tu in “Calcare, Cronache da Nordest”?
Dunque, non so se sono in grado di dare consigli, posso solo dire ciò che ho fatto io. Secondo me, per un romanzo di un esordiente, una cosa saggia è parlare delle proprie origini e del proprio territorio, potrebbe aiutare a coinvolgere chi scrive e anche chi legge. Magari anche prediligere inizialmente uno stile essenziale, con pochi fronzoli, bisogna lasciare parlare la storia, se l’autore si mette in primo piano, e magari non ne è in grado, salta tutto. Potrebbe essere molto frustrante. Ci vuole equilibrio e bisogna cercarlo continuamente per creare un atmosfera, qualcosa in cui il lettore possa ritrovarsi, ma anche lasciarlo immaginare a modo suo. Deve trovarci qualcosa che conosce e allo stesso tempo qualcosa che lo sorprende, ordinario e straordinario vanno sempre insieme.
Per il resto, ogni romanzo ha una sua storia e ogni scrittore ha trovato il modo di svilupparla. Ci sono gli strumenti per fare questo, i ferri del mestiere, i trucchetti che incidono sulle emozioni ma bisogna studiare per capire quelli che funzionano meglio e quelli che sono più adatti al nostro stile. Il romanzo è un flusso di informazioni che deve decollare, con ritmi che cambiano di continuo, che evolvono. Lo scrittore che gestisce questi flussi è paragonabile ad un Dj che mixa le varie tracce che ha a disposizione. Quelle che conosce meglio, quelle che gli piacciono funzionano, ma più dischi si mettono sul piatto e più possibilità ci sono che la gente balli.
Ultima cosa importante che mi sento di dire, il romanzo deve essere sempre un esigenza, non una passeggiata, deve essere qualcosa che non si poteva fare a meno di fare, questo è quello che cambia tutto. Le ragioni per scrivere devono venire da dentro.
Posso consigliare un testo di un grande scrittore che spiega tutto molto meglio di me. E’ un libro edito da Mondadori Strade Blu, scritto da Chuck Palahniuk; “Tieni Presente Che. Momenti nella mia vita di scrittore che hanno cambiato tutto.” Molto utile per ogni scrittore o aspirante tale.
Infine ringrazio chi ha avuto il piacere di arrivare a leggere fino a qui e faccio i miei complimenti per le ottime domande formulate che hanno reso il mio compito molto più semplice
Grazie ancora.
Grazie a te Massimiliano per la tua intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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