Su Che Intervista conosciamo Silversnake Michelle…
Ciao Michelle, il tuo nome d’arte è molto particolare e affascinante. Come è nato e cosa rappresenta per te?
«Ogni grande storia sembra iniziare con un serpente.» (Nicolas Cage)
Mi piace citare questa frase. Racchiude l’essenza della mia vision. Silversnake è il nome che ho scelto per il mio alter ego. Il Silver, l’argento, è un colore che rappresenta la Luna, la sua femminilità e i suoi misteri. E Snake, il serpente, rappresenta il duale. Il peccato, la trasgressione, ma anche il cambiamento e la rinascita. Il cambio pelle rappresenta il nostro modo di essere. E artisticamente significa non legarsi troppo ad uno stile, ma lasciare fluire la metamorfosi.
Hai iniziato la tua formazione teatrale nel 1992. Come è stata la tua esperienza di studio al Teatro Nuovo di Torino e successivamente al Tangram Teatro?
Lo studio del teatro non è così banale, come si potrebbe pensare.
Si deve entrare nel profondo di noi stessi.
Mettersi in gioco. Tirare fuori le proprie emozioni da mettere dentro i tuoi personaggi.
Non si recita. Si è. (il metodo Stanislavskij alla base dello studio del personaggio)
Ricordo che un mio amico smise, perchè si sentiva a disagio nel fare teatro danza. Doveva imitare degli animali e aveva la remora di sentirsi ridicolo. Non si lasciava andare. Io mi sentivo libera di fare uscire quel lato che invece la società sopprime. Quella follia che ti permette di uscire fuori dalle righe e dagli schemi.
A teatro Nuovo facevamo più teatro dell’assurdo (Pinter, Tardieu , Ionesco). Al teatro Tangram studiavamo i classici.
Hai interpretato ruoli molto diversi tra loro, da Lady Macbeth a Puck il Folletto. Qual è stato il ruolo più sfidante e perché?
Il ruolo più difficile è sempre quello che ti rispecchia meno.
Ho adorato immediatamente ruoli come Lady Macbeth, come Camille Claudel, Medea in cui veniva fuori il lato più sensuale, oscuro e folle. Sono personaggi complessi dalla personalità complicata. Apparentemente crudeli ed efferati, ma che dentro hanno tanto dolore e rabbia che muove le loro scelte e le loro azioni. Il ruolo più sfidante invece è stato Puck il folletto. Non mi piaceva il taglio che il regista voleva dare al personaggio. Troppo giocoso e infantile. Ho fatto fatica ad entrare dentro il personaggio, ma poi ho trovato il mio stile e il modo per trovare la mia parte più leggera. Alla fine ho scoperto aspetti di me stessa che non conoscevo.
Hai anche lavorato in cortometraggi. Com’è stata la tua esperienza sul set di “Risveglio” e come si differenzia il lavoro cinematografico da quello teatrale?
“Risveglio” è stato un cortometraggio a sfondo sociale. Abbiamo girato il giorno di Natale del 2000.
Ero la protagonista assoluta del film. Per cui eravamo io e i due registi, Simone Montanari e Chiara Moraglio. L’atmosfera era tranquilla e mi sentivo a mio agio. E’ stato istruttivo per confrontarmi con una recitazione alquanto diversa, ma non meno espressiva, di quella teatrale.
Lavorare cinematograficamente e teatralmente è molto diverso.
Nel primo caso è tutto più naturale, meno enfatico. I movimenti meno ampi. La voce non impostata.
Le espressioni del viso più intense, ma non esagerate. Il teatro è più ridondante nei movimenti, ma la bellezza è che non c’è il filtro del video. E’ meno costruito. Buona la prima, mentre nel cinema la scena si ripete fino a che non è perfetta. Sei a stretto contatto con la tua platea, la comunicazione è immediata.
L’aria si densifica immediatamente di emozioni e in qualche modo è anche il pubblico che plasma il personaggio a seconda della sua risposta emotiva.
Nonostante la tua carriera artistica, hai anche completato gli studi in giurisprudenza e ti sei abilitata come avvocato. Come sei riuscita a conciliare queste due carriere così diverse?
Ho messo da parte il teatro per un certo periodo per completare gli studi. Diciamo pure che mia mamma mi ha messo molto sotto pressione. Ai tempi l’ho detestata per questo. Oggi invece la ringrazio con tutta me stessa. Avere una cultura è molto importante (al di là del pezzo di carta!) e utile in un mondo molto competitivo come quello artistico.
Nel 2011 hai seguito la formazione corale a Milano. Come ha influenzato questo la tua carriera musicale?
L’esperienza nel coro è stata molto formativa. Ho ripreso lo studio della teoria musicale e ho affinato moltissimo l’ascolto. Ho capito che dovevo studiare canto anche con un insegnante per arrivare a fare certe note in modo agevole e da non rovinare le corde vocali. La tecnica serve per poi migliorare l’espressione. Se hai un talento naturale va coltivato e implementato. Mi ha insegnato a tener duro, andare avanti nonostante le critiche e le difficoltà, a uscire dalla zona di confort, a sfidare continuamente me stessa attraverso la musica.
Nel 2014 hai pubblicato il tuo primo album “So in my mind”. Come è stato il processo di creazione e produzione di questo album e come hai sentito il riscontro del pubblico?
Tutto è partito come percorso di guarigione.
Era un periodo che non stavo bene. Mi sentivo a disagio e ho inizato a guardare dentro di me. Una volta aperto il mio vaso di Pandora mi sono sentita come una pallina su un piano inclinato. Non potevo più fermare il processo.
Ho iniziato a scrivere un brano e un mio amico chitarrista, Dario Arena, lo ha arrangiato. Mi disse di proseguire a scrivere. E così feci. Coinvolgemmo altri musicisti negli arrangiamenti, Daniele Marchetti, Stefano Stranges.
La scrittura di quell’album era molto poetica. Scrivevo di getto. Vomitavo il mio non-detto. Nel mentre mi trasformavo e senza accorgermene Silversnake stava già facendo la prima muta.
Sono molto affezionata a “So in my mind”, perchè è stato l’album del coraggio Della rinascita.
E’ stato l’album selezionato negli USA e mi ha fatto cambiare strada, lasciando al passato le vecchie credenze e sovrastrutture e costruendo una me stessa più vicina alla verità.
Hai avuto l’opportunità di esibirti negli USA nel 2014. Cosa ricordi di quell’esperienza e come ha influenzato la tua carriera internazionale?
Nel 2014 la canzone UNDER MY PENCIL è stata selezionata e mi ha permesso di fare un concerto negli USA. Mi ha seguito solo Daniele Marchetti, polistrumentista che collabora con me.
Il resto della band con musicisti locali. Esperienza fantastica, divertente e soprattutto mi ha allontanata dal concetto di musica che abbiamo in Italia. Troppo provinciale.
Negli Usa la musica è una professione.
L’artista viene accolto con grande rispetto e curiosità. Loro fanno una grande distinzione tra artista, compositore e musicista. Hanno ruoli diversi e complementari. Qui in Italia invece sono tutti artisti.
Nulla di più errato.
Questa vision me la sono portata dentro e mi permette ogni giorno di essere me stessa, e di non cedere a determinati compromessi per raggiungere la popolarità. All’artista interessa solo l’immortalità del suo messaggio.
Il video musicale di “I Marry My Pain” ha vinto il premio come Miglior Video Musicale al Switzerland International Film Festival di Losanna nel 2018. Quali emozioni hai provato e quanto è stato importante per te questo riconoscimento?
Sono fiera del lavoro fatto e di tutta la mia squadra. Abbiamo lavorato molto su ogni aspetto del video.
Sono stata molto contenta del riconoscimento, poichè mi fa capire che la mia arte e il mio messaggio hanno raggiunto emotivamente qualcuno. Per un artista è sufficiente commuovere o toccare le corde di una sola persona. E ha già vinto.
Il tuo ultimo album “IN THE ETERNAL ECHO” è stato anticipato dal singolo “DANCING BLIND”. Puoi parlarci del tema e delle ispirazioni dietro questo nuovo lavoro?
L’eco eterna è un modo di percepire la nostra esistenza. Come se fossimo nati un numero indefinito di volte, ma ripercorrendo all’infinito sempre le nostre stesse vite. Incastrati nell’eco del nostro anno di nascita e di morte. Per sempre.
In ogni lavoro il tema cruciale è il dualismo. Bianco e nero.
In questo lavoro il colore bianco prende il sopravvento. Anche nella parte figurativa di costruzione della coverart.
E’ un colore che ha una “buona reputazione”, ma che nasconde un velo di confusione, di nebbia. Che acceca e confonde le intenzioni.
Il bianco è una sfumatura soffocante e invadente.
Ha quel velo di purezza e freschezza che tenta sempre di accecarci e nascondere la sua violenza.
Il lavoro è stato anticipato dal singolo DANCING BLIND, il cui videoclip ha ricevuto numerosi riconoscimenti ed è stato finalista al Mediterraneo corto Film Festival 2024 di Scalea.
Grazie Silversnake per la tua interessante intervista! Tienici aggiornati sui tuoi impegni artisti futuri! Alla prossima! Continua a seguirci su Che Intervista!
Per saperne di più:
www.silversnakemichelle.com