Sofia Mezzasalma, originaria della Sicilia, ha iniziato la sua carriera nel mondo delle televisioni private come cameraman e videomaker, per poi approdare al giornalismo, specializzandosi in giornalismo d’inchiesta. Nel 2020, è entrata a far parte dell’Ordine dei Giornalisti Pubblicisti della Sicilia. Oltre alla sua attività giornalistica, Sofia ha conseguito una laurea magistrale in Psicologia Clinica e si occupa attivamente di divulgazione sulla salute mentale attraverso la rubrica online “Nella stanza della psicologa”. Il suo primo libro, “Schegge Traumatiche: Kim Noble e le sue personalità”, esplora la complessa storia dell’artista Kim Noble e del suo Disturbo Dissociativo dell’Identità. In questa intervista, Sofia ci parla del suo percorso, delle sue passioni, e del suo approccio alla divulgazione psicologica.
Su Che Intervista ospitiamo la dott.ssa Sofia Mezzasalma, conosciamola meglio…
Sofia, la tua carriera è iniziata nel contesto di una televisione privata siciliana, dove hai lavorato come cameraman e videomaker. Come ha influenzato questa esperienza la tua successiva transizione al giornalismo d’inchiesta?
Ritengo sia un’esperienza necessaria per un (futuro) giornalista; un excursus quasi ‘obbligato’, che consentirà – al suo termine – una formazione completa del professionista, il quale si troverà a ben padroneggiare gli strumenti necessari finalizzati alla cura dei propri servizi a 360°: dalla progettazione alla loro realizzazione.
Appartengo, sotto questo punto di vista, alla ‘vecchia scuola’: non condivido la ‘settorialità’, nonostante comprenda bene l’importanza e la necessità della specializzazione.
La scelta di dedicarmi al giornalismo d’inchiesta, in seguito all’aver sperimentato per diversi anni il lavoro di cameraman e videomaker, ritengo abbia inciso, più che altro, sulla capacità di ‘raccontare’ anche attraverso le immagini.
Soprattutto laddove si trattano tematiche particolarmente delicate e a forte impatto emotivo, spesso le parole risultano superflue (se non, persino, fuori luogo).
Nel 2020 sei stata ufficialmente riconosciuta come giornalista pubblicista. Cosa ti ha spinto ad avvicinarti al giornalismo e a scegliere di specializzarti proprio nel giornalismo d’inchiesta?
La mia curiosità, seguita dalla voglia di ‘giustizia’; di dar voce alla sofferenza e a condizioni di disagio attraverso un potentissimo mezzo di comunicazione: la televisione. Il compito di un giornalista d’inchiesta non consiste nella mera ricerca dello ‘scoop’, quanto nella ‘denuncia’ di talune situazioni.
Dal marzo 2021 sei anche dottoressa in Psicologia Clinica, ma ti occupi di divulgazione sulla salute mentale da oltre cinque anni. Cosa ti ha motivato a intraprendere questa strada e quali sono le sfide principali che hai affrontato nella divulgazione di temi così delicati?
La creazione della rubrica online Nella stanza della psicologa è stata dettata dalla volontà di fare informazione, contribuendo ad abbattere stereotipi e pregiudizi – ahimè, ancora particolarmente presenti nel nostro Paese – rispetto a disturbi e malattie mentali, partendo dal presupposto che ‘il nuovo’ spaventa.
L’essere umano è terrorizzato – seppur, in parte, anche incuriosito – dalla ‘diversità’ e da ciò che non può comprendere in assenza di adeguati mezzi; ecco, questo è l’obiettivo della rubrica: proporre contenuti comprensibili, anche se completi, di tematiche concernenti la sofferenza mentale.
Per la sua longevità devo ringraziare gli innumerevoli professionisti (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri e sociologi), di fama nazionale e internazionale, che, durante questi cinque anni, mi hanno affiancato, permettendo la creazione di contenuti di alta qualità.
Rispetto alle problematiche riscontrate, devo far riferimento ad una piccola ‘critica’ verso il popolo del Web, che preferisce – tendenzialmente – contenuti poco specifici. Qual è il rischio? La generalizzazione.
Un esempio? I famosi post che indicano “i tot comportamenti che permettono di individuare un narcisista”.
Ed è questo a comportare una distorsione della volontà di divulgazione.
La tua rubrica online “Nella stanza della psicologa” è diventata un punto di riferimento per molti. Qual è stato il tuo obiettivo iniziale con questa iniziativa e come pensi che abbia evoluto la percezione del pubblico riguardo la salute mentale?
Come precedentemente affermato, Nella stanza della psicologa nasce con fini divulgativi. Ritengo che coloro i quali abbiano seguito e continuino ad attenzionare i nostri contenuti abbiano, certamente, conoscenze più approfondite e spunti di riflessione differenti – il che è sempre un arricchimento – rispetto a tematiche particolarmente attuali.
Ciò è reso possibile anche grazie alla collaborazione con professionisti della salute mentale con differenti specializzazioni.
Il tuo primo libro, “Schegge Traumatiche: Kim Noble e le sue personalità”, affronta il complesso tema del Disturbo Dissociativo dell’Identità attraverso la storia dell’artista Kim Noble. Cosa ti ha spinto a esplorare questa tematica e a raccontare la storia di Kim Noble?
Sono da sempre stata affascinata dalla complessità e creatività della nostra psiche, la quale attua innumerevoli e fantasiose ‘soluzioni’ al fine di tutelare il proprio equilibrio e consentire la ‘gestione’ (in maniera più o meno evolutiva) di condizioni particolarmente dolorose e traumatiche, altrimenti intollerabili.
Per far ciò, la nostra psiche mette in atto una serie di meccanismi, la cui natura è, di per sé, fisiologica e funzionale. Si sfocia nella patologia laddove tali meccanismi difensivi divengono rigidi e globali, compromettendo la quotidianità e le abilità sociali, oltre che lavorative, del soggetto.
Fatta tale premessa, il Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID) – precedentemente noto come “Personalità Multipla” – è il versante maggiormente problematico e patologico del meccanismo di difesa della dissociazione, la quale permette di ‘isolarsi’ dalla dolorosa realtà circostante.
I meccanismi che entrano in gioco nella creazione e nel funzionamento del DID sono, oggettivamente, affascinanti.
Ho ritenuto che la storia di Kim Noble (oltretutto, mai trattata sotto un punto di vista clinico e psicodinamico, nonostante la notorietà della sua arte) avrebbe costituito un interessante esempio di tutto ciò.
La storia di Kim Noble è affascinante e inquietante al tempo stesso. Come sei riuscita a bilanciare l’aspetto clinico e quello narrativo nella scrittura di questo libro, mantenendo al contempo un rispetto profondo per la persona dietro la diagnosi?
La combinazione della mia professione di giornalista d’inchiesta – tenendo conto di come io l’abbia precedentemente descritta – e del mio percorso di studi, ritengo abbia reso naturale il rispetto della dignità di Kim, così come di tutti coloro i quali, a vario titolo, sono stati citati all’interno del libro.
Entrambe le mie formazioni, del resto, seppur riguardino ambiti differenti, convergono su un aspetto: l’approccio empatico all’argomento e alla persona.
Nel libro, proponi un’ipotesi coraggiosa e delicata riguardo il possibile legame tra il passato di Kim e il Programma Monarch. Come sei arrivata a formulare questa ipotesi e quale impatto pensi possa avere sul modo in cui viene percepita la sua arte?
In merito a questa domanda preferirei non rispondere, per il semplice fatto che – quella sulla correlazione tra abusi perpetrati durante l’infanzia di Kim e il possibile ruolo del Programma Monarch – è una delle parti del libro che, con l’ausilio di documenti ufficiali resi pubblici dall’FBI (e riportati nella bibliografia), risulta tra le ipotesi più affascinanti. Saranno i lettori, in seguito, a farsi un’idea in merito alla sua potenziale plausibilità.
Il Disturbo Dissociativo dell’Identità è una condizione complessa e spesso fraintesa. Come pensi che il tuo libro possa contribuire a una maggiore comprensione di questo disturbo sia tra i professionisti della salute mentale che nel pubblico più ampio?
Si tratta, indubbiamente, di un Disturbo particolarmente complesso e la cui sintomatologia – poiché, poco conosciuta – può portare a diagnosi errate, con tutte le conseguenze del caso, come un errato trattamento farmacologico.
Per esempio, molti (persino alcuni professionisti della salute mentale) sostengono l’inesistenza del Disturbo Dissociativo dell’Identità, giustificando la sintomatologia come conseguenza della Schizofrenia. In realtà, essa vi è in parte sovrapponibile, ma l’intero corredo sintomatologico appare – se vogliamo – ancor più complesso, andando a provocare differenti alterazioni a livello neurobiologico, anche e soprattutto a causa degli innumerevoli traumi infantili subiti (all’interno del mio libro parlo di “sommatoria traumatica”).
Schegge Traumatiche contribuisce, all’interno di tale contesto, a far chiarezza e spiegare, anche e soprattutto attraverso l’impiego di metafore e un linguaggio comprensibile, le causa e la sintomatologia del Disturbo Dissociativo dell’Identità. Un metodo – almeno, a mio modo di vedere – decisamente adatto alla divulgazione scientifica.
Oltre al tuo lavoro come scrittrice e psicologa, sei anche una giornalista d’inchiesta. Come riesci a coniugare queste diverse identità professionali e quali aspetti del giornalismo ritieni si integrino con il tuo lavoro di psicologa?
Come precedentemente affermato – almeno, secondo il mio modo di fare giornalismo d’inchiesta – l’elemento comune risulta l’approccio empatico; visibile in Schegge Traumatiche, così come in innumerevoli inchieste giornalistiche da me realizzate, tra le quali il documentario “Nel Nome di Geova”, uscito nel 2018.
Guardando al futuro, quali progetti hai in cantiere? Ci sono altre storie o tematiche che vorresti esplorare attraverso la scrittura o la divulgazione?
I progetti sono molti. Parlando di Kim Noble, non escludo una possibile versione aggiornata di Schegge Traumatiche; sia per ampliare la parte legata alla spiegazione di tutta quella parte teorica riguardante trauma e dissociazione (elementi di essenziale importanza al fine di meglio comprendere le origini del Disturbo Dissociativo dell’Identità), che per, eventualmente, ‘aggiornare’ il Sistema di Kim Noble. Detto ciò, è già in cantiere la stesura di un libro riguardante la fascinazione, all’interno della società contemporanea, operata nei confronti del Sacro Sinistro (il Male, la morte e chi ne è causa), partendo dalle conseguenze di un’errata trattazione giornalistica.
Grazie Sofia per questa interessante intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale. Continua a seguirci su Che Intervista!
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