Elisa Mariotti: la voce di una scrittura che sa esplorare il reale e l’onirico, il sociale e l’intimo.
Nata e cresciuta a Siena, Elisa ha sempre coltivato la passione per la scrittura trasformandola nel tempo in un percorso narrativo variegato che spazia dai racconti brevi alle favole per bambini, fino a romanzi più complessi e profondi. La sua ultima opera “Donne e parole. Virginia, Sibilla e Colette tra sogno e realtà” è il frutto di un progetto letterario che mescola ricerca storica e creatività. In questa intervista ci racconta il suo percorso, il significato della scrittura e il valore della condivisione attraverso l’arte e l’impegno sociale.
Su Che Intervista! ospitiamo Elisa Mariotti, conosciamola meglio…
Benvenuta Elisa, la scrittura è sempre stata una passione per te, ma solo dopo molti anni hai deciso di condividere il tuo lavoro con il pubblico. Cosa ti ha spinto a fare questo passo e a tirare fuori quel sogno dal cassetto?
Grazie per l’invito, è un piacere essere qui con voi. La scrittura ha effettivamente sempre fatto parte di me. Scrivevo tutto, soprattutto quello che da ragazzina non riuscivo a dire, e metterlo nero su bianco mi aiutava a riordinare le idee. Mi piaceva trasformare emozioni in parole, dando loro un colore e un odore, cercando di renderle tangibili. La mia scrittura è indubbiamente una scrittura intimistica. Da lì parte e, anche se nel tempo si è trasformata e si trasformerà, lì arriva. Ma bisogna essere pronti per pubblicare e per molto tempo non lo sono stata: una parte di te, che sempre e comunque è presente in ciò che scrivi (anche quando non si tratta di testi autobiografici), non sarà mai più solo tua. Io mi sono decisa a fare il passo quando ho sentito che mi era necessario, che non potevo più rimandare, che avevo bisogno di condividere e in qualche modo realizzare il mio sogno, che ero pronta a sostenere la gioia che ne sarebbe derivata, ma anche l’eventuale critica. C’è voluto tempo e immagino che ognuno abbia il proprio.
Dopo il tuo esordio con Occhi negli occhi, hai esplorato generi diversi, dai racconti brevi alle favole per bambini. Cosa ti affascina di più nella varietà delle forme narrative?
Sono una persona che, caratterialmente, ama sperimentare. Lo fa con i piedi di piombo, ma ci prova comunque. Sia per capire cosa effettivamente mi piace fare (quale genere seguire, in questo caso), ma anche per comprendere in cosa sono portata e in cosa no. E non necessariamente le due cose coincidono ed è qui, che a volte, sorge il problema. Credo che non mi fermerò finché non avrò provato a scrivere qualcosa di ogni genere letterario possibile. Il fatto che la stessa cosa, a seconda del genere letterario che si sta seguendo e dell’età del lettore finale a cui è destinata possa essere detta in tanti modi diversi – anzi, deve esser detta in modi diversi- , mi affascina. Per cui continuo a provare.
Nel tuo ultimo libro, Donne e parole. Virginia, Sibilla e Colette tra sogno e realtà, fai incontrare tre grandi figure della letteratura femminile. Cosa ti ha attratto di queste scrittrici e come è nato questo progetto onirico?
Il motore di tutto è stata senza dubbio Virginia Woolf o, per dirla meglio, la mia passione per la sua scrittura e la sua figura in generale. Sentivo la necessità di parlare di lei ma, dal momento che rappresenta forse la scrittrice più studiata del Novecento, dovevo trovare un modo diverso per raccontarla. Ho creduto fosse una buona idea, quantomeno originale, farla conversare con altre due donne, altre due grandi scrittrici che hanno vissuto esattamente il suo stesso periodo storico. Dopo una ricerca che ha richiesto il suo tempo, ho deciso per Sibilla Aleramo, scrittrice a mio parere troppo poco conosciuta, studiata e apprezzata ancora oggi e Colette, che non conoscevo affatto e che è stata invece un’enorme scoperta. I loro tre diversi caratteri e le loro differenti vite sono estremamente funzionali alla storia e, nonostante l’apparenza, presentano anche dei punti in comune. Ho scelto loro perché, come spesso succede anche con i personaggi inventati, in qualche modo mi hanno chiamato. Me le sono dunque figurate nella mia mente, pronte a rispondere alla domanda attorno a cui ruota tutto il romanzo: cosa succederebbe se queste donne, queste grandi scrittrici che non si sono mai davvero incontrate tutte e tre insieme, si ritrovassero sedute allo stesso tavolo di un bar?
Il romanzo gioca con il confine tra sogno e realtà, portando il lettore a esplorare l’interiorità di queste tre donne straordinarie. Come hai lavorato per coniugare la ricerca storica e biografica con la libertà creativa del racconto?
La ricerca storica e biografica è stata la parte che mi ha occupato più tempo e richiesto più energia. Non si trattava solo di avere bene a mente luoghi, date, eventi per ognuna delle tre, ma soprattutto di capire ed entrare in connessione con l’individuo che sta dietro al personaggio pubblico più o meno conosciuto. Una volta fatto questo attraverso i loro testi, le loro lettere, i loro diari e le personali biografie, me le sono sentite amiche e ho deciso quindi di introdurre una quarta donna, Anna, voce narrante della storia e unico elemento creativo – insieme alla scena che le vede sedute allo stesso tavolo di un bar – del romanzo. Tutto il resto, dai colori che le donne indossano, alle loro movenze, nonché alle scelte di cibo, per esempio, sono frutto di un accurato studio. Ciliegina sulla torta, a mio parere, sono le citazioni tratte dai loro testi e inserite all’interno dei dialoghi che a volte divengono monologhi. A pensarci bene, forse la creatività più marcata sta qui: cercare di amalgamare le mie parole alle loro in un unico flusso di pensiero.
Da sempre attiva nel mondo del volontariato e del terzo settore, sei anche la voce di “Otaria la volontaria”. In che modo questo impegno sociale si riflette nel tuo percorso artistico e narrativo?
“Otaria la volontaria” è un personaggio nato dalla fantasia della redazione del giornale on line sienasociale.it con lo scopo di fare da simpatica e divertente guida per i più piccoli in un mondo vasto, variegato e talvolta difficile che è appunto quello del volontariato e del terzo settore. Otaria racconta storie e narra emozioni e cerca di farlo in un modo che sia accessibile ai bambini e alle bambine, i probabili volontari e volontarie di domani. Per me, essere la sua voce significa andare ogni volta alla ricerca di parole semplici – che non vuol dire facili- ma anche stuzzicanti per parlare ai più piccoli di cose che invece possono essere difficili, tristi e complesse (mi vengono in mente, per esempio, le storie in cui abbiamo affrontato il tema delle malattie rare o dell’autismo). Otaria non inventa storie, le racconta nel modo più leggero possibile, anche quando sono pese come zavorre. E per me, in termini di scrittura, questo è un esercizio non indifferente.
Il tuo percorso include premi e riconoscimenti in diversi concorsi letterari, e partecipi a molteplici progetti dedicati alla letteratura per l’infanzia. Quali sono, secondo te, le caratteristiche fondamentali per scrivere per i più piccoli?
Scrivere per bambini è decisamente difficile. Molto più che scrivere per adulti. Soprattutto perché la fascia di età a cui si fa riferimento è ampia e ognuna ha, ovviamente, una sua modalità. Ciò che piace a un bambino di 3 anni non è la stessa cosa che interessa quello di 7, tanto meno quello di 11. Diversi sono i temi che possono e devono essere affrontati e altrettanto diversi devono essere i registri. Senza ombra di dubbio, non ci si improvvisa. Ne ho avuto la prova sulla mia pelle. “Fata Librina e le favole della buonanotte”, effigi editore, il mio primo libro per l’infanzia, mi ha spalancato un mondo che non immaginavo, un mondo che ha regole proprie che vanno conosciute e che io invece, almeno in parte, inizialmente ignoravo e che sto cercando di recuperare ora, attraverso corsi adeguati e letture specifiche. Tirando le somme, direi che per scrivere per i più piccoli è necessario avere due cose su tutte: aver mantenuto lo sguardo di bambino sul mondo (bambini lo siamo stati anche noi!) e avere voglia e umiltà per dedicarsi al giusto studio.
Fai parte di diversi gruppi di lettura e associazioni culturali. In che modo il confronto con altre lettrici e scrittrici ha influenzato il tuo modo di scrivere e di percepire la letteratura?
Il confronto credo sia necessario per una crescita personale di qualunque tipo. In termini di letteratura, basilare secondo me è la lettura dei classici, da cui nasce il confronto con chi ha scritto prima di te e, indubbiamente, meglio di te. Della lettura del libro, poi, è bello discuterne insieme ad altre persone. Spesso e volentieri infatti ognuno percepisce qualcosa di diverso all’interno dello stesso testo o è colpito da un passaggio piuttosto che da un altro. Parlarne aiuta a cambiare punto di vista, a capire che non esiste soltanto il nostro modo di vedere, a focalizzare la nostra attenzione su qualcosa di diverso da noi. E tutto questo non può che arricchire il bagaglio personale che poi, chi scrive, cerca di tirar fuori al momento giusto.
Il progetto “In una rara notte di luna piena” ha una finalità benefica a sostegno della ricerca scientifica per le malattie rare. Credi che l’arte e la letteratura possano avere un ruolo attivo nel promuovere la solidarietà e l’impegno sociale?
Ne sono convinta. È proprio per questo che quando l’associazione Codini & Occhiali odv (che tra le altre cose sostiene la ricerca scientifica tramite Fondazione Telethon) mi ha proposto di scrivere una storia per parlare di rarità, unicità e inclusione, non ho tardato a dare il mio sì. Credo che attraverso l’arte in generale e le storie in particolare si possa arrivare al cuore di molti, bambini e adulti. Un libro trova sempre un posto: che sia lo scaffale della libreria di casa, quello della biblioteca scolastica o un tavolo, su cui viene semplicemente appoggiato in attesa di esser sfogliato, è comunque uno strumento che ha grandi potenzialità. Sta a noi adulti capirlo e agire di conseguenza.
La scrittura richiede tempo, disciplina e dedizione, specialmente quando si lavora in un ambito professionale lontano dal mondo letterario. Come riesci a bilanciare la tua carriera assicurativa con la tua passione per la scrittura?
Per molto tempo è stato piuttosto difficile. Talvolta lo è anche ora. Orari rigidi che non mi permettono di muovermi come e quando vorrei si scontrano con la voglia, che a volte diventa davvero necessità, di scrivere. Vorrei poter dire di essere una di quelle persone che ogni mattina, indistintamente, si sveglia prestissimo per scrivere prima che la vita reale cominci, ma non sempre ci riesco. Eppure, so perfettamente che la scrittura è anche e soprattutto esercizio. Allora, nelle giornate in cui salto la mattina, vedo di ritagliarmi almeno una mezz’ora la sera. Sembra poco, ma non lo è. Se lavorare con i numeri è la mia professione principale che, tra le altre cose, mi ha insegnato ad organizzare ed esporre bene le idee – cosa necessaria anche per strutturare un buon testo-, lavorare con le parole sta diventando qualcosa di più di una semplice passione.
Guardando al futuro, quali temi o progetti vorresti esplorare nella tua produzione letteraria? C’è una direzione specifica che senti di voler seguire nei prossimi anni?
Progetti futuri ce ne sono, più di uno in verità. Ultimamente mi sono avvicinata alla biografia romanzata, un genere che sento nelle mie corde e che credo approfondirò in futuro. Di sicuro non abbandonerò la narrativa per bambini, ma lì, come dicevo prima, sento di aver ancora molto da imparare. E poi chissà dove mi porterà la mia voglia di sperimentare…
Grazie Elisa per averci dedicato un pò del tuo tempo per questa intervista e complimenti per la tua carriera artistica e professionale!
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