Alessia Lombardi: Tra poesia e performance, un viaggio di parole e suoni

Oggi abbiamo il piacere di parlare con Alessia Lombardi, una talentuosa poetessa che ha ottenuto numerosi riconoscimenti nella sua carriera, tra cui la vittoria alla prima edizione del concorso letterario nazionale «Nel Silenzio» con l’opera “La smarginatura” e il Premio Speciale Poesia Europea a Strasburgo. Ha pubblicato tre raccolte di poesie: “L’affetto instabile”, “Le chiavi” e “L’attrito”, che hanno ricevuto menzioni d’onore e premi internazionali.
Alessia non si limita solo alla scrittura: il suo progetto di poesia performativa, “Crow J & Neptune Mak”, realizzato in collaborazione con il violoncellista Marco Alonzi, innesta poesia e musica in un affascinante spettacolo dal vivo. In questa intervista, esploreremo il percorso artistico di Alessia, le sue ispirazioni, le sfide affrontate e i suoi prossimi progetti.

Su Che! Intervista ospitiamo Alessia Lombardi, conosciamola meglio…

Alessia, hai avuto un percorso ricco di riconoscimenti e premi. Qual è stato il momento più significativo della tua carriera fino ad ora?
Ogni momento è significativo. Soprattutto se condiviso.

Puoi raccontarci cosa ti ha ispirato a scrivere “La smarginatura”, l’opera con cui hai vinto il concorso letterario nazionale «Nel Silenzio»?
Nel mio caso credo di parlare impropriamente di “ispirazione”: sono piuttosto attratta dal movimento — o dal suono — continuo, dai rumori bianchi. Questo tipo di fissità, di ripetizione, di iterazione tende a condizionare le idee, il pensiero. Prima di trasferirmi a Firenze vivevo in una piccola campagna, in provincia di Frosinone, e avevo spesso bisogno di dondolare su un’altalena, di ascoltare della musica (o semplicemente dei suoni ripetuti, appunto). Così riuscivo ad avere buone idee. Oggi abito in un appartamento in centro città, e mi accorgo che il vero centro del processo è l’immagine — che si ripete e si trasforma.

Il tuo progetto di poesia performativa con Marco Alonzi, “Crow J & Neptune Mak”, è davvero unico. Come è nata l’idea di combinare poesia e musica in questo modo?
Crow J & Neptune Mak è una storia d’amore. Un prototipo. Si realizza, o si ricompone, soltanto dopo una serie di incontri e tentativi fallimentari. Basti dire che con Marco (o forse con il suo violoncello?) c’è stato un riscontro immediato, e non mi capita mai. Al di là della nostra relazione e del matrimonio, l’intesa e la capacità di improvvisazione esistevano a priori e hanno dato risultati immediati e senza sforzo. Ci piace pensare che se oggi qualcuno legge/recita/interpreta alla nostra maniera sta andando incontro a questo tipo di storia, a questo tipo di esigenza espressiva: lo scardinamento e la verità.

Quali sono le sfide principali che hai affrontato nella realizzazione delle tue opere e come le hai superate?
Credo di non averle mai superate. O meglio, credo che alla scrittura sia necessaria sempre la presenza di qualcosa di irrisolto, un conflitto, una irrevocabilità e un dissidio che portano poi all’indagine. Al chiedersi “perché lo sto facendo” e “come posso farlo al meglio delle mie possibilità”.

Hai pubblicato tre libri fino ad oggi: “L’affetto instabile”, “Le chiavi” e “L’attrito”. Quali temi ricorrono maggiormente nelle tue opere e perché?
Si tratta di tre libri nati da contesti e vicende diametralmente opposte, e ripercorrono un’evoluzione di stile che è drammatica, credo, perché continua a scardinarsi. A perdere aderenza e contatto non soltanto con la carta stampata ma soprattutto con la realtà. Così i temi riflettono questo “spaesamento”, questo continuo ancorarsi e muoversi in simultanea: il ricordo, il dolore, la rivelazione degli affetti.

La tua esperienza alla «CET – Scuola per Autori di Mogol» ti ha aiutata a crescere come autrice? Se sì, in che modo?
Era il 2016. Mi trovavo in Università e ricevetti una telefonata da Guidonia durante una lezione di metrica latina. Ero stata selezionata per la semifinale. Ma questo è quanto: soltanto il vincitore avrebbe avuto accesso ai corsi CET e non fui io.

Hai ricevuto il Premio Speciale Poesia Europea a Strasburgo. Cosa ha significato per te ricevere questo riconoscimento?
Il “Premio Speciale Poesia Europea” ha coinvolto anche Marco, in qualità di violoncellista, nonché il nostro format. E se consideriamo di partire dal basso — potrebbe apparire retorico ma in questo tipo di contesto non lo è affatto — da un territorio provinciale che tende, a volte per pura ingenuità, a “catalogare”, a incasellare in qualche modo il prodotto artistico sulla base di ciò che conosce, senza spingersi troppo oltre (o poco più in là, dipende poi dalla prospettiva), è importante e significativo — appunto — per tornare alla domanda iniziale: un segno che è possibile. È possibile essere i Led Zeppelin anche nella poesia performativa.

In qualità di finalista al «Premio Fabrizio De André», come percepisci il legame tra poesia e musica nella tua produzione artistica?
Musica e poesia coesistono. Crow J & Neptune Mak prova a darne una dimostrazione tangibile, ogni volta che ci approcciamo a testi, performance, all’idea stessa di performance, esibizione, esperienza estetica sulla scena. Il senso del ritmo, la musicalità intrinseca delle parole, dei versi, della combinazione e dell’incastro delle frasi, producono suono. Non soltanto verbo. E in C&N l’elemento improvvisativo serve a rafforzare tutto questo, a sottolinearlo con estrema evidenza, a rendere partecipi gli ascoltatori delle potenzialità che sfuggono del testo, nella normale lettura. La musica è ciò che la poesia non dice.

Quali autori o poeti hanno influenzato maggiormente il tuo stile e la tua visione artistica?
Scrivo dal duemilatré, e cioè da quasi vent’anni, ma è stato perlopiù un lunghissimo apprendistato, maturato circa quattro anni fa. Sono cresciuta nella biblioteca di mio nonno paterno, a San Giovanni Incarico, paese ciociaro di tremila abitanti — già prima di imparare a leggere sapevo cos’era l’attenzione, la cura, l’amore per i libri; a sette anni scrivevo piccoli racconti — la scuola era una grande fonte di ispirazione, e proprio a scuola, qualche anno dopo, ho scoperto Leopardi: è stato forse il primo amore forte della mia vita, il mio primo cardine. Parlavo di apprendistato, per definire la mia esperienza di scrittura, perché con Leopardi iniziai a voler ricreare quella poesia alta, sublime; credevo fosse l’unica degna, contrapposta a un presente che vedevo banale, vuoto. Ma non era quella la strada: era necessario che costruissi me stessa, la mia voce, per lasciare veramente un segno. Essere sé stessi è il primo passo verso l’immortalità. E non parlo di gloria, ma di traccia costruttiva nella storia dell’umanità, che sia globale o locale, non ha importanza.

Guardando al futuro, quali sono i tuoi prossimi progetti e obiettivi come poetessa e performer?
Non ci sono obiettivi. Esistono possibilità. Ognuna condizionata da molteplici fattori. Mi auguro soltanto di sfruttarle totalmente, di essere in grado di farlo senza riserve. È un dovere nei confronti del nostro lavoro, ma soprattutto del pubblico.

Grazie Alessia per la tua intervista e complimenti per tutto!
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