Jacopo Sipari, direttore d’orchestra: il percorso e la carriera

Dopo una brillante carriera accademica nel campo del diritto, Jacopo Sipari ha seguito la sua vera passione: la musica. Oggi è uno dei direttori d’orchestra più promettenti a livello internazionale, con una carriera che spazia dalle produzioni operistiche classiche a collaborazioni con musicisti pop. In questa intervista, esploreremo il suo viaggio artistico, le sfide e le conquiste di un direttore d’orchestra che ha saputo distinguersi sia in Italia che nel mondo.


Benvenuto, Jacopo. Grazie per essere con noi. Per iniziare, puoi raccontarci come hai conciliato la tua carriera giuridica con quella musicale, e cosa ti ha spinto a scegliere la direzione d’orchestra come percorso principale?
Non è facile dire ai tuoi genitori che vuoi fare il musicista, nel senso “per davvero”, come lavoro, specialmente se lavori all’Università e hai vinto l’abilitazione nazionale come avvocato in un paese dove “il mestiere della musica” sembra più un suicidio economico che una scelta di vita. Poi quella di direttore d’orchestra è davvero una professione estremamente complessa: serve sicuramente talento, preparazione, carattere, disciplina e certamente tanto coraggio. Io da sempre ho sentito dentro di me questa attrazione per l’orchestra, più che altro sentivo il bisogno di cercare di far suonare più strumenti insieme. Quando ho capito che il pianoforte non mi bastava più costringevo i miei compagni di conservatorio a vederci insieme la sera per cercare “i suoni che stavano bene insieme”. Ero davvero piccolo. 13, 14 anni forse. Poi quella chiamata: dirigevo il Barbiere di Siviglia a Taormina, il direttore generale del Festival Puccini, Franco Moretti, mi invitava a salire a Torre del Lago per un colloquio. Io che parto con la mia auto molte ore prima, la camicia stirata che svolazzava appesa sui reggimano del sedile di dietro. Incontro veloce in un caldo pomeriggio di Agosto. Dopo 15 giorni dirigevo Nabucco agli scavi di Pompei. Da quel momento non mi sono mai fermato. Sono passati tanti anni da allora ma il diritto è rimasto sempre con me.

    Hai un curriculum accademico di altissimo livello, con due dottorati di ricerca e una brillante carriera nel diritto. Quanto di questa esperienza giuridica ha influenzato la tua vita artistica e il tuo approccio alla musica?
    Tanto. Ho sempre ritenuto che il direttore d’orchestra dovesse essere un uomo “di cultura generale”, o per meglio dire, un uomo curioso. La giurisprudenza può apparire una scienza tecnica ma reca in se un sostrato filosofico estremamente radicato e profondo. Non è un caso che i miei studi mi abbiano portato a solcare il mare del diritto penale, laddove gli uomini più di altrove hanno deciso di affidare alle loro coscienze il limite più grande alla loro “libertà negativa” (cit. A. Baldassarre). Alla fine il diritto è caratterizzato dalle stesse regole orchestrali: mettere insieme più persone così diverse affinchè ne nasca una superba armonia senza che nessuno ne resti scontento anzi, ne venga ampiamente valorizzato.

      Sei stato direttore principale ospite del prestigioso Festival Pucciniano. Com’è stato dirigere un festival dedicato a uno dei compositori italiani più iconici, e cosa significa per te la musica di Puccini?
      Devo tutto a Giacomo Puccini. Ho iniziato la mia carriera la. Ho avuto la fortuna di dirigervi alcuni degli appuntamenti più importanti come la Turandot per il 90° anniversario, il Trittico per il centenario e quest’anno la Madama Butterfly per il 120° nell’anno del centenario pucciniano. Nella sua musica ho sempre trovato risposte in primo luogo alla mia vita: la necessità di dipingere con forza estrema i suoi temi, il dover affrontare con incredibile trasporto le sue partiture in ossequio al verismo dirompente di questa musica ha dato sfogo al mio animo fondamentalmente tormentato.

        Hai diretto orchestre in tutto il mondo, da Israele alla Mongolia, fino all’Azerbaijan e al Qatar. Quali sono le sfide principali quando si lavora con orchestre di diverse culture e background musicali?
        Avere il coraggio di essere sempre se stessi. E’ necessario avere una propria cifra, un proprio marchio, un proprio suono. Lasciare sempre una traccia indelebile del proprio passaggio. In un mondo in cui è facile avere una incisione di qualsiasi composizione ritengo che il ruolo di chi fa il direttore sia quello di avere l’onestà dell’unicità che proviene solamente dal coraggio di mostrare quello che si reca nel cuore.

          Nel tuo repertorio figurano alcune delle opere più celebri, da Carmen a La Traviata. Cosa ti guida nella scelta delle produzioni operistiche e qual è l’opera che senti più vicina al tuo cuore?
          Indubbiamente tutte le opere di Puccini. Sicuramente tra queste Madama Butterfly e Suor Angelica coprono i primi posti della mia personale classifica. Ormai con l’andare avanti negli anni preferisco dirigere solamente le cose che più mi rappresentano.

            Hai collaborato con alcuni dei più grandi interpreti della lirica internazionale, come Ermonela Jaho e Josè Cura. Come influenzano queste collaborazioni il tuo lavoro di direttore e quali sono state le esperienze più memorabili?
            Ho avuto la fortuna di lavorare davvero con alcuni dei nomi più illustri della musica mondiale. Tante sarebbero le esperienze che mi hanno trafitto il cuore ma le più uniche restano sicuramente quelle legate alla forza dirompente di Anna Pirozzi, all’infinito trasporto emotivo di Ermonela Jaho, ai filati del paradiso di Donata d’Annunzio Lombardi, alla eleganza sublime di Krassimira Stoyanova, al cuore pucciniano di Vincenzo Costanzo, alla violenza emotiva di Josè Cura. Senza contare i ricordi stupendi legati a Valeria Sepe, Francesco Meli, Saimir Pirgu, Charles Castronovo e Amarilli Nizza.

              E’ fondamentale lavorare con degli artisti mondiali che ti permettono di esprimere quello che hai nel cuore: alla fine le mie sono solo mani che si muovono ma che hanno bisogno di una voce.

              Il tuo lavoro spazia anche nella musica pop, con artisti come Anastacia, il Volo, Ricky Martin. In che modo affronti la direzione di una produzione pop rispetto a un’opera classica e cosa ti affascina di questo genere musicale?
              Di certo c’è un coinvolgimento emotivo minore. E’ comunque interessante affontare questo genere di musica che colpisce altri lati del mio animo. Soprattutto poi quando si ha il privilegio di lavorare con grandi artisti come questi.

                Sei anche fondatore di diversi festival internazionali, tra cui il Festival “OPERAVIVA” in Azerbaijan e il Festival “Sacrum” in Vaticano. Cosa ti ha spinto a creare questi eventi e quali sono i tuoi obiettivi artistici come direttore artistico?
                Ho sempre cercato di costruire Festival che mi rappresentassero totalmente. Il Sacrum è davvero uno di quelle rassegne a cui sono più legato perché ho sempre avuto un grande amore per la musica sacra dato che sono molto credente. Il mio rapporto con la fede è molto complesso e profondo e volevo trasmettere questa particolare sensibilità con un genere musicale straordinario che deve essere divulgato. Penso che per chi fa questo lavoro sia fondamentale cercare sempre di trasmettere emozioni, per quanto variegate esse possano essere, e avere il privilegio di firmare delle rassegne ti da questa opportunità.

                  La tua carriera ha già ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Golden Opera per la New Generation degli Oscar della Lirica. Come vedi l’evoluzione del panorama lirico internazionale e quale pensi sia il ruolo dei giovani direttori d’orchestra in questo contesto?
                  Penso che più andremo avanti più sarà difficile. Stiamo vivendo un periodo socio – economico non positivo per la musica classica e i teatri, c’è sempre meno spazio perché sempre meno sono le possibilità di avere molte prove per preparare un’opera o un concerto. Motivo per il quale è più facile invitare direttori di lunga esperienza che necessitano di minor tempo di prova. Oltretutto questo sistema generale induce pochissimi conservatori a dare la possibilità concreta ai giovani di avere orchestre su cui preparasi perché, come si può immaginare, il costo è davvero altissimo. Poi c’è il decadimento culturale: si studia sempre di meno perché la società comunica valori per perseguire i quali non è necessario assolutamente lo studio. La musica, come del resto qualsiasi cosa, necessita uno studio e un’attenzione che le distrazioni attuali non consentono. Ritengo davvero necessario un cambiamento radicale se si vuole avere qualche speranza in tal senso.

                    Stai lavorando a qualche progetto futuro? Ti va di anticiparci qualcosa?
                    Siamo in produzione di Tosca con gli allestimenti della Fondazione Festival Pucciniano di Torre del Lago a Tirana con Krassimira Stoyanova e Eva Golemi nel ruolo del titolo, Saimir Pirgu e Amadi Lagha (Mario) e Carlos Almaguer (Scarpia). Subito dopo avrò Elisir d’Amore al Teatro Verdi di Salerno (22 – 24 Novembre), poi sarò in giuria e dirigerò la finale del concorso mondiale “Giacomo Puccini” in Cina con il Festival Puccini, quindi avrò Lucia di Lammermoor (12 – 13 – 15 – 16 dicembre) a Tirana e Turandot all’Opera Polacca di Lodz a fine anno.

                    Grazie Jacopo per averci dedicato un pò del tuo tempo e complimenti per la tua carriera artistica e professionale.
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