GIMA, nato ad Avellino nel luglio del 1996, ha vissuto la musica come un elemento centrale della sua vita fin dall’infanzia. Cresciuto in una famiglia dove l’arte era di casa, ha sviluppato un percorso che lo ha portato dal suonare la chitarra classica al DJing e alla produzione musicale, fino ad approdare alla scrittura delle proprie canzoni. Con il suo EP “JOMO”, GIMA esplora il contrasto tra la velocità dei beat elettronici e il bisogno di rallentare, riflettendo su emozioni e stati d’animo contemporanei. In questa intervista, approfondiamo il suo percorso artistico, le influenze e il significato dietro la sua musica.

a cura della redazione


Benvenuto GIMA! Partiamo dall’inizio: come è nato il tuo amore per la musica e quale ruolo ha avuto la tua famiglia nel tuo percorso artistico?
Ciao! grazie mille dell’invito, prima di tutto. Quello per la musica è un amore naturale e viscerale, penso faccia parte di me da sempre. Il motore forse sono stati i miei genitori che a sei anni mi hanno regalato una chitarra invece della tanto desiderata playstation. E poi le mie sorelle maggiori incredibili che mi hanno sempre permesso di ascoltare i loro iPod, a loro devo tantissimo.

Dal rock punk inglese alla musica elettronica: cosa ti ha affascinato maggiormente di questi generi e come hanno influenzato il tuo stile?
I groove ritmici, le chitarre distorte. Nella mia musica si sente tanto del mio background, per quanto sia assimilato, vissuto nel tempo e fatto rivivere a modo mio, come piace a me.

Il tuo EP “JOMO” si basa sul concetto di “joy of missing out”. Cosa significa per te e come hai cercato di trasmettere questo messaggio attraverso la tua musica?
JOMO
è diventato un mantra in questo periodo della mia vita. Per me non significa isolamento, ma vivere nel presente senza lo stress di proiezioni future o di dover per forza fare qualcosa perché “va fatto”. JOMO è riuscire a vincere la paura di essere costantemente in ritardo. Proprio quando ho capito che per comprendermi e connettermi con la mia musica avevo bisogno di godermi il presente, è nato questo EP. C’è quella sensazione là nei suoi suoni, nei suoi testi e nella sua impulsività.

Nelle tue produzioni dai grande importanza al suono rispetto alle parole. Come nasce un tuo brano e quale processo creativo segui?
Suono e produco da quando ho memoria. Sono sempre stato un tipo timido, quindi mi sentivo più a mio agio nei suoni. Ora utilizzo proprio i suoni per arrivare a capire le parole; la musica è il veicolo della mia parte più emotiva, l’atto creativo nella produzione è quello che fa da tramite tra me e le parole. Mi dà voce.

Hai avuto esperienze sia come DJ che come produttore prima di iniziare a scrivere e cantare le tue canzoni. Cosa ti ha spinto a questo passo successivo?
Ho anticipato un po’ questa domanda, perché forse è proprio quella fondamentale per spiegare la mia musica. È stata l’esigenza di dire delle cose che mi ha portato a evolvere artisticamente. Quando è nato il mio collettivo, DIRTY SOCKS, ho trovato il coraggio di esprimermi in modo nuovo e più esplicito.

Hai collaborato con altri artisti emergenti e fondato il collettivo Dirty Söcks. Quanto è importante per te lavorare con altri artisti e come queste esperienze hanno arricchito la tua musica?
Non immagino la mia musica come un processo creativo solitario. Per me il brainstorming è davvero tutto, mettersi in dubbio è fondamentale e collaborare con le persone è linfa vitale. Condividere la musica mi aiuta tantissimo.

Nel 2024 sei stato selezionato da VEVO come uno dei talenti emergenti e hai remixato un brano dei Ricchi e Poveri. Come hai vissuto queste opportunità e cosa rappresentano per la tua carriera?
Due bellissime opportunità. Quella di VEVO è stato una sorta di riconoscimento, un segnale che è arrivato nelle primissime fasi del mio progetto e mi ha dato la giusta carica per crederci sempre di più. Mentre il remix dei Ricchi e Poveri è stata un’occasione del tutto inaspettata, una di quelle cose che ti capita una volta sola nella vita. “Ma non tutta la vita” è una hit incredibile, loro pure; non potevo non accettare la sfida!

La tua musica è un mix tra drum and bass, jersey e atmosfere introspettive. Quali artisti o esperienze hanno maggiormente influenzato la tua visione sonora?
La mia musica ha sicuramente tanti layer diversi, oltre che queste, ma lo scopriremo poco a poco. Dovendo scegliere pochi artisti che hanno lasciato un segno in me, è davvero difficile ma qualche nome te lo dico: ci sono senza ombra di dubbio James Blake, Joy Orbison, Nia Archives, Flume, Chet Facker e molti altri. Potrei continuare per 2 ore.

Il tuo EP “JOMO” è stato scritto in un momento di distacco dalla frenesia di Milano. Come il contesto in cui vivi influisce sulla tua creatività e sulla tua musica?
In una prima fase, l’EP è stato lavorato a Milano, quando mi ero appena trasferito. Poi avevo bisogno di scappare e sono fuggito al Baito, uno studio incredibile che mi ha accolto come se fosse casa mia da sempre e ha creato la cornice perfetta per chiudere il mio EP.

Piccola dedica a margine: Elia, se stai leggendo questa intervista, sei una persona incredibile. Un vero compagno!

Dopo l’uscita di “JOMO”, quali sono i tuoi prossimi progetti? Dobbiamo aspettarci nuove collaborazioni o un tour?
Lo scopriremo presto! Di sicuro vi do appuntamento il 26 luglio al DILUVIO FESTIVAL, nel Parco del Maglio di Ome (BS).

Grazie GIMA per la tua intervista! Complimenti per la tua carriera artistica!

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