“La magia di raccontare storie” di Salomè Baldion

Salomè Baldion, nata nel 1999 in una famiglia di artisti, ha intrapreso un percorso nel mondo del teatro. Cresciuta tra marionette, quadri e sculture, ha esplorato varie forme di espressione artistica, dal teatro classico alla commedia dell’arte, fino al teatro di ricerca. La sua esperienza con la compagnia “Chille de la Balanza” le ha permesso di approfondire tematiche legate all’istituzione e alla condizione dell’uomo contemporaneo. Oggi Salomè si dedica anche alla scrittura per la scena, con l’obiettivo di coniugare memoria e innovazione.

a cura di Salvatore Cucinotta


Benvenuta Salomè, grazie per essere qui con noi. Raccontaci, cosa ti ha portato ad avvicinarti al teatro e quali sono stati i tuoi primi ricordi legati a questa forma d’arte?
Non ricordo in realtà la prima volta che sono stata a teatro, forse è successo che ero molto piccola ed è poi stata un’esperienza costante nella mia vita, i miei genitori avevano tantissimi amici artisti quindi tra concerti, cabaret e festival di teatro di strada sono sempre stata immersa in questo mondo. Poi quando avevo dieci anni mia mamma portò me e mia sorella ad un corso di teatro e da lì ho scoperto come era stare dall’altra parte.

Crescere in una famiglia di artisti ti ha sicuramente influenzata. In che modo questa esperienza ha plasmato il tuo approccio al teatro e all’arte?
Me lo sono chiesta molto, sicuramente ha creato i presupposti perché mi appassionassi all’arte e al teatro ed essendo i miei genitori entrambi artisti sono sempre stati molto supportivi nei miei confronti. Detto questo mi ricordo di aver scelto di fare teatro perché era l’unica nicchia artistica rimasta libera in famiglia e volevo fare qualcosa di diverso rispetto ai miei genitori e le mie sorelle. Anche se non mi sono allontanata di molto comunque.

Hai esplorato diverse forme teatrali, dal teatro classico al teatro di ricerca. Quale di queste ha avuto un impatto più significativo su di te e perché?
Credo che ciò che mi ha fatto appassionare al teatro sia stata l’esperienza di teatro fatta al liceo dove ci cimentavamo principalmente sui classici di Shakespeare ma l’incontro col teatro di ricerca è stato ciò che mi ha convinta a provare a fare del teatro una vera e propria professione. Questo perché mi ha mostrato una modalità completamente nuova. Ho scoperto un teatro che liberava le energie creative collettive e soprattutto portava alla costruzione di spettacoli ed eventi teatrali che dialogassero con il presente. Credo che queste due siano le esperienze più significative che mi porto dentro adesso, come due anime che convivono. Anche se sto tentando di riscoprirne una terza: quella del teatro di figura che ho conosciuto molto durante l’infanzia grazie a mio padre ma che mi piacerebbe riscoprire ed approfondire.

La tua collaborazione con la compagnia “Chille de la Balanza” ti ha portato ad affrontare tematiche complesse come il manicomio e l’esclusione. Come queste esperienze hanno influenzato il tuo modo di fare teatro?
Sicuramente moltissimo, soprattutto perché mi ha insegnato molto sulla funzione politica e sociale che può svolgere il teatro pur rimanendo arte. Grazie a loro non solo ho accresciuto la mia formazione teatrale ma ho anche capito come sia importante l’influenza che un presidio culturale può avere su un territorio, e come sia importante pensare un’opera d’arte anche in relazione al contesto in cui si realizza.

La creazione collettiva è stata una parte importante del tuo percorso. Cosa significa per te lavorare in una compagnia e come questa dinamica arricchisce il tuo processo creativo?
Lo arricchisce infinitamente e soprattutto mi ha dimostrato che il mondo dell’arte e del teatro può essere collaborazione e non solo competizione come solitamente viene rappresentato. Creare collettivamente indubbiamente è difficile però allo stesso tempo la creatività di tutta si arricchisce e si amplifica grazie all’incontro con le altre.

Hai iniziato a scrivere per la scena con l’obiettivo di creare un teatro che dialoghi tra passato e presente. Come affronti questa tensione e quali strumenti utilizzi per raccontare storie che siano rilevanti oggi?
È un’esperienza piuttosto nuova quella di provare a scrivere per la scena però semplicemente è successa e anche gli strumenti non saprei bene ancora come rispondere, sicuramente dovranno essere ancora valutati e messi alla prova sulla scena. La cosa principale che cerco di fare è quella di stare continuamente in ascolto, di muovermi in ambienti molto diversi tra loro per poi cercare di riportare quelle voci sulla scena. Mi piacerebbe però pur raccontando il presente di non perdere quell’aura fantastica che tanto mi aveva affascinata nel teatro quando ero bambina.

La magia del raccontare storie è centrale nel tuo lavoro. Quali sono i temi o i personaggi che ti affascinano maggiormente e che cerchi di portare in scena?
Ho riscoperto di recente la bellezza di poter immaginare storie prima ancora di voler dire qualcosa; quindi, cerco di partire dalla storia prima che dai temi che poi comunque emergono come naturalmente dal racconto. Ultimamente ho lavorato su due testi che prima o poi spero di avere l’opportunità portare in scena. Il primo di questi racconta di una stravagante corsa in ascensore che porta tantissime persone diverse ad incontrarsi, da questa semplice vicenda credo che quella che sia emersa sia una riflessione sul senso dell’abitare, ed in particolare sull’assurdità dell’abitare in città. Perché nelle città ci troviamo a vivere una situazione paradossale per cui mentre siamo sempre più vicini da un punto di vista spaziale finiamo in realtà per vivere esistenze completamente separate. Il secondo invece è totalmente ambientato in un mondo fantastico abitato da anatre bianche, dove una giovane anatra tenta di scoprire un mondo che ormai non è più quello che i suoi genitori le hanno raccontato o che credono sia. Il tema di questo secondo testo penso sia l’incomunicabilità tra le generazioni, un tema che vedo molto sentito e, soprattutto nella mia generazione porta con sé una notevole dose di sofferenza. Io sento il bisogno di dar voce a queste cose e spero che possano parlare anche ad altre

Guardando al teatro contemporaneo, quali sono secondo te le sfide più grandi che gli artisti devono affrontare per mantenere vivo l’interesse del pubblico?
Questa domanda è abbastanza difficile. Sicuramente già portare le persone a teatro non è facile, ma poi dobbiamo riuscire a creare qualcosa che le invogli a tornarci. Se penso a me, come spettatrice e non come attrice, vado a teatro per vivere più da vicino storie diverse, è come leggere un libro ma entrandoci dentro, quindi non mi basta che gli attori o il testo sia bello, voglio trovare una commistione di cose che mi parli e a cui posso credere per la durata di uno spettacolo. Quindi forse una delle sfide più grandi per un artista è proprio credere in prima persona a quello che fa mentre recita perché solo così il pubblico gli crederà. Poi ovviamente tra il dire e il fare c’è una bella differenza e non credo sia facile. Inoltre, credo che per tenere vivo l’interesse del pubblico, dovrebbe crearsi una tensione tra attore e spettatore, non credo che l’attore debba solo assecondare il pubblico facendo ciò che al pubblico piace, credo sia più interessante provare a creare un rapporto di dialogo che vada al di là del semplice intrattenimento.

Come immagini il futuro del teatro di ricerca e in che modo il tuo lavoro vuole contribuire a questa evoluzione?
Quello che mi immagino e che mi auspico è una crescente collaborazione e contaminazione tra le varie realtà che operano in questo settore. Il mio sogno sarebbe creare uno spazio di sperimentazione collettiva, dove vari artisti possano sperimentare, presentarsi i propri lavori a vicenda o in prove aperte e darsi e ricevere consigli. Il mio lavoro fin ora credo si inserisca in questa visione perché è nato grazie ad un percorso di questo tipo, grazie a tante artiste che mi hanno dato il loro sostegno, il loro parere e il loro supporto che spero presto di poter ricambiare.

Infine, quale consiglio daresti a chi si sta avvicinando al teatro oggi e sogna di intraprendere un percorso artistico simile al tuo?
Non credo di avere consigli da dare in realtà, preferisco piuttosto fare un invito. A chiunque oggi sogni di fare questo lavoro vorrei dire: incontriamoci, condividiamo insieme difficoltà, prospettive e sogni. Perché lavorare nell’arte è bellissimo e spesso è anche una passione quindi condividiamo i sogni che fa sempre bene, ma non dimentichiamoci che è anche un lavoro, ed un lavoro difficile. Quindi incontrarsi e condividere le proprie esperienze penso sia il modo migliore per renderlo migliore, spronandoci, supportandoci a vicenda e trovando modi per cambiare insieme quello che non funziona.

Grazie Salomè per il tuo tempo e complimenti per la tua carriera.
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