Karl Rome, pseudonimo di Carlo Romano, è uno scrittore, studente di sociologia e poeta appassionato che ha fatto della scrittura un potente mezzo di espressione e introspezione. Nato dal desiderio di dare voce ai sentimenti e agli stati d’animo spesso difficili da comunicare a parole, il suo percorso è una costante ricerca di autenticità e connessione. Con il suo progetto “Poesie scritte male” e una filosofia di apertura emotiva, Karl ispira coloro che lo seguono a riscoprire la propria sensibilità, accettando anche le proprie fragilità. In questa intervista esploreremo il mondo interiore di Karl Rome, le sue ispirazioni, e il suo legame profondo con la poesia come arte e strumento di vita.
a cura di Noemi Aloisi
Benvenuto Karl Rome, una delle tue grandi passioni è la scrittura, che cosa significa per te scrivere?
Per me la scrittura è un modo per esprimermi, ovvero “premere fuori” tutti i carichi emozionali; un modo per farmi uscire “fuori l’uscio della bocca” e riconoscermi anche al di fuori dei miei “appartamenti interiori.” Riuscire a salutarmi, sapere come sto e con quale nome rispondere al saluto. La scrittura è stata il mio mezzo di comunicazione quando la timidezza creava barriere nella comunicazione orale. A partire dai quindici anni, attraverso lo scrivere lettere, cercavo di rendere limpidi a me stesso e alle persone vicine i sentimenti che provavo in quel momento. Visto che attraverso questo esercizio riuscivo a stare bene, ho iniziato a praticarlo in maniera più assidua.
Sei uno studente all’Università di Torino, i tuoi studi sono inerenti materie umanistiche?
Sì, studio materie legate alla sociologia e alla psicologia, o comunque all’ambito umano. Questo è sempre stato per me un punto di interesse e forza, poiché mi sento molto legato alle persone. Ho intrapreso questo percorso di studi già in triennale, iscrivendomi alla facoltà di Servizi Sociali, con la consapevolezza di voler aiutare il prossimo, o meglio, di iniziare a conoscerlo partendo dalle sue fragilità. In una società che si presenta con ‘buon gusto,’ spesso sono proprio le categorie più marginali a nascondere la vera essenza dell’essere umano, poiché tendono maggiormente alla sopravvivenza e pertanto alla semplicità, rispetto ad altre che possiedono fin troppo.
Karl Rome è lo pseudonimo di Carlo Romano, come lo hai scelto e che rappresenta?
Karl Rome è nato semplicemente da un’esclamazione di una mia amica, conosciuta all’Università di Pisa. Sapendo della mia passione per la scrittura e del mio nome, ‘Carlo Romano,’ ha iniziato a chiamarmi così. Oltre a essere una traduzione diretta del mio nome in inglese, ‘Karl’ mi ha colpito per la sua etimologia germanica, che significa ‘uomo di condizione libera.’ Questa espressione mi ha sempre evocato il senso autentico di libertà, un profumo che sento di indossare profondamente in questa vita.
Scrivi da sempre poesie, cosa ti piace di questo genere letterario?
Della poesia mi piace il fatto che possa riassumere concetti ampi, come l’emozione d’amore, rabbia, tristezza, felicità, mantenendo comunque l’essenzialità di ciò che si sente. L’arte in generale, e la poesia come sua espressione, è ciò che più trattiene le radici a terra, ma tende al cielo. È ciò che tocca la parte più astratta dell’uomo, del mondo e della realtà, e dà spazio al dialogo con la nostra parte inconscia, aprendo porte a una percezione diversa del vedere e vivere la vita. Io sono la penna delle mie poesie e una buona antenna che capta parole che arrivano alla mia mente come messaggi casuali da una vibrazione più ampia che vive attorno a me e nell’universo. Solo aprendosi a questi recettori si possono recepire questi messaggi.
Da cosa ti lasci ispirare quando scrivi?
Mi lascio ispirare da tutte quelle cose che solleticano il mio interesse. In genere, non ho un momento specifico di ispirazione; tutta la giornata può essere un grande mare dove pescare parole. Le situazioni che però solitamente danno vita a più poesia sono quelle che partono dalla pancia e arrivano alla mente, come disordini causati da sofferenze e sbalzi d’amore che hanno bisogno di essere capiti e riordinati. Mi ispirano anche i luoghi, le persone, gli sguardi, i sorrisi, le passeggiate, la natura, una serie di note, queste, che compongono in me melodie da dettare sul foglio come sintesi di bellissimi disordini interiori.
Quali sono i tuoi libri e scrittori preferiti?
I libri che mi hanno più catturato fino ad oggi non sono tanto testi scritti, ma principalmente i fazzoletti di mio nonno, le estati passate alla vigna o al mare, le lunghe passeggiate con mio padre, le domeniche con mia mamma, l’odore di cioccolato dalla borsa della nonna e le rivelazioni d’amore sul divano nella casa in paese con mia zia. Questi sono una piccola parte di grandiose narrazioni di autori autentici che ho conosciuto di persona. Di testi materiali ne ho un po’, ma dirò i principali: Siddharta di Hermann Hesse, Il cammino di Santiago di Paulo Coelho, Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, The Compass di Tammy Kling e Vivere a squarciagola di Gio Evan. Sono dell’idea che siano i libri a leggere noi, o meglio, nella mia vita mi è capitato che in alcune situazioni ci fosse un libro specifico che mi descrivesse meglio, che leggesse una parte di me a un pubblico interiore a cui non riuscivo a spiegare la morale della mia fiaba.
Hai dichiarato di partecipare a “riunioni tra i sensibili”, cosa intendi in particolare?
Per ‘riunioni tra sensibili’ intendo persone che hanno una conoscenza approfondita della loro interiorità, che sfocia in un sano amor proprio e si declina in tante forme d’arte che esprimono agli altri. A volte creiamo gruppi da 10, 15, 20 persone, in cui si danza, si parla, si recitano poesie o storie, si canta e molto altro. Il sensibile è colui che conosce la sua anima per mezzo dei sensi e non ha paura di mostrarsi. In queste occasioni, si può essere deboli senza paura di giudizio, poiché tutti sono posti sullo stesso piano vibrazionale.
“Poesie scritte male” è il tuo progetto, di cosa si tratta?
“Poesie scritte male”, più che un progetto, è la mia filosofia. È da lì che è partito tutto: la mano sulla spalla che mi ha incoraggiato a scrivere e a mostrare agli altri, senza timore, ciò che mi vestiva dentro. È stato ed è il mantra che mi spinge oltre le onde della timidezza, la vela che ha conosciuto me come vento. E se ad oggi riesco a fare questa intervista, è anche grazie a questo. Dietro “Poesie scritte male”, c’è anche la paura del giudizio, il sentimento di non saper davvero scrivere. Ma ciò mi aiuta ad avere un piccolo posto anche per me nel mondo di chi si esprime artisticamente, e a incoraggiare le altre persone che non si mostrano sinceramente alla propria natura, perché percepiscono di essere incapaci ad affrontare il mondo. Per me, l’incapacità deriva da noi stessi, e se anche solo una persona afferma che ciò che fai suscita il bene, allora quella sarà la prima a dare inizio a tutto. E quella prima persona sei tu.
Hai mai pubblicato una raccolta poetica o hai intenzione di farlo?
Non ho ancora pubblicato una raccolta di poesie, ma ho intenzione di farlo al più presto, essendo un sogno che conservo nel cassetto da tempo. Il titolo che ho in mente è Sempre stato tra le nuvole, un’espressione che mi rappresenta e che, magari in futuro, potrò spiegare.
Oltre alla poesia credi che ti dedicherai anche ad altre tipologie di scrittura?
Al momento, oltre alla poesia, non ho in mente altre tipologie di scrittura. Sto ancora cercando di capire questa forma d’espressione e, ancor prima di essa, la lingua italiana, spesso considerata abbastanza conosciuta e messa da parte per imparare, anche, altre lingue straniere. Cerco di studiare e comprendere al meglio le etimologie derivanti dal greco e dal latino, che raccontano le storie dietro le parole italiane. Se si può considerare anche questo un altro tipo di scrittura, risponderei che, oltre alla poesia, c’è la conoscenza di queste ‘fiabe’ che si nascondono dietro le quinte delle parole.
Grazie Karl per la tua intervista e complimenti per tutto!
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