Laura Gramuglia è un’icona della narrazione musicale, una storyteller, dj e speaker che ha fatto della sua voce uno strumento di potere e di espressione. Dal racconto di amori a tempo di rock alla lotta per la parità di genere nell’industria musicale, Laura ha saputo costruire una carriera unica e appassionante. Autrice di libri tradotti in tutto il mondo e conduttrice di format radiofonici innovativi, la sua figura è diventata sinonimo di cultura, musica e femminismo. Oggi parliamo con Laura per scoprire cosa c’è dietro il suo incredibile percorso, il suo impegno per le donne nella musica e l’arte di raccontare storie indimenticabili.

a cura di Antonio Capua


Benvenuta su Che! Intervista, Laura! Iniziamo subito: hai raccontato storie di amori e di ribellione attraverso la musica. Se la tua vita fosse una canzone, quale sarebbe?
Una canzone appassionata, di quelle che ti accompagnano a lungo, un classico da riscoprire, ma anche un brano che necessita di più ascolti per entrare in circolo. Ogni giorno in fondo ha la sua colonna sonora che sarebbe un peccato ignorare. Oggi dunque è Sick Of The Blues di Porridge Radio. In prospettiva One Day After Another di Lou Doillon, ma anche There Is A Light That Never Goes Out degli Smiths; se le ascolti ti accorgerai che hanno entrambe autobus nei loro testi, potrebbero rappresentare brusche fermate o repentine ripartenze perché non possiamo mai sapere cosa ci riserverà il domani, ma conosciamo l’unica direzione possibile.

Da speaker radiofonica a dj e autrice: come sei riuscita a mantenere l’equilibrio tra queste diverse anime creative?
È sempre la stessa anima, non ho mai avuto la sensazione di scindere aspetti e passioni. Dal mio punto di vista si tratta di un percorso coerente, lineare. Mi sarebbe piaciuto esplorare e indagare molti altri aspetti della musica e della produzione, ma la giornata di sole 24 ore rappresenta un ostacolo difficile da arginare. È stato invece complesso cercare di illustrare e assoggettare queste anime al mercato. Un mercato che ha bisogno di codici, semplificazioni, scomparti prima di affidarsi a un prodotto. A volte ho avuto il privilegio e la libertà per continuare sulla mia strada, altre ho dovuto rinegoziare gli spazi. L’esempio lampante è costituito dalla volontà di scrivere non più solo di musica. Non è stato facile, l’editoria, come la discografia, rincorre profitti e limita i rischi, ma ho comunque cercato di non perdermi d’animo né di vista e sono molto lieta di poter annunciare che a tarda primavera tornerò in libreria con un libro che non parlerà di musica, ma che piacerà senz’altro a chi ha apprezzato Rock In Love.

“Rocket Girls” è diventato un vero e proprio manifesto di empowerment femminile. Cosa ti ha spinto a voler raccontare le storie di queste donne?
Ci sono storie che premono per essere raccontate. Quando ho iniziato a indagare le ragioni della disparità di genere nell’industria musicale mi sono accorta che cause, conseguenze e urgenze di questa differenza accomunavano l’intera sfera culturale. Le artiste ci sono sempre state, certo, non una rappresentanza paritaria, tuttavia hanno sempre abitato la propria epoca, ognuna cercando di coltivare talento e arguzia. Il problema è che chi ha raccontato la storia delle arti – uomini per lo più – spesso ha omesso questi nomi. Nomi di donne smarriti nelle pieghe del tempo cui il nostro secolo sta cercando di restituire spazio e visibilità. Partendo da questo assunto, ho cercato anch’io di offrire un piccolo contributo.

Nel tuo lavoro, come fai a coniugare la passione per la musica con il tuo impegno per combattere la disparità di genere nell’industria musicale?
Anche in questo caso si tratta di una questione inscindibile. Da appassionata e da professionista, la questione di genere nell’industria musicale non può più essere ignorata. Trovo anacronistico continuare a leggere lineup, programmazioni, convegni in cui la presenza di esperte raggiunge appena il 30% del totale. Sono numeri che conosciamo, sono numeri di cui si parla da tempo, ma che ancora permangono se alle parole e ai dibattiti non seguono i fatti. Per questo chiedo di sottoscrivere il manifesto di Equaly, la prima realtà italiana a occuparsi di queste tematiche di cui faccio parte. Con Equaly cerchiamo di rendere visibile l’invisibile. Lo facciamo attraverso la raccolta e la divulgazione di dati, attività di consulenza, formazione, programmi di mentoring e alimentando alleanze imprescindibili, in questo campo e non solo.

Tra i tanti format che hai creato e condotto, quale ti ha permesso di esprimere meglio la tua creatività?
Rocket Girls, oltre a esprimere la mia creatività mi ha permesso di accendere progetti e collaborazioni. Si tratta di un progetto che nasce all’interno delle Biblioteca delle Donne di Bologna, diventa libro per Fabbri Editori e programma radiofonico su Radio Capital. Segue il podcast dedicato alle professioniste e ai generi sottorappresentati nell’industria musicale, il dj set in vinile di sole artiste celebrato anche nel Capodanno in Piazza Maggiore a Bologna. Arrivano poi i reading sulla disparità di genere e le interviste-spettacolo in teatro a fianco di Cristina Donà ed Erica Mou. Infine i laboratori didattici nelle scuole che porto avanti con dedizione e partecipazione. Si tratta di un percorso che prende corpo ispirandosi a storie di artiste rivoluzionarie e professioniste nel campo della musica, figure iconiche intrise di passione e talento. La condivisione di queste storie favorisce un momento di connessione e offre un filo conduttore per l’espressione delle emozioni e dei sentimenti personali. Ascoltare storie coinvolgenti di pioniere che hanno affrontato sfide e hanno lottato per ottenere credibilità e legittimazione agisce come modello da seguire, stimolando risorse e potenzialità latenti. Tra gli obiettivi che mi sono prefissa quello di incentivare la consapevolezza delle ragazze e dei ragazzi sulla diversa rappresentazione e retribuzione che il mondo della musica per anni ha offerto alle sue artiste e ai suoi artisti. Ma anche introdurre all’ascolto ragionato, oltre alla fruizione social più conosciuta, cercando di stimolare la comprensione di un testo, la curiosità e l’interesse per un settore che oggi in Italia presenta ancora un grave gap sistemico e salariale. Insieme cerchiamo infine di articolare un’opinione, oltre il pregiudizio, prima di esprimere una criticità, nel rispetto di tutte le parti coinvolte.

Nel mondo dei podcast, che tu hai contribuito a far crescere con Spreaker, come pensi che la narrazione musicale si evolverà nei prossimi anni?
Il podcast nasce con l’idea di anticipare, elaborare e trasmettere un’opinione insieme alla notizia. Mi auguro dunque che questa funzione continui a essere al servizio di menti e voci illuminate. Pensieri laterali e accertati che possano contribuire ad alimentare il cambiamento. C’è una rivoluzione in atto, culturale, linguistica, femminista, ma mancano ancora autrici, produttrici, direttrici artistiche, giurate… Abbiamo poi un problema di accessibilità, perché quando le donne hanno le stesse opportunità che vengono offerte agli uomini – produzioni, proposte di brani, sessioni di scrittura con professionistə– ottengono la stessa affermazione. La disparità di genere non è ancora stata colmata, ma almeno abbiamo maggiore consapevolezza e qualche strumento in più per riconoscerla. Stiamo per esempio offrendo un nuovo significato, più ricco alle parole. Fino a non molto tempo fa quando si parlava di “esperienza femminile” in musica si intendeva quel tipo di pratica che ha a che fare con l’artigianato, il controllo, la cura dei dettagli, più che all’arte nella sua interezza. Oggi possiamo considerare “esperienza femminile” uno sguardo variegato, complesso, differente. Credo che la narrazione musicale non possa ignorare questi temi.

Hai affiancato grandi nomi della musica italiana e internazionale. Qual è stato il momento più emozionante della tua carriera e perché ti è rimasto impresso?
Ci sono stati diversi momenti emozionanti e tutti hanno a che fare con un palco. Sia che mi trovi al centro, al lato, dietro o davanti a quelle assi, insieme al pubblico, sono convinta che la performance dal vivo sia unica e per questo indescrivibile. A commuovermi è il talento, quindi non stiamo parlando di stadi e grandi arene, si può anche essere uniche spettatrici di un momento irripetibile. Da autrice trovo eccitante quel momento in cui la casa editrice ti sottopone le prime prove di copertina e inizi a immaginare il tuo libro tra gli scaffali. Si tratta di attimi personali, condivisibili. Provo infine grande entusiasmo quando ascolto una canzone, leggo un libro, vedo un film e intuisco che quell’opera mi resterà accanto ispirandomi per il lavoro a seguire; non accade spesso, ma quando succede è un’epifania.

Se potessi dare un consiglio alla “te” che stava iniziando in questo mondo, cosa le diresti? Quali errori ti hanno insegnato di più?
Alla me stessa di allora sarei lieta di offrire abbracci e fiducia. Dagli errori si impara, ma paura e insicurezza si insinuano e radicano fino a farti dubitare delle tue capacità. Non sentirsi all’altezza o sentirsi costantemente giudicate non permette di esprimersi liberamente. E invece occorre continuare a porsi domande per andare avanti, sperimentare e attivare un confronto con più persone possibili. Le alleanze sono fondamentali. Se da giovani si è portate a correre una maratona, contando unicamente su forza, volontà e abnegazione, ecco che l’esperienza porta a comprendere che le capacità non sempre bastano, occorre crearsele le opportunità e giocare in squadra per accelerare il cambiamento. Lo sappiamo, siamo solo all’inizio del nostro viaggio, un viaggio in cui ci viene offerta la possibilità di imparare dalle nostre compagne, confrontarci e fare rete.  Avere modelli di riferimento è uno snodo cruciale, ispirarsi a chi ha già percorso prima di noi quella strada, immaginare che se qualcuna ce l’ha fatta allora una chiave c’è, si tratta solo di adattarla ai tempi e alle possibilità di ciascuna, restando con i piedi ben pianati a terra, ma immaginando futuri possibili. E ancora, alzare la voce per essere ascoltate e non soltanto tollerate; quante volte la voce femminile è stata ritenuta meno gradevole rispetto a quella maschile, pensateci, accade ancora oggi, nella musica, in radio… Ma non dare peso a una voce significa delegittimarla, renderla irrilevante, toglierle potere; eppure, come ci ricorda l’autrice, giornalista e attivista Rebecca Solnit “la credibilità è uno strumento essenziale di sopravvivenza.”

Qual è il prossimo sogno di Laura Gramuglia? C’è un nuovo progetto o una nuova storia che senti di dover raccontare?
Il mio desiderio più grande è quello di poter continuare a svolgere il lavoro che più amo. Come ricordo sempre a ragazze e ragazzi durante i laboratori, ciò che più ci piace fare è anche ciò che ci riesce meglio, dunque quando individuiamo la nostra passione occorre coltivarla, farla crescere e prosperare. Ogni giorno ci sono progetti che mi attraggono, ovunque ci sono storie che vale la pena conoscere e raccontare. Mi piacerebbe vedere sempre più ragazze negli ambiti in cui la loro presenza risulta sotto-rappresentata come la produzione musicale e le materie tecniche. Vorrei che ognuna si sentisse legittimata a vivere la propria passione non come un’aspirazione bizzarra, ma come una reale opportunità di studio e carriera. Mi piacerebbe che la prossima conduttrice del Festival di Sanremo fosse anche direttrice artistica e vorrei continuare a restituire credito e riconoscenza a chi è stata messa da parte dalla storia perché in anticipo sui tempi. Ma se la domanda ha a che fare unicamente con il sogno allora ti rispondo stage diving o un più tranquillo crowd surfing.

Grazie Laura del tuo tempo! Complimenti per tutto!
Tienici aggiornati! Continua a seguirci su Che! Intervista.

Per saperne di più visita:
Facebook | Instagram | X

Richiedi un’intervista esclusiva!

Copy link