Nata a Brescia dove tuttora vive, Laura Moreni è laureata in Scienze della Comunicazione e si occupa di editing e correzione di bozze come freelance per case editrici e agenzie editoriali. Dal 2010 gestisce il blog Parole e Prezzemolo, che tratta di letteratura e narrazione ma anche di cucina e pittura e decorazione, attraverso il racconto di esperienze personali e professionali.
È autrice di La teoria delle briciole pubblicato nella collana Narrativa da Bertoni Editore, con cui erano già usciti il primo romanzo, Siamo come le lumache (2021; finalista al “Premio Città di Terni”, I edizione; finalista al “Premio Giorgione”, VII edizione) e il racconto La gabbia nella raccolta Lo spirito del luogo (2022) dedicata al borgo di Corciano.
a cura di Francesca Ghezzani, giornalista ed autrice tv
Laura Moreni in poche righe: che donna e che scrittrice sei?
Sono una donna semplice, ma allo stesso tempo anche molto complessa. Non mi piacciono le complicazioni, le falsità e l’opportunismo, sono molto idealista e autocritica. Tendo a sentirmi un po’ estranea al mondo, a volte, perché non mi piacciono certe espressioni della nostra società: preferisco guardare dentro di me. Amo la vita. In quanto scrittrice, immagino di non essere troppo diversa: prediligo raccontare storie di persone comuni e indagare nella loro psiche, scavare nei loro rapporti e immaginare le vite dei miei personaggi come fossero individui reali.
Quando hai iniziato a scrivere e, soprattutto, potresti farne a meno?
Ho sempre scritto, fin da bambina, anche se per lungo tempo l’ho fatto solo per me. Ma ho sempre sognato di diventare una scrittrice. A un certo punto, era il 2019, avevo una bella storia che mi ronzava in testa e ho deciso di scriverla, cambiando la mia modalità; sapevo che volevo cimentarmi in un romanzo, non ero più alle prese con uno scritto privato: ho dovuto educare me stessa a una rigorosa disciplina e a una buona dose di professionalità, e cercare, per quanto possibile, di essere distaccata, di mettermi nei panni di un eventuale lettore. Così è nato Siamo come le lumache, uscito nel 2021, che mi ha dato molta soddisfazione. Da lì in avanti non ho mai più pensato di poter vivere la mia vita senza la scrittura. Quindi no, non posso farne a meno, anche se tra un libro e l’altro mi accorgo di aver bisogno di un po’ di tempo per defaticare, azzerare le emozioni, ripartire daccapo con le idee. È un tempo di pulizia.
Come avviene il processo di scrittura: di getto o fin dall’inizio hai tutta la storia in mente?
La storia in mente ce l’ho sempre, anche se durante il processo di scrittura può modificarsi, o prendere direzioni inaspettate. Diciamo che so di voler andare da un punto “A” a un punto “Z”, ma quello che accade in mezzo quasi sempre è una sorpresa anche per me. Lascio che siano i personaggi a trainarmi, gli episodi che racconto e l’emozione che provo mentre li descrivo. A volte scrivo di getto e poi rivedo tutto il materiale; altre, invece, come nel caso de La teoria delle briciole, ho lavorato capitolo per capitolo e non sono andata avanti finché non ero soddisfatta del risultato. È stato un lavoro molto controllato. La revisione, in effetti, ha agito pochissimo sul manoscritto rispetto al romanzo finito.
Però ho sempre chiaro in mente quali sono i punti che voglio a tutti i costi affrontare, diciamo che sono i fari nelle onde anomale della mia scrittura.
Per i tuoi personaggi, invece, sei solita ispirarti a qualcuno?
Di solito no, ma rubacchio da persone reali certi tratti che mi colpiscono: un modo di camminare o sorridere, alcune espressioni, i tic, le caratteristiche fisiche o umorali. Un difetto di pronuncia o una mania, un’ossessione: l’ispirazione può essere infinita. Poi assemblo il tutto per arrivare alla denotazione che voglio imprimere. Credo di riuscire bene nella caratterizzazione dei miei personaggi, proprio perché non sono stereotipati ma “composti” da tratti che nella realtà esistono, eccome. Il resto lo fa la mia fantasia.
Ci racconti del tuo ultimo libro?
Penso sia un buon libro, e un libro da leggere. Ho voluto raccontare momento per momento l’evoluzione di una donna nell’arco degli anni, attraverso il suo stato emotivo: ogni capitolo rappresenta un passaggio specifico, e quindi in alcuni domina la serenità, in altri la rabbia o la paura o il senso di colpa, in altri la felicità. Ho parlato di una donna comune, con una vita appagata, in cui a un certo punto irrompe l’Imprevisto che scardinerà ogni certezza: così studio il modo con cui la mia Claudia affronta, via via, l’evolversi della situazione. È un libro d’amore, declinato in ogni sua forma: l’amore coniugale ed extraconiugale, l’amore genitoriale e filiale, l’amore quando è amicizia.
A mio parere è un romanzo interessante e che porta a riflettere.
Ci sono possibili parallelismi con il precedente?
Più che parallelismi parlerei di una sorta di continuum: in Siamo come le lumache ho raccontato la storia di una donna dall’infanzia ai suoi quarantacinque anni, mentre in La teoria delle briciole la narrazione prende avvio proprio nel giorno del quarantesimo compleanno della mia protagonista, e prosegue per oltre vent’anni. Ho tentato di analizzare ogni fase della vita, e in entrambi i romanzi il punto di vista è quello di un personaggio femminile, che racconta in prima persona la sua storia.
Per il resto i due romanzi sono molto diversi, anche nella loro struttura narrativa: nel primo ho usato molto il flashback, che ho alternato ritmicamente alla linea del tempo presente, finché le due linee non si incontrano e si giunge all’esito della storia. Era un romanzo “circolare”. La teoria delle briciole, al contrario, è un romanzo “lineare”, in quanto ho scelto di raccontare le vicende in un ordine cronologico, sempre al tempo presente: come dicevo prima ogni capitolo è un momento, uno scatto che imprigiona un dato stato d’animo o una precisa circostanza.
Ti sei anche cimentata con la forma narrativa del racconto. La brevità ti appartiene o ti senti più a tuo agio nei romanzi?
Mi sento più a mio agio nei romanzi, perché mi piace scavare, approfondire le personalità dei personaggi, i dettagli degli eventi. In un racconto è complicato, difficile riuscirci. Bisogna essere capaci di creare un’atmosfera in pochi passaggi, saper dire molto in poche righe, lasciando però al lettore una sorta di sospensione immaginativa: dirigerlo verso un certo punto ma poi liberarlo. A me invece piace approfondire. Anche come lettrice non amo molto i racconti, nella maggioranza dei casi non trovo il tempo per appassionarmi. Un’eccezione per me sono stati i racconti di García Màrquez, che come il resto delle sue opere mi hanno trasportata altrove, e “Il vecchio lottatore”, un racconto lungo di Antonio Franchini che mi ha davvero colpita per la crudezza e il sentimento di cui è intriso. Tuttavia non posso non apprezzare scrittori come Carver, Hemingway o la Woolf, che nella forma del racconto hanno saputo sguazzare e donarci pezzi indimenticabili.
Per me comunque si tratta di una forma narrativa non naturale: preferisco nuotare in acque più profonde. Annegarci, magari.
C’è un genere che sei certa di non andare mai a sperimentare in futuro?
Non voglio mettermi limiti, ma credo che non mi butterò nel calderone del Fantasy, né in quello della fantascienza. E aggiungerei anche il Romance.
In chiusura, oltre all’attività di scrittrice ti occupi di editing e correzione di bozze come freelance per case editrici e agenzie editoriali. Cosa non ti piace dell’editoria e cosa, al contrario, trovi vincente?
L’editoria è una lunga filiera, che può far spazientire e frustrare. Questo certo non mi piace, né come scrittrice né come operatore. Odio anche quel senso di superiorità che certe case editrici sfoggiano, in particolare verso gli scrittori esordienti, perché spesso si lasciano sfuggire delle piccole perle. Così come mi infastidisce l’atteggiamento opposto, quello in genere delle piccole case editrici, che spesso pubblicano tanto e male, senza la cura necessaria a produrre un buon libro: il livello è basso e in troppi casi scadente, sia per quanto riguarda la qualità effettiva del testo, sia per tutto ciò che concerne la forma: non sopporto i libri zeppi di errori di ortografia, ad esempio, perché ritengo questa poca cura offensiva nei confronti dell’autore e del lettore. Ci vorrebbe più scrematura, un maggior investimento sulla qualità. Infine, non credo sia giusto che la promozione di un libro sia quasi esclusivamente a carico dell’autore: un buon editore dovrebbe occuparsi anche del supporto nella promozione.
Quello che trovo vincente è l’entusiasmo degli scrittori e di alcuni editori e agenti letterari che credono davvero nei loro autori: non si scoraggiano e insistono sempre, e cercano di migliorarsi di continuo. È l’unico approccio vincente, perché se si diventa più esigenti, ciò si riflette in genere sull’intera filiera e garantisce, a prodotto finito e pubblicato, la soddisfazione di ognuna delle parti in causa. Non per ultimo il lettore, che è poi l’obiettivo a cui mira ogni libro.
Grazie del tuo tempo Laura e complimenti per tutto!
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