Scrittrice, poetessa, drammaturga e musicologa. Il suo contributo artistico attraversa diversi ambiti, dalle fiabe alla poesia, dai saggi alla drammaturgia, con una forte attenzione al legame tra testo e musica. In questa intervista, esploriamo il suo vasto percorso artistico, le sue influenze e la sua visione del mondo creativo.


Benvenuta Lina, provieni da una famiglia con una lunga tradizione artistica. In che modo la figura di tuo nonno, Luigi Ugolini, ha influenzato la tua carriera e la tua passione per la scrittura?
Da piccolissima mio padre mi leggeva i suoi libri. Ascoltavo incantata, dicevo a me stessa che da grande avrei fatto la scrittrice. La lettura dei suoi romanzi e di tanti altri libri ha accompagnato la mia crescita. Specialmente la collana delle “Vite romanzate” edita dalla SEI di Torino, dedicata ai grandi uomini del passato, ha offerto all’immaginazione un modello: crescere nella perfezione e nell’amore per l’arte.

Hai unito la tua attività di scrittrice a quella di musicologa. Cosa ti ha spinto ad approfondire il rapporto tra testo e musica e in che modo queste due discipline si arricchiscono a vicenda nel tuo lavoro?
Ho iniziato a scrivere a sei anni poesia, il linguaggio delle immagini, delle emozioni, del ritmo, della musicalità. L’arte dei suoni e l’arte della parola condividono una danza segreta, dal loro incontro nasce il canto, il teatro. Credo nell’invenzione di una voce che narra, evoca, ascolta, esegue, inventa esistenze. La scrittura è suono, ogni mio libro possiede una musica, un pentagramma emotivo che plasma la realtà d’ogni storia.

Lavori con alcuni dei maggiori compositori siciliani, scrivendo libretti e testi poetici per il teatro musicale. Qual è la sfida principale nel creare un libretto che riesca a dialogare con la musica?
La poesia per musica deve alludere, muovere affetti ovvero andamenti ritmici idonei alle emozioni. Un libretto segue una metrica a volte regolare, altre meno. Dipinge caratteri, stati d’animo, immagini che lo sguardo del poeta offre al musicista. Sul verso si poggiano le note. Occorre offrire concisione, densità, impalpabilità.

Hai scritto opere destinate a un pubblico di tutte le età, dalle fiabe per bambini a saggi complessi sulla musica e la letteratura. Quale approccio adotti quando ti rivolgi a questi pubblici diversi?
Mantengo sempre alto il livello della scrittura. Seguo soprattutto la profondità di parole autentiche, vibranti. La scrittura arriva sempre quando è necessaria per l’autore e non costruita, semplificata, banalizzata per fini commerciali. Il mio mestiere è fare Letteratura. La buona letteratura è per tutti coloro che la cercano e la amano. Nel nostro millennio impresa ardua. Si legge poco e male.

Scrivi quotidianamente sulla scrivania appartenuta a Luigi Bonaparte, un elemento carico di storia. Quanto influisce l’ambientazione fisica sul tuo processo creativo e in che modo questo legame con il passato arricchisce la tua ispirazione?
Amo gli oggetti che respirano di vita vissuta. La scrivania che fu di Luigi Napoleone re d’Olanda e che mio nonno comprò da un antiquario di Firenze, porta molte cicatrici, fori, segni. Il legno è consumato, intaccato, possiede una memoria tacita. Lo accarezzo spesso. Sa di corteccia vecchia e saggia. Qualità che giovano alla scrittura, alla conoscenza dell’uomo.

Il tuo libro “William Shakespeare e la tempesta del guanto mascherato” ha vinto il premio Andersen come Miglior Progetto Editoriale. Cosa significa per te ricevere questo riconoscimento e quali aspetti di questo progetto pensi abbiano colpito maggiormente il pubblico?
Il premio Andersen è stato vinto dall’editore palermitano rueBallu per l’intera collana Jeunesse, libri preziosi nella fattura, nella scelta della carta e degli illustratori. Amo molto l’etica che li contraddistingue nel panorama editoriale e sono orgogliosa di fare parte del loro catalogo con cinque titoli. Oltre al già citato: “Rossini piano pianissimo, forte fortissimo”, “Ravel Adelaide e i sortilegi”, “Tu sei mio io sono tuo. La forza e la pace sulle ali di Federico II”. “Il romanzo “La musica nel tempo dei fiori di cappero.”

Sei docente di poesia per musica e drammaturgia musicale presso il Conservatorio di Catania. Quali sono i principali insegnamenti che cerchi di trasmettere ai tuoi studenti e come riesci a stimolare la loro creatività in ambito musicale e letterario?
L’insegnamento non è un percorso di crescita unilaterale, ma piuttosto un dialogo, animato dal desiderio di conoscere insieme all’allievo. La condizione ottimale per curare la formazione di giovani cantanti lirici e compositori è certamente quella di far capire loro l’importanza di coltivare e disciplinare un percorso di studio prettamente creativo, sensibile a molteplici sollecitazioni subordinate all’osservazione del mondo, alla lettura, alla comprensione profonda del linguaggio poeti­co, fonte inesauribile di conoscenza dell’animo umano. L’idea della poesia è necessaria alla musica come la musica è fonte vitale di poesia.

La tua carriera è stata arricchita da numerosi premi e riconoscimenti. Quale di questi ti ha segnato maggiormente e quale traguardo senti di voler ancora raggiungere nel tuo percorso artistico?
A dire il vero non credo molto nei premi. Non sono una persona di potere, dico sempre quello che penso, credo nel talento e nel dono di preservare un cuore bianco per raccontare il mondo. Quelli che mi sono stati assegnati provengono da giudizi scevri da logiche di favori o altro. Li conservo con pudore e umiltà.

Hai curato vari progetti di scrittura creativa e divulgazione musicale per i più giovani. Secondo te, qual è l’importanza di avvicinare le nuove generazioni alla letteratura e alla musica in un’epoca così tecnologica e frenetica?
Continuo a lottare per la bellezza, la scrittura autentica, il valore dei libri tangibili, dell’immaginare umano e non virtuale. Porto avanti con folle tenacia l’esempio di ciò che sono. Risalgo correnti avverse, venti contrari e mari burrascosi.

Cosa possiamo aspettarci dalla tua produzione nei prossimi anni, sia in ambito letterario che musicale?
Sono sempre alla ricerca di un solo editore che possa pubblicare tutto quello che ho scritto.
A dicembre uscirà un nuovo libro per Scatole Parlanti: “Solitudini da rete mobile”. La scrittura si compone di frammenti di sguardi colti nella mobilità del viaggiare. Annotazioni contratte, rapide, espressione di un tempo condizionato dalla Rete, da una dipendenza cronica da connessione. La narrazione procede su due binari. All’osservare oggettivo della realtà si alterna il cammino di due donne: colei che scrive e colei che non vede, la presenza di una cieca di nome Ada. Trovarsi soli con uno smartphone e l’essere soli con se stessi. Ada risponde al bisogno di un dialogo, alla necessità di un sostegno transitorio. Mobile è attributo che segna il presente del terzo millennio. Mobile comunque il tempo. Mobile ogni solitudine.
È un libro speciale, dentro ci siamo tutti.

Grazie carissima Lina per questa interessante intervista. Tienici aggiornati!
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