Linda Fisichella: danzare il mondo, dalla scena teatrale ai palchi internazionali

Linda Fisichella è una performer poliedrica che ha dedicato la sua vita alla danza, fin da bambina. Con una formazione eclettica che abbraccia danza classica, modern jazz, flamenco e recitazione, Linda ha calcato palcoscenici di tutto il mondo. Dai teatri europei alle navi da crociera, dai parchi divertimento alle produzioni musicali di fama internazionale, la sua carriera è un viaggio in continua evoluzione. In questa intervista, esploriamo i momenti più significativi del suo percorso artistico e il suo rapporto intimo con la danza e lo spettacolo.

a cura di Antonia Capua
foto di Giulia Marangoni @giuliamarangoniph


Linda, hai iniziato a danzare giovanissima, a soli quattro anni. Che cosa ti ha attratto inizialmente della danza, e come è cambiato il tuo rapporto con quest’arte nel corso della tua carriera?
Il primissimo approccio, per ovvi motivi non lo ricordo, ero troppo piccola, come tante bimbe esuberanti ed estroverse ballavo in giro per casa quindi mia madre decise di iscrivermi ad un corso di danza classica che ovviamente in tenera età si tratta di propedeutica alla danza. Da quel momento non ho più smesso, mi sono appassionata da subito. Ci fu giusto un breve periodo, ero più grandicella, forse intorno agli 8 anni, perché ho dei ricordi vaghi, che mamma mi raccontò che per mettermi in castigo non mi fece andare a lezione di danza per qualche settimana, la ricordo come la settimana più brutta della mia infanzia. 
Un giorno, vedendomi triste e stranamente silenziosa mi chiese se fosse successo qualcosa e le risposi che mi aveva tolto “l’aria che respiravo”, ero già un’attrice drammatica, “una piccola Filumena Marturano” come mi chiamavano al corso di recitazione dell’oratorio del mio paese.
La vera “svolta” arrivò quando alla fine degli anni 90 mi portò a vedere GREASE, prodotto dalla Compagnia della Rancia, ovviamente cast Cuccarini/Ingrassia/Renata Fusco (musical che già teneva incollate me e una mia compagna di corso a casa davanti alla tv, non capivo il reale motivo per il quale parlassero e ad un certo punto cantassero e ballassero ma so che mi piaceva tantissimo) quando arrivai all’allora PalaVobis di Milano ero convinta che avrei visto John Travolta, Olivia Newton John ma, soprattutto Stockard Channing, perché era lei il mio personaggio preferito, per me Rizzo è sempre stata la vera protagonista di Grease.
Ovviamente con grande sorpresa non capivo perché cantassero e parlassero in italiano ad ogni modo, ne restai folgorata e a fine spettacolo le dissi “da grande voglio fare come lei” riferendomi a Renata Fusco che interpretava Rizzo.  
Ho sempre continuato a fare danza fino ad approdare per caso all’audizione della mia Accademia professionale quando ho finalmente realizzato che avrei intrapreso questa carriera, ed eccoci, quasi 20 anni dopo, ogni volta che metto piede sulle assi di un qualsiasi palcoscenico, può essere la sagra di paese o il Teatro Brancaccio di Roma, sento sempre lo stesso fuoco ardere dentro di me, quella scintilla che ti fa capire che sei nel posto giusto!

Hai lavorato in spettacoli teatrali, navi da crociera e parchi divertimento. Qual è stata la sfida più grande nel passare da un contesto performativo all’altro? E quale ambiente ti ha fatto sentire più a casa sul palco? 
Inutile dire che il Teatro è il mio primo grande amore, lo sarà per sempre e probabilmente è il posto dove mi sento più a casa. Fortunatamente grazie alla mia formazione sono stata in grado di lavorare in diversi ambiti ed è proprio questo che avrei voluto fare nella vita, provare tante cose diverse.  La sfida più grande di performare in contesti diversi è comprendere che sono tre linguaggi (Teatro, Nave, Parco) simili ma allo stesso tempo completamente differenti, a tratti opposti; quindi, di conseguenza adattare e smussare il mio modo di stare in scena in base alle richieste del luogo in cui mi trovo. A prescindere da questo cerco sempre di dare il massimo delle mie capacità indipendentemente dal contesto lavorativo.

Il tuo ruolo come Capo balletto e Swing a Leolandia è un mix di responsabilità e creatività. Come riesci a mantenere alta la motivazione e l’energia in un contesto così dinamico e rivolto a un pubblico di tutte le età?
Questa è una domanda difficilissima, non saprei quasi da dove cominciare e soprattutto non è facile riassumere la risposta in poche righe. 
Per fortuna come indole non ho mai fatto fatica ad avere la motivazione giusta, sono una persona estremamente entusiasta e appassionata anche nella vita di tutti i giorni. Se trovo qualcosa che mi piace mi ci butto a capofitto ma soprattutto sono estremamente curiosa, di fare, di vedere cose nuove, scoprire nuovi spettacoli e, di base adoro realmente il mio mestiere, non ho tecniche o segreti particolari per tenere alta la motivazione, non ne ho mai avuto bisogno. Al contrario di molti colleghi con i quali spesso mi trovo a parlare, non sono una persona che “patisce” la ripetizione, quindi non mi pesa fare gli stessi spettacoli per tanti mesi (parlo al plurale perché a Leolandia abbiamo una programmazione che comprende svariati spettacoli all’interno della giornata) ovviamente anche il ruolo di Swing aiuta perché assolutamente spezza la routine, ogni giorno non è quasi mai uguale all’altro, anche se io non sono sempre il canonico Swing off stage che entra in scena solo in caso di sostituzioni programmate o di emergenza, in base al periodo dell’anno sono anche Swing on stage, quindi faccio tutti i giorni gli spettacoli con i miei colleghi e mi adatto in base alle esigenze del momento, se siamo tutti faccio “le mie posizioni” altrimenti faccio quelle di qualcun altro.
Il ruolo di Capo balletto avrebbe bisogno di una domanda a parte, diciamo che è una figura che richiede delle competenze che esulano dal campo artistico come il problem solving e la capacità di essere leader ma, allo stesso tempo, è qualcosa che nessuno ti insegna, lo impari lavorando, osservandolo fare agli altri e, soprattutto (come tutti i mestieri) sbagliando!
Devi apprendere come relazionarti con le persone nel modo giusto, cercare di essere equa nei confronti di tutti, ma soprattutto bisogna avere tonnellate di pazienza, infinita pazienza, cosa che non ho minimamente nella vita di tutti i giorni, è un aspetto del mio carattere che riservo solo al mio lavoro.

Hai partecipato a produzioni come Elvis – The Musical e Saturday Night Fever. C’è stato un momento durante queste esperienze in cui hai sentito di aver raggiunto un nuovo livello artistico o personale
Sicuramente in Saturday Night Fever. Avevo delle piccole battute, insieme al protagonista Tony Manero, in tedesco, la prima scena parlata dello spettacolo, fortunatamente erano richieste con forte accento italiano perché sarebbe stato ancora più difficile. All’inizio mi sembrava impossibile ma ce la feci, in più ero ensemble e solista perché interpretavo, insieme ad un mio carissimo amico e collega, una delle due coppie che nel secondo atto partecipavano alla gara di ballo, quindi, avevamo un momento tutto nostro all’interno dello show. 
Ci esibivamo in un teatro all’aperto stupendo, ai piedi di uno dei laghi più grandi di tutta la Svizzera, un palco immenso di quasi 40 metri, con scenografie altissime, mi sono ritrovata a cantare con altre due colleghe su di un ponte alto dieci metri davanti a 1700 spettatori ogni sera, fu davvero un’esperienza bellissima.

Essere una performer in tournée, soprattutto in spettacoli di grande richiamo come Aggiungi un Posto a Tavola, richiede impegno e flessibilità. Come riesci a mantenere equilibrio tra vita personale e professionale durante una tournée?
La cosa più importante di quando si è in tournée, che a me personalmente aiuta a gestire la stanchezza e a mantenere la concentrazione, è cercare di ricreare una routine, di avere delle abitudini che ti facciano pesare meno il fatto di dormire in una settimana magari in tre posti diversi. Non è facile, soprattutto all’inizio si fa fatica, in particolare con gli orari, ma non è impossibile. Quando hai del tempo libero e torni a casa, la cosa principale è cercare di staccare completamente dal lavoro, riposare, fare attività completamente diverse, un vero e proprio detox magari anche a livello alimentare, mangiare bene e prendersi cura di se stessi, cosa che delle volte non è sempre possibile in tour.

Hai danzato in diverse parti del mondo, dall’Europa all’Asia, fino alla Groenlandia. Come ha influenzato il tuo modo di esprimerti sul palco il fatto di esibirti di fronte a culture così diverse?
Ogni pubblico, per ragioni culturali ha modi differenti di reagire ad uno spettacolo, non tutti ridono alla stessa battuta o applaudono nello stesso momento, c’è chi non applaude mai durante lo spettacolo e poi alla fine si consuma le mani. Noi come artisti dobbiamo cercare di veicolare il nostro messaggio nel migliore dei modi ed essere pronti ad accogliere risposte differenti. 

Come donna e artista nel mondo della danza, hai mai affrontato sfide particolari legate al tuo genere o all’immagine del corpo? E come hai trovato il modo di navigare in un mondo che spesso impone standard rigidi?
Devo essere sincera, non mi sono mai trovata in situazioni scomode e non ho mai dovuto affrontare sfide particolari legate al mio genere, ovviamente le cosiddette battutine “sessiste” sono arrivate ma, ho sempre messo con fermezza e allo stesso tempo gentilezza il mittente “al suo posto”. La danza, il teatro e l’intrattenimento in generale sono uno stile di vita che abbracci a tutto tondo, non solo quando lavori, ovviamente è bene scindere la professione dalla vita privata ma rimane pur sempre uno stile di vita. Chi nasce artista lo è per sempre quindi il modo di navigare in questo mondo è arrivato naturalmente, non ho mai vissuto nessuna imposizione, al contrario, ho scelto io di condurre questa vita e, se tornassi indietro, lo rifarei altre mille volte.

Sei stata ballerina e attrice in parchi tematici come Gardaland, un ambiente che richiede una forte interazione con il pubblico. Come riesci a mantenere l’intensità della performance costante e a creare una connessione con gli spettatori, soprattutto in contesti non teatrali?
Il contesto del Parco divertimenti è un contesto molto particolare, il mio approccio professionale nei confronti del lavoro è come quello di un teatro vero e proprio, perché a conti fatti lo è, solo che è come se si trovasse all’interno di un contenitore insieme ad altre cose.  
È l’approccio del pubblico che cambia, non è un pubblico pagante che sceglie di acquistare un biglietto per uno spettacolo specifico, l’intrattenimento dal vivo è una delle cose che viene offerta insieme al resto delle attrazioni. Molte persone entrano senza avere la più pallida idea di cosa vedranno e ne escono stupiti, magari scopri anche che non avevano mai messo piede in un teatro in vita loro, altri semplicemente perché quel giorno ci sono 40 gradi e vogliono stare al fresco o viceversa l’inverno vogliono ripararsi dal freddo, quindi, fondamentalmente non sono li “per lo spettacolo” e sono i più difficili da conquistare, ma alla fine sono quelli che poi, il più delle volte, ti ricambiano con applausi scroscianti. 
Infine, ci sono loro: gli abbonati! Fan sfegatati che vengono ad ogni singolo show di ogni singolo giorno e quasi ti venerano come se fossi una pop star. Il segreto è trovare una costante, può essere il tipo di allenamento o una specifica routine, ognuno ha il suo metodo.
Ogni spettatore si merita la miglior performance che puoi dargli in quella giornata, anche perché nei parchi arrivano persone da tutta Italia e delle volte ci sono anche turisti internazionali.
Lo show deve andare in scena al suo meglio, come se fosse sempre la prima volta, questa è la parte più difficile del lavoro, soprattutto per il capo balletto, riuscire a trainare e a spronare il gruppo cercando sempre di mantenere l’energia alta, la pulizia e la fluidità dello spettacolo, far risultare una replica di Marzo allo stesso livello di una fatta ad Agosto dove hai già tanti mesi di contratto sulle spalle. 

Oltre alla danza, hai studiato anche canto e recitazione. In che modo queste discipline complementari hanno arricchito la tua performance come ballerina e quale ti senti più vicina, a parte la danza? 
Partiamo dal presupposto che per me, in primis, dobbiamo essere tutti attori. Per essere attore non devi per forza parlare, l’aspetto della parola lo puoi sviluppare in un secondo momento prendendo parte alla canonica lezione di recitazione. Io ho cominciato con la danza, ma era l’esigenza di comunicare che mi ha spinto a farlo, non il movimento fine a se stesso, forse è per questo che provo questo amore non quantificabile per il Musical che trova la sua massima espressione fondendo tutte e tre le discipline insieme. 
Ho scoperto lo studio vero e proprio del canto e della recitazione in età adulta, intorno ai 16/17 anni, se escludiamo il famoso corso di recitazione da bambina all’oratorio, ma ho sempre amato cantare e recitare, per me le tre discipline vanno di pari passo. 
Non si può pensare di eseguire e basta, se balli devi interpretare, se canti altrettanto.
Ovviamente la danza è la disciplina che mi “stressa” meno, per il canto ancora soffro un po’ l’ansia da prestazione, sono cosciente di non avere la stessa dimestichezza e sicurezza che ho nella danza ma è una disciplina che mi piace troppo e che trovo a tratti liberatoria.

Quali sono i tuoi sogni più grandi come artista? C’è un progetto, una produzione o un palcoscenico che sogni ancora di conquistare? 
In generale mi auguro di poter stare sul palco il più a lungo possibile, so già che finiranno per dovermi cacciare perché sembrerò la vecchia decrepita che non vorrà arrendersi allo scorrere del tempo. 
Diciamo che sogno in grande, sogno cose non realizzabili in Italia, quindi non è proprio facilissimo arrivarci…ma, mai dire mai. 
Sicuramente una cosa la so, quando davvero arriverà il momento di appendere le scarpe, i lustrini e le piume al chiodo vorrò continuare ad affiancare coreografi, registi o direttori artistici. La figura dell’assistente è un ruolo che mi piace tantissimo, al contrario di quanto si possa pensare sono poco creativa ma molto analitica e organizzata, almeno ci provo, se mi chiedi di creare entro in paranoia, oltre al fatto che proprio non mi piace.  
Quando sono sul palco voglio essere diretta, poi ti tiro fuori la mia artisticità durante la performance e possiamo discutere su alcune idee, ma la creazione vera e propria non deve spettare a me.
Se fuori dal palco mi chiedi un consiglio sono affidabile e sincera, cerco di capire come ragioni e come anticiparti per alleggeriti il lavoro, sono il paio di occhi in più, mi piace moltissimo stare al fianco di qualcuno ed essere la spalla nell’organizzazione del suo processo creativo.

Grazie Linda per il tuo tempo e complimenti per la tua carriera artistica!
Tienici aggiornati e continua a seguirci su Che! Intervista.

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