Lino Cangemi, imprenditore e alpinista, ha saputo fondere la passione per il turismo e l’accoglienza con un’intensa attività di esplorazione e sfida personale nelle montagne più impervie del mondo. Fondatore e Presidente della MasterGroup World, Cangemi ha accumulato riconoscimenti per il suo lavoro nel settore turistico e per le sue spedizioni avventurose in paesi come Nepal, Giordania e Perù. Con il libro “Oltre la Vetta” (Rubbettino Editore), Cangemi condivide la sua esperienza di scalatore e l’impatto umano delle sue imprese. In questa intervista esploriamo la sua visione dell’imprenditoria, la passione per la montagna e come le sfide affrontate nelle spedizioni abbiano trasformato non solo lui, ma anche la sua comunità.
a cura di Antonio Capua
Lino, sei passato dal mondo dello shipping internazionale all’imprenditoria turistica. Qual è stato il momento in cui hai capito che la tua strada sarebbe stata nel settore del turismo?
Quando la piccola azienda turistica di mia moglie era sull’orlo della chiusura a causa di avversità fuori dal suo controllo, dentro di me si è accesa una scintilla. Una forza invisibile, ma potente, che mi ha impedito di accettare la sconfitta senza combattere.
Senza confidarmi con nessuno, ho preso una decisione drastica: ho dato le dimissioni dall’azienda che mi aveva formato e insegnato tanto, un posto a cui devo gran parte del mio bagaglio professionale. Quel giorno sono tornato a casa, ho guardato mia moglie negli occhi e le ho detto: “Da domani lavoro con te.”
L’inizio è stato un viaggio pieno di ostacoli, di quelli che mettono alla prova ogni fibra del tuo essere. Abbiamo affrontato momenti durissimi: il frigorifero spesso vuoto, le notti passate a riscaldarci solo con le coperte perché non potevamo permetterci altro. Ma in quegli istanti bui abbiamo trovato i nostri più grandi maestri. Ogni difficoltà ci ha insegnato a lottare, ogni sacrificio ci ha uniti di più.
Non è stata solo una sfida economica, ma una battaglia di cuore e volontà, una dichiarazione silenziosa al mondo: “Non ci arrendiamo.” Quella decisione ha cambiato tutto, trasformando un periodo di disperazione nel punto di partenza per una nuova vita.
La MasterGroup World è un progetto ambizioso che ti ha portato a ricevere importanti riconoscimenti. Quali sono state le principali sfide che hai affrontato nel creare e far crescere questa realtà?
Su questa domanda si potrebbe davvero scrivere un libro. Venticinque anni fa, per noi del Sud, lavorare non era affatto semplice. Il pregiudizio era un peso invisibile ma opprimente, che rendeva ogni passo più difficile: dalla contrattazione alla semplice routine quotidiana. Ogni parola, ogni sguardo, sembrava essere un giudizio preventivo, un ostacolo in più.
Questa realtà, se da un lato mi faceva arrabbiare, dall’altro alimentava una determinazione incrollabile: dimostrare che il pregiudizio è una delle armi più fragili e ingiuste che una società possa impugnare.
Sono seguiti anni duri, fatti di ferite morali, di delusioni che scavavano a fondo e di umiliazioni che sembravano voler spezzare ogni slancio. A volte il viaggio diventava così faticoso da sembrare insostenibile. Eppure, passo dopo passo, ho continuato a camminare, trasformando la rabbia in forza e il dolore in resistenza.
Oggi, guardando indietro, capisco che il vero trionfo non è stato solo ricevere riconoscimenti professionali in ogni angolo del mondo, ma abbattere quel muro di pregiudizio che sembrava invalicabile. È stata questa vittoria – più intima, più profonda – a rendere il cammino non solo sopportabile, ma anche straordinariamente emozionante. Perché non c’è premio più grande di dimostrare che l’unico limite reale è quello che scegliamo di non sfidare.
Parliamo della tua passione per l’avventura che ti ha portato a scalare alcune delle vette più impegnative del mondo. Qual è stato il momento più intenso che hai vissuto in montagna e cosa ti ha insegnato?
La mia passione mi ha portato a scoprire l’alta quota, a sfidare il freddo pungente e a spingermi oltre i limiti della stanchezza. Eppure, tra tutte le esperienze vissute, quelle che mi hanno toccato più profondamente e insegnato di più sono i momenti in cui ho condiviso i sentieri con i miei amici diversamente abili.
Spesso l’attenzione si concentra su imprese alpinistiche spettacolari: affrontare una tormenta in quota o superare tratti di una via alpina con pendenze estreme. Sono ricordi intensi, certo, ma a dire il vero impallidiscono di fronte alle lezioni di vita che ho ricevuto camminando accanto a chi, nonostante enormi difficoltà motorie, trovava la forza di portare a termine il sentiero.
Ogni passo che facevano, spesso lento ma inarrestabile, era un insegnamento di resilienza, coraggio e gratitudine. Mi hanno mostrato, con una semplicità disarmante, il valore profondo della vita e l’immenso rispetto che ognuno di noi dovrebbe riservarle.
Quelle esperienze mi hanno trasformato, insegnandomi che la vera forza non sta nel superare una pendenza impossibile, ma nell’affrontare con dignità e determinazione le sfide che la vita ci mette davanti. E questo è un insegnamento che porterò sempre con me, passo dopo passo.
Nel tuo libro Oltre la Vetta, parli della scalata del Tilicho Peak come un’esperienza di trasformazione personale. Cosa è cambiato da quel momento nel tuo modo di vedere la vita e il lavoro?
Il Tilicho Peak è stato un esame, una prova che ha messo alla prova il corpo, ma soprattutto la mente. È stato un maestro severo, implacabile, ma giusto. Il tratto verticale che dal Campo 1 conduceva al Campo 2 è stato un’esperienza tanto meravigliosa quanto devastante, un vero banco di prova per ogni fibra del mio essere. E poi, le due notti trascorse a Campo 2, in compagnia di venti impetuosi e temperature che scendevano oltre i -40°, mi hanno portato a un confronto intimo e spietato con me stesso.
In quelle condizioni non esistono maschere, non c’è spazio per bugie o distorsioni della realtà. Sei lì, nudo di fronte alle tue emozioni, alle tue sensazioni e, soprattutto, alle tue paure. E proprio loro, le paure che cerchiamo di nascondere nella vita quotidiana, in quei momenti diventano alleate sincere. Sono lì a ricordarti i tuoi limiti, a calmarti e a impedirti di prendere decisioni avventate. Ti salvano, ti guidano.
Quando ritorni alla vita di tutti i giorni, quel vissuto ti rimane addosso. Ti scorre nelle vene come un faro che illumina le tue scelte, dando una nuova intensità alla tua esistenza. Ogni ritorno da un’esperienza così ti trasforma, inevitabilmente. Ti cambia, sì, e sempre in meglio.
Hai guidato spedizioni in tutto il mondo, da solitarie attraversate nel Borneo a scalate in Nepal, Kilimanjaro e Perù. Cosa ti spinge a cercare sempre nuove sfide?
Dopo l’anno pandemico, ho dovuto fare i conti con un’amara realtà: il mio fisico non è più quello di un tempo. Accettare di non poter più affrontare spedizioni di quella portata è stato un processo difficile, quasi doloroso. Ma chi nasce per mettersi in gioco, chi vive mettendosi in discussione, non può smettere di sfidarsi. È una parte di me che non posso ignorare, né voglio farlo.
Così ho deciso di canalizzare la mia energia altrove, immergendomi nel lavoro con progetti ambiziosi che mi appassionano profondamente. Sono idee che, ne sono certo, lasceranno un segno, perché vivono del mio entusiasmo e si evolvono ogni giorno, proprio come me.
Eppure, c’è una fiamma che arde silenziosa. Non nascondo che, se riuscirò a prendermi cura del mio corpo come merita, tornerò a progettare qualcosa di speciale. Perché alla fine, l’indole si può sopire, può restare in attesa, ma non si spegne mai davvero. Prima o poi, prenderà il sopravvento, spingendomi ancora una volta verso quell’orizzonte che non smette mai di chiamarmi.
Sei stato premiato con il titolo di Presidente Onorario della SudTrek e con il riconoscimento “Amazing Nepal Journey”. Cosa rappresentano per te questi premi sia a livello personale che professionale?
Ricevere premi è sempre un piacere, ma devo ammettere che per me hanno un valore relativo. Il mio carattere, per fortuna o purtroppo, non mi concede il lusso di soffermarmi troppo sul momento del riconoscimento. Vivo proiettato sul domani, costantemente immerso nel pensiero di ciò che devo fare, di ciò che verrà.
C’è una fiammella dentro di me, quella piccola luce che non si spegne mai, alimentata dall’adrenalina del futuro. È un mix di curiosità, passione e voglia di progettare, metabolizzare e, soprattutto, vivere ciò che ancora deve accadere. Ma questa stessa fiamma mi lascia sempre con una sensazione di incompiutezza, come se non fossi mai del tutto soddisfatto.
Ogni tanto mi fermo a riflettere, chiedendomi se questo sia un pregio o un difetto. Ma, prima ancora di trovare una risposta, mi ritrovo già immerso in un nuovo progetto, in un nuovo sogno da inseguire.
E forse è proprio questa la mia vera essenza. Alla luce di tutto ciò, credo che non riuscirei a vivere in modo diverso. Questo continuo rincorrere il domani è ciò che mi definisce, ciò che dà senso al mio viaggio. E, in fondo, è questo a rendere ogni passo così incredibilmente vivo.
Nella tua carriera hai sempre trovato il modo di connettere le tue esperienze personali con le persone che incontri. Come credi che il tuo percorso possa ispirare le persone intorno a te?
Non credo di essere una fonte d’ispirazione. Probabilmente, nel mio percorso “alpinistico”, molti mi hanno visto più come un folle che come una persona che cercava di perdersi nel cuore della natura per scoprire fin dove poteva spingersi.
Non nego di aver percepito, più di una volta, la difficoltà di chi mi stava accanto nel comprendere o accettare la mia personalità, il mio modo di vivere la vita. Non è mai stato un dramma per me, solo una realtà con cui convivere, e l’ho fatto sempre con un sorriso. Quelle incomprensioni mi spingevano spesso a tornare nel mio mondo, quello in cui non esistevano aspettative da soddisfare, ma solo la libertà di immergermi in nuovi progetti, di buttarmi a capofitto in sogni ancora tutti da costruire.
Eppure, se penso a chi potrei aver influenzato davvero, mi viene in mente solo una cosa: le mie figlie. Forse il mio spirito, anche in minima parte, ha toccato loro. Nonostante la loro giovane età, vedo nei loro occhi una curiosità inesauribile, quella stessa voglia di cercare, di scoprire e di vivere la vita in ogni sua sfumatura, anche quelle più nascoste.
E questo, più di qualsiasi altra cosa, mi riempie di orgoglio. Se ho lasciato loro anche solo un frammento del mio modo di guardare il mondo, allora tutto ha avuto un senso. Perché, alla fine, ispirare non significa cambiare il mondo, ma piantare un seme in chi ami, sperando che cresca forte e libero.
La tua carriera imprenditoriale ti ha portato a sviluppare strategie e brand nel turismo internazionale. Come riesci a bilanciare la precisione e la pianificazione del business con la libertà e l’incertezza dell’alpinismo?
Nella mia vita, alpinismo e lavoro hanno sempre camminato mano nella mano, intrecciandosi in un percorso fatto di sfide, progettualità e adattamento. In ambito professionale, ogni progetto deve essere pianificato con attenzione, tenendo conto delle incertezze che costantemente ci circondano: quelle naturali, come terremoti o allagamenti, e quelle ben più oscure, frutto della stupidità umana, come le guerre.
L’alpinismo non è così diverso. La preparazione per una spedizione richiede una programmazione maniacale, uno studio ossessivo di ogni dettaglio. Ma anche la più attenta pianificazione non può eliminare i rischi: bufere, slavine e altri imprevisti naturali sono sempre in agguato.
Eppure, c’è una verità che mi accompagna da sempre: preferisco affrontare le sfide della natura, per quanto spietate possano essere, piuttosto che quelle create dall’uomo. Perché la natura, con tutta la sua forza selvaggia e indomabile, non è mai malvagia. È semplicemente ciò che è: pura, autentica, imprevedibile.
Al contrario, le tragedie generate dalla stupidità umana hanno un peso insopportabile. Sono il risultato di scelte sbagliate, di egoismi, di conflitti evitabili. E forse è proprio questo che rende l’alpinismo così prezioso per me: è un richiamo costante alla verità della vita, quella che si trova solo al cospetto della montagna, lontano dai rumori del mondo, dove l’unico avversario da affrontare è il limite dentro di noi.
Quali sono le prossime sfide che vuoi affrontare? C’è un’altra vetta, reale o simbolica, che desideri raggiungere?
Questa è forse la domanda più difficile. Io vivo con lo sguardo sempre rivolto a nuove vette, per ora simboliche, e a traguardi che catturano la mia attenzione, risvegliano la mia curiosità e, soprattutto, alimentano quella fiammella interiore che non si spegne mai.
Oggi, tra i tanti progetti in cui sono immerso, ce n’è uno che mi riempie il cuore di entusiasmo e orgoglio: insieme al mio fantastico team, sto lavorando per dare vita alla Master Group Academy, un luogo dove il merito sarà al centro e dove giovani menti potranno trovare lo spazio per esprimersi e crescere. Voglio che questo sia un laboratorio di idee, un trampolino per coloro che diventeranno i protagonisti del domani.
Questo progetto non è solo un sogno, è una missione che mi rende felice, che mi riempie di gioia e orgoglio. È come un fiume che nutre le mie radici, annaffiando i sogni che mi tengono in piedi e donandomi una serenità che va oltre qualsiasi riconoscimento. Perché, in fondo, non c’è soddisfazione più grande che contribuire a costruire un futuro migliore, lasciando qualcosa di vero e duraturo alle generazioni che verranno.
Infine, viste le tue esperienze professionali e di vita, quali valori ti piacerebbe trasmettere alle nuove generazioni?
Credo fermamente che il duro lavoro e l’abnegazione siano le uniche strade capaci di portare a una soddisfazione autentica, piena e senza ombre. Certo, il cammino non è mai privo di ostacoli. Tra le tante insidie che si incontrano, l’irriconoscenza è forse una delle più difficili da digerire. È un male comune, uno di quelli che può minare la lucidità e spegnere l’entusiasmo.
Ma ho imparato che bisogna affrontarla con leggerezza, senza lasciarsi sopraffare. Chi è capace di ingratitudine, di non vedere il valore di ciò che riceve, probabilmente non è fatto per abitare un mondo troppo grande. E allora, sì, forse è meglio sopportare l’irriconoscenza che condividere una visione meravigliosa con chi è pericolosamente cieco. Gli imprevisti, le delusioni, sono parte del viaggio, ma non meritano il nostro sonno né i nostri sogni.
Ricordo una frase che dissi molti anni fa, durante un’intervista: “Ogni tanto mi chiedono quale, secondo me, sia la strada per arrivare in cima. Io, con un sorriso, rispondo che non ci sono strade. Non esistono facili parole per spiegare cosa bisogna fare per raggiungere ciò che si desidera. L’unica cosa che dobbiamo sapere è dove vogliamo davvero andare e quanto siamo disposti a sacrificare per farlo.”
Oggi, dopo tutto quello che ho vissuto, sono ancora più convinto di quelle parole. Non ci sono scorciatoie né formule magiche. Solo la chiarezza del proprio obiettivo e la forza di perseguirlo, a ogni costo, tracciano il sentiero verso la vetta. E questo, più di tutto, è ciò che dà senso al nostro cammino.
Grazie Lino per averci reso partecipi di questo tuo viaggio
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