Luana Rondinelli: il teatro come specchio della società e strumento di cambiamento

Drammaturga, regista e attrice, Luana Rondinelli è una delle voci più potenti e coraggiose del teatro italiano contemporaneo. Attraverso opere che esplorano temi sociali come la violenza di genere, l’identità e la condizione femminile, Rondinelli ha costruito una carriera fatta di premi, riconoscimenti e collaborazioni prestigiose. In questa intervista ci racconta come la sua arte è diventata un mezzo di lotta e riflessione sociale.


Benvenuta, Luana, è un piacere averti con noi. Partiamo dal tuo percorso:
cosa ti ha spinto a dedicarti al teatro e come hai capito che questa sarebbe stata la tua strada?

Grazie a voi, è un piacere essere qui.
Da piccola non riuscivo a capire cos’era quella scintilla creativa che fiammeggiante ardeva in me e di conseguenza mi muovevo a tentoni, tra scrittura, disegno, musica ma la consapevolezza dell’amore per il teatro è esploso a 15 anni quando in questa continua “ricerca” una mattina siamo andati con la scuola a vedere uno spettacolo teatrale: “Il berretto a Sonagli” di Pirandello. Mi sono detta “E’ quello che stavo cercando!” Era tutto ben chiaro e da lì ho fatto il possibile per realizzare questo sogno. Fino all’arrivo a Marsala del mio Maestro Michele Perriera che divenne Direttore artistico della scuola di teatro per tantissimi anni. Michele mi ha insegnato molto, ha acceso quel fuoco che ancora oggi mi permette di credere nel teatro e nelle mie potenzialità, è stato una guida, non lo scorderò mai! Un giorno in uno dei tanti esercizi che ci diede Michele, chiedendomi del mio rapporto con il teatro dissi: “E’ come in una grande relazione d’amore… ci stavamo solo aspettando!”.

Nel 2011 hai fondato Accura Teatro e con Taddrarite hai affrontato un tema difficile come la violenza sulle donne. Qual è stata l’ispirazione dietro questo spettacolo e che tipo di reazioni hai ricevuto?
In realtà quando nel 2011 ho scritto “Taddrarite” non immaginavo assolutamente che dopo 13 anni questa tematica fosse così tragicamente attuale. L’ispirazione è arrivata da un’esigenza che sentivo forte, volevo parlare di violenza domestica, ma non sapevo come fare, così ho frequentato un laboratorio di scrittura a Roma (dove vivevo) condotto da Marzia G. Lea Pacella al Teatro Argot e da lì a nove mesi come una gestazione è nato il testo, l’ho messo in scena il 21 giugno dello stesso anno e non si è fermato più.
Dopo averlo messo in scena, però, mi si è aperto un mondo davanti, un mondo che forse avevo solo percepito, fatto di dolore, sofferenze, di tragicità. E le mie eroine Franca, Rosa e Maria si materializzavano in quei racconti che nel corso degli anni tante donne mi venivano a confidare.

La forza di questo spettacolo è stato quello di alternare momenti di intensa drammaticità, a momenti di ilarità, una risata catartica che passa attraverso la riflessione, questo è stato il segreto di questo spettacolo che inneggia alla rinascita, perché come recita Franca in scena: “a nascire n’avutra vota c’è sempre tempo.”(A nascere un’altra volta c’è sempre tempo).

La tua drammaturgia è stata riconosciuta a livello internazionale, portandoti fino al San Diego International Fringe Festival e all’In Scena! Theater Festival di New York. Cosa significano per te questi traguardi e che impatto hanno avuto sulla tua carriera?
Traguardi importanti in momenti di vita artistica molto diversi.
La prima volta a New York nel 2015 all’Inscena Italian Theater Festival diretto da Laura Caparrotti e Donatella Codonesu che presenti in giuria al Roma Fringe Festival hanno voluto fortemente Taddrarite in America. E’ stato un successo! Ci siamo esibite al Bernie Wohl Center a Manhattan, al Brooklyn College e all’Italian Cultural Institute, sembrava un sogno, a quattro anni dal debutto di Taddrarite ci trovavamo in America. L’anno dopo grazie alla vittoria del Fringe le mete scelte furono San diego e Tijuana in Messico, raccontiamo sempre di quel periodo, eravamo tantissime compagnie provenienti da tutto il mondo e c’eravamo anche noi, con le nostre tre sedie e quella bara a simboleggiare la morte della violenza. C’erano le mie parole pronunciate in dialetto e c’era la meraviglia di un’esperienza che non scorderò, di un tassello importante nel mio percorso artistico che prendeva sempre più forma. E infine l’esperienza di quest’anno a nove anni dall’ultima volta all’Inscena Festival, con tante consapevolezze in più ma con la stessa voglia e “urgenza” di raccontare storie nuove, storie di donne e questa volta a parlare sulla scena è Francesca Serio la mamma di Salvatore Carnevale il sindacalista ucciso dalla mafia nel 1955. Con me sul palco a rappresentare “Sciara prima c’agghiorna” I musicanti di Gregorio Caimi (che ne è anche il produttore). E’ stato molto forte vedere il pubblico emozionarsi in sala (alla Casa Italiana Zerilli Marimò) in un contesto diverso, all’altro capo del mondo, facendo conoscere oltreoceano queste figure simbolo della mia terra, tutto questo ha avuto un valore emotivo inestimabile.

In Penelope – L’Odissea è fimmina hai esplorato il mito attraverso una prospettiva femminile. Come nascono i tuoi progetti legati all’universo femminile e quali sfumature cerchi di esplorare?
Il lavoro che ho fatto su Penelope, Medea e Didone è quello di dare nuova vita alle donne del mito, rivestendole di un nuovo abito, fatto di parole che sanno di libertà. Di queste figure ne colgo le più intime sfumature e sono sempre stata attratta da queste storie senza tempo, l’idea è quella di soverchiare il finale e renderlo contemporaneo. Non a caso qui il mito non resta immobile nel tempo ma, al contrario, attraverso un testo teatrale che alterna lingua italiana e siciliana, ribalta l’idea archetipica di Penelope.
Sono irrequiete le mie “fimmine” capaci di risollevarsi, di trovare vie di uscita a situazioni di vita dolorose, donne che si riscoprono ricche di talenti su cui puntare, ma soprattutto che danno valore e dignità al loro essere.
Sono sempre alla ricerca di storie di donne che facciano sentire la loro voce, per lasciare un segno indelebile, visioni al femminile di mondi che cerco di riconoscere, apprezzare, scandagliare e proteggere.
Ma sono storie che parlano a tutti, in cui chiunque può rispecchiarsi, l’urgenza è quella di ristabilire i ruoli secondo dei principi di uguaglianza, di diritti e rispetto della diversità. Bisogna rieducare l’uomo, liberarlo da stereotipi di forza e virilità e restituirlo ad un’umanità di sentimenti.

Collabori spesso con grandi interpreti come Donatella Finocchiaro e Valeria Solarino. Cosa ti piace di queste collaborazioni e quanto influiscono sull’evoluzione dei tuoi testi?
Lavorare con attrici di grande talento come Donatella Finocchiaro e Valeria Solarino è stato un onore ma anche una grande crescita professionale. Devo dire che ho avuto la fortuna di lavorare sempre con attrici di grande spessore artistico e umano, durante il mio percorso, da Ester Pantano a Laura Giordani, da Giovanna Mangiù a Valeria Contadino e a tutti gli interpreti che ho avuto il piacere di dirigere e che si sono fidati e affidati alla mia scrittura e alla mia regia.

La grande personalità di queste attrici influisce, sicuramente, sull’evoluzione dei testi arricchendoli delle loro peculiarità. Donatella (con cui porto avanti diversi progetti) sul palco è passionale e vulcanica come la sua terra, accoglie e rielabora le indicazioni rendendo tutto molto più vero e carnale, è amica e confidente ed è molto generosa. Valeria è precisa e magnetica e da grande professionista sa ascoltare e portare sulla scena la visione registica, ha quel rigore e quell’attenzione per il teatro che ti riempie di ammirazione. In Gerico Innocenza Rosa ho vissuto con lei un viaggio bellissimo.

Hai adattato opere di Verga e Monroy, come La Lupa e Didone Pop. Qual è la tua visione sull’adattamento di classici e come riesci a renderli attuali per il pubblico di oggi?
Riadattare La Lupa di Verga l’ho vissuta come una responsabilità. Mi è stato commissionato dal Teatro Stabile di Catania per la regia di Donatella Finocchiaro. Ma ero agevolata dal fatto che La Lupa fosse uno dei miei testi di Verga preferiti, la figura di Gna Pina mi ha sempre affascinata, avevo 17 anni quando ho visto il film su La Lupa al cinema e ricordo che ne rimasi molto colpita.
Io credo che alcuni classici sino facilmente riadattabili proprio perché attuali! Ho creato tridimensionalità, dando spessore alla figura di Gna Pina, concentrandomi sui suoi desideri, sulla sua dignità e sulle sue passioni. Ho costruito nuove scene attraverso la creazione di personaggi realizzati di sana pianta come le mie Prefiche, inserite in un contesto popolare retrogrado, pronto a puntare il dito. Le donne di questa lupa, però, hanno un vigore diverso, una voglia di rivincita, un percorso che ispira emancipazione, sono donne che hanno voglia di libertà e di esprimere se stesse… proprio come la Lupa (interpretata da Donatella Finocchiaro) che non mortifica la propria femminilità che non castra la sua passione. Attraversa il tempo la mia lupa, la consegno ai giovani, che abbiano modo di trovare sempre la loro chiave di lettura.
Per il mito di Didone è stato tutto molto più facile, il testo è tratto da “Dido operetta Pop” scritto da Beatrice Monroy, che ho amato subito in prima lettura e ho proposto a Bea di farne uno spettacolo teatrale. E’ nato Didone Pop, un testo che ho curato insieme alla stessa Monroy, così incredibilmente attuale. In questo spettacolo la nostra Regina, compie un viaggio al confine tra l’assurdo e il trash rivendicando dignità per ogni donna, scontrandosi con il potere, con la politica, attraversando il mediterraneo fino a portarci su di una barca sulla quale oggi potrebbe esserci chiunque.

La chiusura dovuta al lock-down ha portato nuove sfide, ma hai trasformato questo momento in un’opportunità per la scrittura di sceneggiature video. Come hai vissuto quel periodo e cosa ti ha spinta a cimentarti in un formato diverso?
Paradossalmente il primo lock-down è stato un periodo di creazione, in un tempo in cui tutto era fermo, fatto di silenzi fuori e di tanto rumore dentro. Di fughe creative e blocchi emotivi, di percezioni… Gerico Innocenza Rosa è figlia di quel periodo, ma anche Didone Pop, mi rinchiudevo nella mia camera e iniziavo a scrivere, a trovare una valvola di sfogo, a confrontarmi con le mie emozioni più intime. Ho attraversato quel periodo con la consapevolezza e il dolore di chi non vuole fermarsi… non può fermarsi. Le sceneggiature che ho scritto mi sono state tutte commissionate, era l’unico modo per portare in “scena” qualcosa attraverso i video: Mattula – un batuffolo di polvere a teatro commissionato dal Teatro stabile di Catania per il progetto “Avanti Veloce” ideato da Silvio Laviano, Medea che rientra nel progetto “I sette peccati capitali” organizzato dal Clan Off di Messina e La bella ‘mpastata cu sonno per il progetto “Notte di Zucchero” di Palermo. In questo modo le distanze si accorciavano e scrivere diventava il modo più semplice per raggiungere chiunque attraverso la realizzazione video.

I tuoi lavori esplorano spesso la tematica dell’identità, come in Gerico Innocenza Rosa. Quale visione vuoi proporre al pubblico rispetto all’identità di genere e alla scoperta di sé?
Il percorso dell’affermazioni della propria identità, è un percorso che richiede tempo e coraggio, in Gerico Innocenza Rosa racconto di come un ambiente familiare che ti sostiene può essere d’aiuto alla scoperta di sé, senza pregiudizi ma con amore, perché l’amore non giudica mai. La costruzione della propria identità transita sicuramente dall’essere “altro” rispetto ai propri genitori, ma il bisogno di essere accettati ed accolti resta comunque rilevante nelle dinamiche che concorrono alla scoperta del proprio io. Attraverso il teatro cerco di far entrare lo spettatore in confidenza con la propria sfera emotiva imparando a riconoscerla, a mettersi in discussione, ad accettarsi, e ad aprirsi a se stessi con uno sguardo attento sulle necessità della propria vita che deve essere vissuta a pieno. Non reprimersi e sradicare quel mondo avvelenato in cui la società ci ha insegnato a vivere, attraverso sensi di colpa e frustrazioni che non lasciano vedere gli strumenti necessari per la realizzazione di sé.

Sciara prima c’agghiorna è un’altra delle tue opere di grande impegno sociale. Cosa ti ha ispirato a scrivere questo testo e come vedi il ruolo del teatro nella sensibilizzazione su temi sociali?
Sciara prima c’agghiorna è ispirato al libro di Franco Blandi “Francesca Serio La madre”, voluto fortemente dal mio amico musicista Gregorio Caimi che ne cura le musiche con il suo gruppo de I Musicanti e lo produce. Dopo aver letto il libro mi sono innamorata follemente di Francesca Serio la mamma di Salvatore Carnevale il sindacalista ucciso dalla Mafia il 16 maggio del 55. Lei è stata la prima donna della storia a denunciare la Mafia, uno spaccato di vita di un tempo che appartiene alla mia Sicilia ma che grida per essere ascoltato da tutti. Ne ho fatto un manifesto in memoria di tutte le vittime di Mafia e attraverso gli occhi di Francesca raccontare le difficoltà di una donna di quel tempo che ha rotto gli stereotipi di quel tempo e si fa portavoce dei più deboli anche dopo la morte del figlio. Queste figure che ci hanno regalato un pezzo di libertà meritano di essere conosciute e soprattutto è importante lasciare questa eredità ai giovani per questo il mio obiettivo è quello di rappresentarlo il più possibile nelle scuole.
Il teatro ha la straordinaria capacità non solo di far riflettere ma anche di guidare il cambiamento nella società, si fa portavoce di questioni urgenti stimolando azioni concrete.

I tuoi prossimi progetti? Ci sono temi o storie che ancora non hai esplorato e che vorresti portare in scena?
A Gennaio riprendo Giacominazza il mio spettacolo con l’attrice Giovanna Mangiù, al momento saremo in scena al teatro Massimo di Siracusa il 16/17 gennaio e al Piccolo teatro di Catania il 18/19 gennaio prodotto dal Teatro della Città e poi sto lavorando alla realizzazione di un altro cortometraggio tratto dal mio testo “Sciara Prima c’agghiorna” . Nuove tematiche da esplorare? Vorrei parlare di follia, e ancora una volta porterò in scena l’universo femminile.

Grazie Luana per il tuo tempo e per questa interessante intervista,
continua a seguirci!

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